Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24177 del 17/11/2011

Cassazione civile sez. I, 17/11/2011, (ud. 12/10/2011, dep. 17/11/2011), n.24177

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), nella

qualità di conferitaria di tutte le attività e passività della

già BNL S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VAL GARDENA 3, presso

l’avvocato DE ANGELIS LUCIO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato COACCIOLI ANTONIO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DELLA FAGNUS S.P.A. (P.I. (OMISSIS)), già Nuova

Fagnus spa, in persona del Curatore dott. C.P.,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 92, presso

l’avvocato NARDONE ELISABETTA, rappresentato e difeso dall’avvocato

COVINO ALESSANDRO, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 267/2009 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 23/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/10/2011 dal Presidente Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato COACCIOLI A. che ha chiesto

l’accoglimento del ricorsO;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato COVINO A. che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 24.5.2005 il Tribunale di Perugia accoglieva l’azione revocatoria proposta dal Fallimento – dichiarato il 2.6.1997 – della Fagnus s.p.a. avverso la B.N.L. s.p.a., avente ad oggetto la costituzione di due pegni, condannando la B.N.L. al pagamento a favore del predetto Fallimento della somma di Euro 387.832,00, oltre interessi.

Il primo pegno, stipulato il 13.10.1995, aveva ad oggetto il 20% delle future operazioni di sconto effetti, quota che la banca avrebbe depositato in conto speciale indisponibile; il secondo, stipulato il 17.11.1995, aveva ad oggetto certificati di deposito rilasciati dalla stessa banca ed era collegato alla concessione di scoperti di conto corrente, fido per finanziamenti in valuta estera, fido per anticipo su fatture per un importo complessivo di L. 1.500.000.000.

Riteneva il Tribunale che ricorresse l’ipotesi prevista dalla L. Fall., art. 67, comma 1, n. 3, poichè i pegni erano stati costituiti (anche) per crediti anteriori non scaduti e sussisteva la consapevolezza della decozione della Fagnus desumibile dalla vicinanza della filiale, presso la quale si era proceduto alle operazioni, alla sede della società, dalla presenza all’epoca di debiti miliardari della Fagnus nei confronti della Sviluppumbria, degli enti previdenziale e dell’erario, dalla presenza di numerose esecuzioni mobiliari, dalla presentazione di istanze di fallimento da parte di dipendenti, di numerosi decreti ingiuntivi e precetti, nonchè dalle perdite risultanti dai bilanci.

Detta sentenza veniva impugnata dalla B.N.L. dinanzi alla Corte d’Appello di Perugia. Il Fallimento resisteva all’appello, proponendo a sua volta appello incidentale volto ad ottenere la esplicita pronuncia della revocazione dei pegni, omessa dal primo giudice.

La Corte adita respingeva l’appello principale; accoglieva l’incidentale revocando gli atti di costituzione di pegno summenzionati.

Avverso detta sentenza la Banca Nazionale del Lavoro ha proposto ricorso per cassazione basato su due motivi. Il Fallimento della Fagnus s.p.a. ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia: A) violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in relazione alla normativa in materia di elemento oggettivo in relazione alla L. Fall., art. 67, comma 1, n. 3; B) omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Deduce la ricorrente che la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere che i pegni fossero stati costituiti anche per debiti preesistenti non scaduti e che, quindi, ricorresse, nel caso di specie, l’applicabilità della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 3. Dal contratto stipulato in data 13.10.1995 emergerebbe che il pegno, contemplato in detto atto, avrebbe avuto la funzione di garantire esclusivamente detti debiti, dato che la costituzione del pegno sarebbe avvenuta con l’immediato trattenimento ed accredito in conto indisponibile, vincolato a garanzia, di un importo pari al 20% del portafoglio commerciale presentato ed accolto allo sconto.

Analogo errore sarebbe stato commesso relativamente al pegno, di cui all’atto del 17.11.1995. Il fatto che detto pegno non fosse destinato a garantire debiti preesistenti non scaduti si ricaverebbe dalla perfetta contestualità logica e temporale tra il sorgere del debito (aumento del fido da L. 700.000.000 a 1.500.000.000 con Delib. 15 novembre 1995) e la costituzione del pegno per L. 450.000.000 (certificati di deposito B.N.L.), perfezionatasi il 16.11.1995.

Detti pegni sarebbero stati inoltre destinati a garantire anche debiti scaduti.

La impugnata sentenza avrebbe omesso ogni disamina al fine di accertare se i debiti ritenuti non scaduti fossero in realtà, come assume la ricorrente, dei debiti scaduti, trattandosi di debiti eccedenti il fido concesso.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia: A) violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in relazione alla normativa in materia di elemento soggettivo in relazione alla L. Fall., art. 67, comma 1, con riferimento all’art. 2729 c.c.; B) omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Nell’accertare la sussistenza del requisito della scientia decoctionis in capo alla banca la Corte d’Appello avrebbe dato rilievo a dati poco significativi quali pignoramenti mobiliari promossi da terzi e, quindi, non conosciuti dalla banca e dati, desunti dal bilancio del 1994, dai quali non sarebbe evincibile, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo, una situazione di decozione della Fagnus; inoltre detta corte non avrebbe considerato la prova liberatoria offerta dalla Banca Nazionale del Lavoro mediante molteplici produzioni documentali e la deduzione di specifiche circostanze esterne idonee a dimostrare l’insussistenza del requisito della conoscenza dello stato di insolvenza.

Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

La Corte di merito testualmente osserva nella impugnata sentenza:

“Nel contratto del 13 ottobre 1995, non collegato a nuovi affidamenti o crediti, si legge che le somme poste sul conto sarebbero rimaste vincolate a garanzia del buon esito degli effetti scontati “nonchè a garanzia di ogni altro nostro debito nei vostri confronti”.

Nel contratto del 17 novembre – collegato agli affidamenti per L. un miliardo e mezzo – si legge che il pegno si intendeva costituito anche a garanzia di “ogni altro credito – anche se non liquido ed esigibile ed anche se assistito da altra garanzia ” (così all’art. 3, titolato “estensione della garanzia ad altri crediti”).

La circostanza, dedotta dall’appellante, che i crediti pregressi non ancora esigibili fossero già sufficientemente assicurati da diverse garanzie preesistenti non elide tali in equivoche indicazioni contrattuali.”. Il giudice a quo ha fondato il proprio convincimento sulle “in equivoche indicazioni contrattuali”.

Tale ritenuta univocità delle suindicate espressioni contrattuali non è stata censurata, indicando perchè tale indicazioni non potessero ritenersi univoche e, diversamente da come ritenuto dal giudice a quo, quale ne fosse la reale ed effettiva portata.

Parimenti inammissibile devesi ritenere il secondo motivo.

Con tale motivo, come del resto avvenuto per il primo, la ricorrente ha formulato due diverse censure., denunciando sia il vizio di violazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, formulando, però, nonostante l’esistenza di due censure, un solo quesito di diritto.

Al fine di rendere ammissibile il motivo, in ossequio al disposto dell’art. 366 bis c.p.c., la ricorrente avrebbe dovuto formulare una duplicità di quesiti, ciascuno dei quali contenente un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto, e quale fosse in definitiva il senso delle censure.

Inoltre il quesito formulato si presenta generico e privo di riferimento alla fattispecie concreta, oggetto del giudizio.

Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna della ricorrente al pagamento a favore del Fallimento resistente delle spese del giudizio di legittimità, che, tenuto conto del valore della controversia, appare giusto liquidare in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre spese generali ed accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso a favore del resistente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 8.200,00 (ottomiladuecento/00), di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2011

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