Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24176 del 17/11/2011

Cassazione civile sez. I, 17/11/2011, (ud. 12/10/2011, dep. 17/11/2011), n.24176

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

FALLIMENTO DELLA ITALIANA TABACCHI S.C.A.R.L. (c.f. (OMISSIS)),

in persona del Curatore fallimentare dott. C.L.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 57, presso

l’avvocato SERRA MARCO, rappresentato e difeso dall’avvocato MAGGIORE

ROBERTO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

T.G. (C.F. (OMISSIS)), C.A.,

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA MONTESANTO 68, presso lo

STUDIO GULLO-ANGELONI, rappresentate e difese dall’avvocato ANGELONI

PIERLUIGI, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

contro

C.F., C.A., R.L., D.

C., EREDITA’ GIACENTE DI S.S., M.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2862/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/07/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/10/2011 dal Presidente Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato MARCO SERRA, per delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo,

assorbiti gli altri.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La curatela del Fallimento della società Italiana Tabacchi coop. a r. l. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Latina l’eredità giacente di S.G., già presidente del consiglio di amministrazione della società, la di lui erede T.G., C.A.M., M.A., G.P., D.C., nonchè gli eredi di C.G., A. e F., nella loro qualità i primi tre di sindaci della cooperativa e la D. e il C.G. nella qualità di componenti del consiglio di amministrazione della società.

Esponeva il Fallimento che la contabilità della cooperativa era stata irregolarmente tenuta ed alterata; che per ottenere ingenti aiuti comunitari erano state esposte operazioni inesistenti per la somma di oltre L. 13 miliardi; che a fronte di ulteriori operazioni fittizie erano state erogate a terzi somme non dovute per oltre L. 19 miliardi; che erano stati distratti denari sociali per ulteriori 6 miliardi, riversati dai conti della società in quelli personali del presidente della cooperativa; che all’esito della verifica del passivo era emerso un deficit fallimentare di circa L. 47 miliardi.

Chiedeva, pertanto, la curatela che per detti fatti fosse accertata la responsabilità sociale di tutti i convenuti, amministratori e sindaci, o per fatto proprio, o per omesso controllo, con condanna di ciascuno singolarmente e in solido ex artt. 2392, 2394, 1713, 2407, 2043, 2516 cod. civ. e ai sensi e per gli effetti di cui alla L. Fall., art. 146, al risarcimento di tutti i danni prodotti, con reintegrazione dei creditori e del patrimonio sociale, per la complessiva somma di L. 47 miliardi ovvero per la soma maggiore o minore che fosse risultata provata nel corso del giudizio. Si costituivano in giudizio la T., la D., gli eredi di C.G.: A. e F., nonchè S. S., altro erede di S.G..

Non si costituiva il contraddittorio con G.P. perchè deceduto prima della notifica dell’atto di citazione.

All’udienza del 4 novembre 2003 il procuratore del convenuto M.A. chiedeva termine per chiamare in causa gli eredi di G.P., ed il procuratore di S.S., avv. R.M., dichiarava che “il proprio assistito era nelle more deceduto e chiedeva termine per depositare il certificato di morte e interruzione.” Il giudice concedeva termine per chiamare in causa gli eredi del G. e rinviava la causa all’udienza del 27 aprile 2004.

In detta udienza, in cui non veniva rinvenuto il fascicolo d’ufficio, il giudice si riservava di decidere sulla istanza della curatela di decadenza del M. dall’autorizzazione alla chiamata in causa degli eredi G. e su quella del M. di concessione di un nuovo termine per provvedere a detta chiamata.

Con ordinanza del 15/16 giugno 2004 il giudice rigettava la istanza di rimessione in termini del M. e rinviava la causa, per consentire il rintraccio del fascicolo d’ufficio, al 18 gennaio 2005, udienza in cui per S.S. compariva, in sostituzione dell’avv. R.M., l’avv. C.F., il quale ribadiva che nelle more del giudizio S.S. era deceduto.

Considerata detta dichiarazione il giudice dichiarava interrotto il processo.

La curatela del Fallimento provvedeva alla riassunzione del processo con ricorso del 29.4.2005. All’udienza dell’8 novembre 2005 C.A. e T.G., reiterando l’eccezione già formulata in comparsa di risposta, eccepivano l’estinzione del giudizio per essere decorso il termine di sei mesi dalla dichiarazione che il procuratore di S.S. aveva fatto del suo decesso.

Con ordinanza riservata del 6 dicembre 2005 il giudice istruttore respingeva detta eccezione, osservando che solo all’udienza del 18 gennaio 2005 era stata effettuata una dichiarazione esplicita e inequivoca dell’evento interruttivo, per cui solo a tale udienza il processo era stato interrotto.

Detta ordinanza veniva impugnata da T.G. e C. A.M. dinanzi alla Corte d’Appello di Roma che con sentenza del 23 maggio-3 luglio 2008 dichiarava estinto il giudizio.

Avverso detta sentenza il Fallimento della Italiana Tabacchi società coop. a r.l. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, illustrati con memoria, cui, degli intimati, soltanto T. G. e C.A.M. hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 177 c.p.c., dell’art. 178 c.p.c., comma 1, dell’art. 339 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 (inammissibilità dell’appello).

Deduce il ricorrente che il provvedimento del giudice istruttore in una causa di responsabilità degli amministratori e sindaci di una società, nella quale il Tribunale è chiamato a giudicare in composizione collegiale, non sarebbe un provvedimento decisorio e definitivo, ma un provvedimento suscettibile di essere revocato dallo stesso giudice che lo ha emesso o comunque riesaminato dal collegio, quando la causa gli viene rimessa per la decisione, revocando eventualmente detto provvedimento e dichiarando, se ne sussistono i presupposti, l’estinzione del processo irregolarmente proseguito.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 126 c.p.c., degli artt. 44 e 46 disp. att. c.p.c. e dell’art. 156 c.p.c., comma 2, e dell’art. 159 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 (nullità del procedimento).

La Corte d’Appello avrebbe dato rilievo, al fine di dichiarare la estinzione del giudizio, alla espressione “e comunque interruzione”, che non risulterebbe vergata con la medesima grafia e con la stessa penna della dichiarazione di morte del S., che la precede.

Una simile risultanza del verbale di udienza avrebbe imposto alla Corte d’Appello di considerare la dichiarazione aggiunta tamquam non esset, senza che la validità di detta aggiunta (peraltro posta fuori del rigo) potesse ritenersi, come avvenuto, in considerazione della natura privilegiata del verbale d’udienza.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 300 c.p.c. e dell’art. 46 disp. att. c.p.c., in correlazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 (violazione di legge e nullità del procedimento).

Deduce il ricorrente che la dichiarazione di interruzione per morte dell’assistito, avendo natura negoziale, è idonea a determinare l’interruzione del processo solo se diretta a tal fine, mentre non potrebbe determinare tale effetto se l’evento sia stato rappresentato per il conseguimento di altri fini.

Nel caso di specie mancherebbe una dichiarazione, cui attribuire la univoca finalità di determinare l’interruzione del processo, essendovi stata una richiesta di rinvio da parte del difensore del S. per produrre un certificato attestante il decesso dell’assistito al fine di avere certezza sull’effettività dell’evento.

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 300 c.p.c. e dell’art. 46 disp. att. c.p.c. in correlazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo).

Deduce il ricorrente che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio denunciato, atteso che, se presupposto giuridico della estinzione del giudizio è la dichiarazione univoca dell’evento interruttivo, l’accertamento, che di tale dichiarazione la Corte d’Appello avrebbe fatto, sarebbe contraddittorio ed insufficiente, essendovi vari elementi che avrebbero dovuto portare detto giudice ad una diversa conclusione.

Il primo motivo di ricorso è fondato.

Il codice di procedura civile disciplina esclusivamente l’impugnazione della ordinanza di estinzione.

L’art. 178 c.p.c., comma 2, dispone che “l’ordinanza del giudice istruttore, che non operi in funzione di giudice unico, quando dichiara l’estinzione del processo è impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio.”. Tale disposizione ovviamente trova applicazione in tutti i casi in cui il tribunale, giusta il disposto di cui all’art. 50 bis c.p.c., giudica in composizione collegiale.

Non può trovare applicazione, invece, nelle cause nelle quali il tribunale giudica in composizione monocratica. In tal caso l’eventuale ordinanza di estinzione, pronunciata dal giudice monocratico, ha natura sostanziale di sentenza e, come tale, è appellabile anche se la declaratoria di estinzione viene emessa in forma di ordinanza. (cfr. cass. n. 9279 del 1993; cass. n. 14889 del 2002; cass. n. 8092 del 2004; cass. n. 950 del 2005).

La su esposta disciplina della impugnazione dell’ordinanza di estinzione non può trovare applicazione analogica nella diversa ipotesi di rigetto della eccezione di estinzione del processo, per la ovvia ragione che il provvedimento di rigetto non incide sul corso del processo, mentre la pronuncia di estinzione ne paralizza il corso, impedendo che si possa pervenire ad una decisione nel merito.

Pertanto nella ipotesi in cui, come nel caso di specie, il tribunale giudica in composizione collegiale, non è possibile impugnare l’ordinanza del giudice istruttore, che rigetta l’eccezione di estinzione ritenendo che la riassunzione del processo devesi ritenere tempestiva, neppure con il reclamo al collegio.

Siccome detta ordinanza non rientra tra le ordinanze che l’art. 177 c.p.c., comma 3, dichiara non revocabili nè modificabili, ne consegue che chi vi abbia interesse può reagire contro la stessa, o chiedendone la revoca, ai sensi dell’art. 177 c.p.c., comma 2, allo stesso giudice che l’ha emessa, oppure, ai sensi dell’art. 178 c.p.c., comma 1, proponendo la eccezione di estinzione al collegio, atteso che le parti, senza bisogno di mezzi di impugnazione, possono proporre al collegio, quando la causa è rimessa a questo a norma dell’art. 189 c.p.c. per la decisione, tutte le questioni risolute dal giudice istruttore con ordinanza revocabile (cfr. cass. n. 2435 del 1964; cass. n. 15548 del 2003, che ha affermato che il rigetto o l’omesso esame dell’eccezione di estinzione del processo non ne preclude la riproposizione in sede decisoria senza che sia necessaria alcuna riserva di gravame).

Se l’ordinanza del giudice istruttore di rigetto della eccezione di estinzione del processo può essere revocata dal giudice (istruttore), che l’ha emessa, o revocata dal collegio, cui la questione della estinzione può essere riproposta in sede di rimessione della causa ai sensi dell’art. 190 c.p.c., ne deriva che a detta ordinanza, perchè revocabile ed inidonea a definire il giudizio, non può essere riconosciuta la natura sostanziale di sentenza, che ne possa giustificare l’impugnazione con il mezzo dell’appello, il quale se proposto deve essere, pertanto, ritenuto inammissibile.

Pertanto il primo motivo del ricorso per cassazione deve essere accolto, con conseguente declaratoria di assorbimento delle ulteriori censure, e la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio, dichiarando inammissibile l’appello. L’accoglimento del ricorso con cassazione senza rinvio comporta la pronuncia sulle spese sia del giudizio di appello che di quello di legittimità.

Il collegio ritiene che le prime possano essere compensate tra le parti, dato che il giudice a quo non ha rilevato, come invece avrebbe dovuto, la inammissibilità dell’appello. Tutti gli intimati vanno, invece, condannati, in solido tra loro, a rimborsare al Fallimento ricorrente le spese del giudizio di legittimità, che appare giusto liquidare in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre spese generali ed accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo; dichiara assorbiti gli altri;

cassa la sentenza impugnata e dichiara inammissibile l’appello;

compensa le spese del giudizio di appello; condanna tutti gli intimati, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 3.200,00 (tremiladuecento/00) di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2011

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