Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24174 del 13/10/2017


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Cassazione civile, sez. I, 13/10/2017, (ud. 04/07/2017, dep.13/10/2017),  n. 24174

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19026/2012 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via di Vigna

Murata n.1, presso lo studio dell’avvocato Carrubba Corrado,

rappresentato e difeso dall’avvocato Caprioli Giovanni, giusta

procura a margine ricorso;

– ricorrente –

contro

Curatela del Fallimento (OMISSIS) S.a.s.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 39/2012 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 07/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/07/2017 dal cons. ACIERNO MARIA;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale SALVATO LUIGI che chiede che la Corte rigetti

il ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.La Corte d’Appello di Lecce ha rigettato il reclamo proposto da P.G. avverso la sentenza con la quale è stato dichiarato il fallimento del reclamante in estensione a quello della s.a.s. (OMISSIS) svolgendo le seguenti considerazioni.

2. In fatto ha rilevato che il tribunale aveva ritenuto che il reclamante si fosse ingerito nell’amministrazione della società così da avere acquisito la qualifica di socio accomandatario di fatto sulla base delle dichiarazioni del socio accomandatario C.L., di quelle di un cliente e del commercialista della società, nonchè dai numerosi documenti in atti e dagli esiti della consulenza tecnica d’ufficio disposta nel giudizio penale per bancarotta che vedeva il P. imputato in concorso con il socio accomandatario. Il reclamante ha opposto che la società fallita avrebbe cessato la propria attività oltre un anno prima della dichiarazione di fallimento in estensione, nel 2004; che lo scioglimento della compagine sociale si era comunque verificato nel 2005 per il dissidio insuperabile tra i due soci; che il fallimento della società ne aveva determinato lo scioglimento non potendo continuare ad operare in assenza del socio accomandatario. Ha inoltre contestato gli elementi di prova acquisiti, affermando di aver disconosciuto i documenti a sua firma comunque irrilevanti e di ritenere inutilizzabili le deposizioni testimoniali perchè rese con dichiarazioni scritte su richiesta dell’accomandatario che aveva uno specifico interesse ad escludere sue responsabilità.

3. la Corte ha affermato invece:

a) è risultato accertato che il P. si sia ingerito nell’amministrazione della società fino al fallimento della società. Questo evento non determina affatto lo scioglimento del vincolo societario tanto che il curatore deve richiedere la cancellazione dal registro delle imprese alla chiusura del fallimento quando la prosecuzione dell’attività sociale non avrebbe più alcun senso (art. 118 legge fall.).

b) la regola secondo la quale il fallimento del socio illimitatamente responsabile non può essere dichiarato decorso un anno dalla cessazione della società deve tenere conto della esigenza di certezza delle situazioni giuridiche e dell’esigenza di tutela dell’affidamento dei terzi. Ne consegue che non è sufficiente che si sia verificato un fatto idoneo a determinare lo scioglimento del rapporto ma anche che il fatto sia stato conosciuto o quanto meno reso conoscibile ai terzi. E’ pertanto irrilevante che la società avesse cessato di fatto la sua attività nel 2004 e che vi fosse dissidio insanabile tra i soci nel 2005,perchè tali fatti non sono stati resi conoscibili ai terzi.

c) la prova che il P. abbia avuto nella società un potere di gestione e di controllo dei flussi di denaro è emersa dal complessivo esame delle risultanze istruttorie, comprensive della consulenza tecnica eseguita nel giudizio penale. I testi hanno confermato al curatore quanto risultava dalle dichiarazioni scritte ed hanno reso delucidazioni in udienza. Anche dagli atti dei creditori istanti è risultato l’esercizio di fatto da parte del reclamante di funzioni gestorie del tutto prevalenti.

4.Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione P.G.. Vi è requisitoria scritta del pubblico ministero. 5.Preliminarmente si lamenta l’omesso esame dell’eccezione preliminare relativa all’efficacia preclusiva del giudicato esterno costituito dalla declaratoria d’inammissibilità dell’istanza di fallimento in estensione del socio accomandante proposta dal creditore istante nel procedimento parallelo riguardante il fallimento della società. Il tribunale ha ritenuto tale istanza estranea al giudizio e per questa ragione l’ha ritenuta inammissibile.

L’eccezione è manifestamente infondata in considerazione della natura di decisione meramente impediente in rito la cognizione dell’istanza di fallimento in estensione del socio accomandante da formularsi in altra sede. Al riguardo l’orientamento di questa sezione è comunque fermo nel ritenere, in via generale, che il decreto reiettivo del reclamo che ha respinto l’istanza di fallimento non è ricorribile per cassazione (Cass. 6683 del 2015 e 20297 del 2015 e con riferimento a fattispecie del tutto analoga a quella dedotta nel presente giudizio Cass. 5069 del 201.

Nel primo motivo viene dedotto che la Corte d’Appello ha omesso di motivare in ordine allo scioglimento della società dovuto alla dichiarazione di fallimento, per effetto della quale era venuto a mancare il socio accomandatario, in mancanza della ricostituzione dell’assetto societario entro sei mesi.

Nel secondo e terzo motivo viene contestata anche sotto il profilo del difetto di motivazione l’esame e la valutazione di rilevanza. delle prove svolto dalla Corte d’Appello sia in ordine ai documenti disconosciuti che in relazione alla valorizzazione delle dichiarazioni dell’accomandatario, sia in ordine alle deposizioni testimoniali.

Il collegio condivide le conclusioni del pubblico ministero del seguente tenore:

” secondo il più recente (anche se non univoco) orientamento della Corte, i creditori che hanno proposto il ricorso di fallimento nei confronti di una società di persone non sono litisconsorti necessari nel procedimento di fallimento in estensione; sono invece litisconsorti necessari nel giudizio di reclamo alla sentenza dichiarativa di fallimento proposto dal socio illimitatamente responsabile, cui il fallimento sia stato successivamente esteso, e ciò in ragione dei pregiudizi che la revoca del fallimento potrebbe arrecare alle loro pretese (Cass. n. 21430 del 2016).

E’ appunto tale ultima considerazione che rende applicabile al ricorso il principio secondo cui, nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità o di infondatezza dello stesso, di definire con immediatezza il processo, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorti necessari (SU n. 6826 del 2010; Cass. n. 2723 del 2010 e n. 15106 del 2013). La ratio di tale principio ed un’interpretazione costituzionalmente orientata, attenta ai valori della ragionevole durata del giudizio e del giusto processo, lo rendono infatti applicabile anche qualora il contraddittorio non sia stato integrato nella fase di reclamo se l’esito del giudizio, consistendo nel rigetto del ricorso proposto dal socio illimitatamente responsabile, in nessun modo ed in nessun punto può pregiudicare le pretese del soggetto pretermesso (i creditori istanti del fallimento della società) e, quindi, arrecare quel vulnus ad evitare il quale è ritenuto sussistente il litisconsorzio nella fase di merito.

Il ricorso può dunque essere deciso nel merito.

Il primo ed il secondo motivo sono manifestamente infondati. La sentenza ha deciso il motivo di appello, negando, correttamente, che la causa di scioglimento della società fosse idonea a determinare l’estinzione della società (v. la parte iniziale di pg. 3). Ad integrazione della motivazione (possibile, concernendo la stessa esclusivamente profili di diritto), va precisato che costituiscono principi pacifici quelli secondo cui lo scioglimento della società per venire meno della pluralità della compagine sociale neanche comporta l’estinzione della società (ex plurimis, Cass. n. 18964 del 2013) ed al socio occulto non è applicabile l’art. 10, comma 1, L.fall. (per tutte, Cass. n. 15488 del 2013).

Il terzo ed il quarto motivo sono manifestamente inammissibili: da un canto, censurano la sentenza, lamentando la mancata valorizzazione di una serie di documenti neppure precisamente indicati, senza specificare se si trattasse di documenti provenienti dal ricorrente (per i quali era ipotizzabile il disconoscimento della sottoscrizione), ovvero esplicitando (in riferimento a quelli dei quali sarebbe stata contestata la conformità all’originale), nell’osservanza del principio di autosufficienza, che la contestazione era stata specificamente e ritualmente formulata (Cass. n. 13425 del 2014); da un altro canto, sono inammissibili, poichè la Corte di appello ha desunto la qualità di socio occulto da una congerie ulteriore di elementi, neppure considerati dal ricorrente; da un altro canto ancora, perchè le censure si risolvono in una mera, inammissibile, critica (peraltro, anche generica) dell’apprezzamento di fatto compiutamente e congruamente motivato in ordine alla sussistenza degli elementi comprovanti l’ingerenza del ricorrente nell’attività sociale e l’assunzione della qualità di socio illimitatamente responsabile.

Per questi motivi letto l’art. 380-bis c.p.c., comma 1; chiede che la Corte rigetti il ricorso”.

Anche in ordine al principio secondo il quale lo scioglimento della società per il venir meno della compagine sociale non ne comporta l’estinzione, può aggiungersi ai richiami contenuti nelle conclusioni del pubblico ministero la più recente pronuncia n.501 del 2016 così massimata:

“Il recesso del socio da una società di persone composta da due soli soci (nella specie, una società in nome collettivo) e la mancata ricostituzione della pluralità della compagine sociale da parte del socio superstite determinano lo scioglimento della società, ex art. 2272 c.c., n. 4, non già la sua estinzione, con conseguente possibilità della stessa di essere sottoposta a fallimento entro l’anno dall’intervenuta cancellazione dal registro delle imprese ai sensi dell’art. 10 l.fall.”. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Non si dà luogo a statuizione sulle spese processuali di questo giudizio in mancanza della costituzione dell’intimato.

PQM

 

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2017

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