Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24169 del 13/10/2017


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Cassazione civile, sez. I, 13/10/2017, (ud. 22/06/2017, dep.13/10/2017),  n. 24169

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22534/2011 proposto da:

T.A., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Bruno Buozzi

n.99, presso lo studio dell’avvocato Punzi Carmine, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Cavalluzzo Massimo,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento della (OMISSIS) S.p.a.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 362/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 09/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/06/2017 dal cons. FRANCESCO TERRUSI.

Fatto

RILEVATO

che:

in data 21-11-2003 l’avv. T.A., curatore del fallimento di (OMISSIS) s.p.a., dichiarato il 16-9-1989 dal tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, depositò il rendiconto di gestione dopo essere stato sostituito nell’incarico;

nel giudizio instaurato ai sensi dell’art. 116 legge fall. (testo pro tempore), il tribunale, con sentenza in data 2-10-2007, negò l’approvazione del rendiconto;

la sentenza venne impugnata dal T., e la corte d’appello di Napoli rigettò il gravame, ritenendo preliminarmente infondata la censura attinente all’omesso esame della documentazione asseritamente allegata al fascicolo di parte che, a dire dell’impugnante, era stato depositato assieme alla comparsa conclusionale e che il primo giudice non aveva esaminato;

indi la corte d’appello osservò: che erano stati addebitati al curatore comportamenti certamente implicanti un pregiudizio per la massa dei creditori, quanto meno potenziale; che nessuna specifica censura era stata mossa ai capi della sentenza di primo grado relativi al pagamento di maggiori somme a tale geom. P., alla tardiva riscossione dell’Iva su canoni di locazione del 1999, all’incompleta riscossione di interessi di mora e alla mancata registrazione di una fattura (la n. (OMISSIS) del 2000) nel registro degli acquisiti; che le censure invece mosse in ordine ai capi afferenti l’omessa tenuta del registro giornale, l’omessa redazione dell’inventario, l’affidamento di incarichi a consulenti senza autorizzazione del giudice delegato e il mancato adeguamento del canone di locazione erano inammissibili per difetto di specificità, ai sensi dell’art. 342 cod. proc. civ.; che la censura riguardante la negligente gestione di una transazione che aveva posto fine a una controversia in ordine alla proprietà di un fondo – censura segnatamente incentrata sul mancato inserimento di una somma (Lire 190.000.000) quale ammontare spettante al fallimento per le migliorie apportate al fondo ai sensi dell’art. 936 cod. civ. – era infondata, perchè sarebbe stato preciso onere del curatore segnalare il fatto al tribunale ai fini di una valutazione ponderata dell’accordo; avverso la sentenza, depositata il 9-2-2011 e non notificata, l’avv. T. ha proposto ricorso per cassazione in base a dodici motivi, illustrati da memoria;

il fallimento di (OMISSIS) s.p.a. non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

coi primi quattro motivi, tra loro connessi, il ricorrente censura la sentenza nella parte relativa alla questione della mancanza del fascicolo di parte;

col primo motivo denunzia la violazione dell’art. 169 c.p.c., comma 2 e art. 74 disp. att. cod. proc. civ., comma 4; col secondo motivo denunzia l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza in ordine alla decisiva circostanza dell’avvenuta proposizione, dinanzi al giudice di primo grado, di una richiesta di ricostruzione del fascicolo; col terzo motivo denunzia la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e dei principi regolatori del giusto processo, imputando alla corte d’appello di non aver rilevato l’inosservanza delle norme processuali da parte del giudice di primo grado; col quarto motivo denunzia la violazione dell’art. 342 cod. proc. civ. nella parte in cui la corte territoriale ha affermato che sarebbe stato in ogni caso onere dell’appellante indicare quali fossero i documenti contenuti nel fascicolo di parte che, se esaminati, avrebbero potuto indurre il tribunale a una decisione diversa;

i motivi sono inammissibili per difetto di interesse;

ridotta all’essenziale la doglianza è che il tribunale abbia negato l’approvazione del conto senza esaminare il fascicolo di parte, il quale fascicolo si sarebbe dovuto ritenere debitamente restituito in base alla circostanza che era stata depositata la comparsa conclusionale, giacchè – a dire del ricorrente – non si può depositare la detta comparsa se non sia previamente verificata la presenza del fascicolo destinato a contenerla;

il ricorrente evidenzia di aver chiesto al tribunale, in data 18-7-2007, la rimessione della causa sul ruolo al fine di consentire la ricostruzione del fascicolo di parte;

può sorvolarsi sull’assertorietà del presupposto della censura, che chiaramente confonde l’essere col dover esser: è ovvio infatti che l’avvenuto deposito di una comparsa conclusionale registra un fatto (l’essere), e tale fatto non implica, necessariamente, che sia stato anche previamente restituito il fascicolo di parte (dover essere);

a ogni modo, tutto l’argomentare del ricorrente è palesemente irrilevante proprio in quanto riferito al giudizio di primo grado;

il punto è che la corte d’appello, invece, ha esaminato il gravame in rapporto alle questioni di merito infine sottoposte al suo esame, e l’ha disatteso pur sulla scorta delle risultanze documentali, per ragioni attinenti alla genericità di talune doglianze e all’infondatezza di altre; insistere sulla ridetta questione processuale non è dunque proficuo, atteso che l’eventuale vizio della sentenza del tribunale, ove anche per amor di ipotesi esistente, non sarebbe rientrato nell’alveo dell’art. 354 cod. proc. civ.; sicchè in appello non avrebbe potuto comportare altro che la decisione sostitutiva; giustappunto quella decisione che la corte d’appello ha reso nell’esaminare, e nel disattendere, le ulteriori censure sollevate dall’appellante in ordine al merito del giudizio di rendiconto;

i restanti motivi sono da disattendere perchè in parte infondati e in parte egualmente inammissibili;

nell’ordine, il ricorrente denunzia:

col quinto mezzo, la violazione dell’art. 116 legge fall. per avere la corte d’appello affermato che i comportamenti addebitati al curatore contenevano un’implicita deduzione di pregiudizio quanto meno potenziale ai fini di cui alla norma indicata;

col sesto mezzo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 cod. civ. ai fini della ricostruzione del danno quale presupposto per la mancata approvazione del rendiconto;

col settimo mezzo, la violazione dell’art. 342 cod. proc. civ. in relazione al requisito di specificità dei motivi di appello formulati in ordine all’addebito di omessa tenuta del libro giornale e di omessa redazione dell’inventario;

con l’ottavo mezzo, il vizio di motivazione a proposito del fatto decisivo della non convenienza della transazione conclusa con la Condor s.r.l.;

col nono motivo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1176 cod. civ. e 38 legge fall., per avere la corte d’appello valorizzato un inesistente onere del curatore di segnalare al tribunale fallimentare il presunto elemento di divergenza tra i contenuti della transazione, esaminati ai fini dell’autorizzazione, e quelli effettivamente contenuti nell’atto;

col decimo motivo, la violazione dell’art. 35 legge fall., atteso che in ogni caso la transazione era stata infine valutata e autorizzata dal tribunale;

con l’undicesimo mezzo, l’omessa pronuncia sul motivo di censura relativo all’impossibilità giuridica di acquisire i beni alla massa del fallimento e alla posizione dell’avv. T. quale di gestore d’affari altrui;

col dodicesimo motivo, l’omessa motivazione della sentenza in ordine al fatto notorio della gestione congiunta ed eccezionale della crisi delle aziende dell’area irpina, beneficiarie di fondi pubblici ai sensi della L. n. 219 del 1981;

orbene deve premettersi che nell’impugnata sentenza si trovano elencati gli addebiti che erano stati mossi al curatore sostituito;

tali addebiti consistevano: nell’omessa tenuta del registro giornaliero, nell’omessa redazione dell’inventario, nel pagamento di maggiori somme (evidentemente non dovute) al geom. P., nella tardiva riscossione dell’Iva su canoni di locazione, nell’incompleta riscossione di interessi di mora, nella mancata registrazione di una fattura, nel conferimento di incarichi di consulenza senza previa autorizzazione del giudice delegato, nel mancato adeguamento di canoni di locazione, nel mancato computo del costo di migliorie ex art. 936 cod. civ. nell’ambito della transazione con l’Asl di Avellino (proprietaria degli immobili appresi al fallimento) e la Condor s.r.l. (affittuaria dei medesimi);

la corte d’appello ha prioritariamente osservato che i suddetti comportamenti addebitati al curatore “contenevano certamente un’implicita deduzione di un pregiudizio quanto meno potenziale”, e ha sottolineato che “sui capi della sentenza” di primo grado, relativi pagamento di maggiori somme al geom. P., alla tardiva riscossione dell’Iva, all’incompleta riscossione di interessi di mora e alla mancata registrazione della fattura, non era stata mossa alcuna specifica censura;

codesta ultima affermazione non è stata ulteriormente censurata in questa sede, sicchè in ordine all’effettività degli addebiti ivi specificati si è formato il giudicato;

a sua volta la prima affermazione è, nei motivi quinto e sesto, censurata infondatamente, in quanto il giudizio di approvazione del rendiconto presentato dal curatore revocato dalla carica ha a oggetto, oltre alla verifica contabile, per assicurare la necessaria continuità della gestione destinata a proseguire, anche l’effettivo controllo della gestione pregressa, cioè la valutazione della correttezza dell’operato del curatore, della sua corrispondenza a precetti legali e ai canoni di diligenza professionale richiesta per l’esercizio della carica, e degli esiti che ne sono conseguiti;

la relativa contestazione esige la deduzione e la dimostrazione dell’esistenza di un pregiudizio giustappunto almeno potenziale recato al patrimonio del fallito o agli interessi dei creditori, difettando altrimenti un interesse idoneo a giustificare l’impugnazione stessa del conto; mentre è pacifico che non occorre che già in tale giudizio sia fornita la prova del danno effettivamente concretizzatosi a seguito della mala gestio del curatore (v. esplicitamente Cass. n. 16019-08, ma anche Cass. n. 21653-10 e Cass. n. 7320-16);

ora, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, nei sopra riferiti addebiti – specifici e dettagliati – non si possono individuare inadempienze di ordine meramente formale, avendo la corte d’appello palesato l’esistenza di pagamenti indebiti (almeno nel quantum) e la mancata percezione di somme (a titolo di rivalsa dell’Iva e a titolo di interessi di mora); e la rilevanza di tali fatti come pregiudizievole per la massa dei creditori è autoevidente, sì da non determinare alcun ulteriore onere di puntualizzazione;

ne consegue che già soltanto in ciò trova giustificazione la mancata approvazione del rendiconto;

come si è visto, il giudizio che si instaura in caso di mancata amichevole approvazione del conto, ai sensi dell’art. 116 legge fall., può avere per oggetto, oltre agli errori materiali, anche il controllo sulla gestione del curatore per fatti solo potenzialmente determinativi di danno; e l’accertamento della responsabilità del curatore non costituisce effetto automatico e normale della mancata approvazione, tanto che l’azione di responsabilità necessita di essere eventualmente e separatamente introdotta senza deroghe quanto al procedimento conchiuso nel giudizio ordinario di cognizione (v. già Cass. n. 1327400; Cass. n. 547-00);

per tale complesso di ragioni vanno dunque rigettati il quinto e il sesto motivo di ricorso, e tanto assorbe ogni distinta questione;

difatti il ricorrente non ha interesse allo scrutinio dei restanti mezzi, tutti afferenti alla sorte di ulteriori addebiti;

in vero la corte d’appello ha confermato anche i menzionati ulteriori addebiti, sulla scorta dell’inammissibilità di alcune censure, per genericità, e dell’infondatezza di quella specificamente riferita alla questione della transazione;

sui profili attinenti alla genericità dei motivi di gravame può in effetti discutersi, tenuto conto di quanto emergente dalla trascrizione operata in seno al ricorso (nel rispetto del principio di autosufficienza); e va precisato che è recentissima la devoluzione alle Sezioni unite (v. Cass. n. 8845-17) della questione relativa al modo di intendere la nozione di specificità dei motivi di gravame quanto al rito ordinario di cognizione (art. 342 cod. proc. civ.) e al rito del lavoro (art. 434 cod. proc. civ.);

tuttavia il collegio può considerarsi dispensato dal prendere posizione sui detti profili, in quanto prioritariamente rileva il principio generale secondo cui il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata e a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti;

ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi (v. Cass. Sez. U n. 7931-13);

eguale principio serve a confermare l’insegnamento assolutamente pacifico presso la giurisprudenza di questa Corte (v. anche Cass. Sez. U n. 36-07), per cui ove una sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario – per giungere alla cassazione della pronunzia – non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo stesso dell’impugnazione; la quale infatti è tesa alla cassazione della sentenza, o di un suo capo, in rapporto a tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano;

è sufficiente, pertanto, che anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa anche a una sola di esse, perchè l’impugnazione debba essere disattesa nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni (in tale senso, tra le tantissime, Cass. n. 10420-05; Cass. n. 2274-05, poi seguite anche da Cass. n. 1107-06 e da Cass. n. 1101-06);

ciò puntualmente accade nel caso di specie, visto che la mancata approvazione del rendiconto è già sufficientemente attestata sugli addebiti di ordine gestorio sopra considerati, la cui effettiva esistenza e rilevanza la corte distrettuale, con statuizione non ulteriormente censurata, ha affermato non devoluta all’appello; i motivi da sette a dodici sono per tale ragione da dichiarare inammissibili;

il ricorso in conclusione è rigettato.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, su relazione del cons. Terrusi (est.), il 22 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2017

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