Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24168 del 25/10/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 24168 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: MAZZACANE VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 27909-2007 proposto da:
FERRANTE ANTONINO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA M. DIONIGI 57, presso lo studio dell’avvocato
CARBONE CARLO, rappresentato e difeso dall’avvocato
BONIFAZI FRANCESCONI LUCIANA;
– ricorrenti contro

BOLOGNA CATERINA, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIALE DELLE MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato
MATTINA GIUSEPPE, rappresentato.4 e difess/
dall’avvocato MARRONE UBALDO;

Data pubblicazione: 25/10/2013

- controricorrenti

avverso la sentenza n. 991/2006 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 26/09/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24/09/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO

udito

l’Avvocato Anna BEVILACQUA,

con delega

depositata in udienza dell’Avvocato BONIFAZI
FRANCESCONI Luciana, difensore del ricorrente che si
riporta agli atti;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. COSTANTINO FUCCI che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

MAZZACANE;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 19-5-1997 Antonino Ferrante conveniva in giudizio dinanzi al
Tribunale di Palermo — sezione distaccata di Bagheria, Caterina Bologna, proponendo opposizione
avverso il decreto emesso il 3-3-1997 con il quale gli era stato ingiunto il pagamento della somma

della Bologna.

A sostegno dell’opposizione deduceva che con scrittura privata del 17-3-1993 quest’ultima gli
aveva ceduto l’attività di vendita al minuto di generi alimentari sita in Bagheria, via Filippo Speciale
n. 44, per la somma di lire 63.500.000, e che successivamente l’opposta aveva ottenuto
dall’esponente la riconsegna dell’originale della licenza commerciale che aveva depositato presso
il Comune di Bagheria con conseguente chiusura dell’esercizio commerciale; a tal punto il Ferrante
aveva deciso di non coprire gli assegni a suo tempo consegnati alla Bologna quale parte del
corrispettivo della vendita.

L’opponente, rilevato altresì che l’opposta era stata condannata in sede penale per il reato di
truffa aggravata in danno dell’esponente, chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo opposto.

Costituendosi in giudizio la Bologna chiedeva il rigetto dell’opposizione in quanto infondata;
assumeva che con la richiamata scrittura privata l’opponente si era obbligato al compimento degli
adempimenti necessari per il suo subentro nella titolarità dell’azienda, adempimenti che non
erano stati evasi, atteso che il Ferrante aveva continuato ad utilizzare la licenza di vendita intestata
all’esponente fino a quando l’attività era stata esercitata nel magazzino di sua proprietà,
pretendendo di continuare ad utilizzarla anche in altra sede; aggiungeva che, a seguito di
insistenze dell’opposta affinché il Ferrante provvedesse alla necessaria voltura della licenza a suo
nome, questi non aveva onorato gli assegni a suo tempo consegnatile; infine evidenziava che la

di lire 30.111.870 oltre interessi legali e spese, in forza di sei assegni bancari da lui emessi in favore

Corte di Appello di Palermo aveva annullato la sentenza penale di condanna nei propri confronti
per truffa aggravata.

Il Tribunale adito con sentenza del 15-7-2002 rigettava l’opposizione al suddetto decreto
ingiuntivo.

sentenza del 26-9-2006 ha rigettato l’impugnazione.

Awerso tale sentenza il Ferrante ha proposto un ricorso affidato a due motivi seguito
successivamente da una memoria cui la Bologna ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione, censura la sentenza impugnata per aver affermato che il Ferrante non aveva offerto
alcuna prova del fatto che gli assegni di cui al giudizio monitorio fossero stati da lui consegnati alla
Bologna quale caparra e garanzia, con obbligo di restituzione, per l’acquisto della predetta attività
commerciale; invero era risultato documentalmente provato che gli assegni in questione erano
stati rilasciati dal Ferrante per il buon fine dell’operazione, e che quest’ultimo, in occasione della
formalizzazione dell’acquisto della azienda, aveva corrisposto integralmente il prezzo pattuito.

Il ricorrente inoltre assume che erroneamente la Corte territoriale ha interpretato la scrittura
privata di cessione d’azienda menzionata nel senso che essa non comprendesse anche il
trasferimento della licenza commerciale; invero il Ferrante aveva riconosciuto alla Bologna, a titolo
di avviamento commerciale, e quindi anche in riferimento alla cessione delle licenze, la somma di
lire 20.000.000; del resto la voltura della licenza rappresentava il valore principale del proprio
investimento, e comunque nell’atto di cessione d’azienda era stato pattuito il “subentro” nella
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Proposto gravame da parte del Ferrante cui resisteva la Bologna la Corte di Appello di Palermo con

titolarità aziendale, evocando la surrogazione soggettiva della posizione attiva anche riguardo alla
licenza.

Con il secondo motivo il Ferrante, denunciando violazione degli artt. 1176-1218 e 2697 c.c., rileva
che l’esponente fin dal primo grado di giudizio aveva dedotto quali comportamenti inadempienti

della licenza commerciale; pertanto, in conformità dell’indirizzo sostenuto dalla pronuncia del 301-2001 n. 13533 delle S. U. di questa Corte, una volta sollevata tale eccezione di inadempimento,
incombeva all’altra parte l’onere di provare di aver adempiuto; il giudice di appello, invece, non si
è uniformato a tale insegnamento, e non ha tratto le logiche conseguenze dal fatto che la Bologna
non aveva provato l’adempimento agli obblighi contrattuali assunti.

Gli enunciati motivi sono entrambi inammissibili.

Il Collegio infatti rileva preliminarmente che nella fattispecie, in presenza di una sentenza
impugnata depositata il 26-9-2006, trova applicazione “ratione temporis” l’art. 366 “bis” c.p.c. che
prescrive a pena di inammissibilità per ciascun motivo, nei casi previsti dall’art. 360 primo comma
numeri 1-2-3 e 4, la formulazione di un quesito di diritto che costituisca una sintesi logico —
giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regola juris”
suscettibile di trovare applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza
impugnata; inoltre detto articolo prescrive, sempre a pena di inammissibilità per ciascun motivo,
nel caso previsto dall’art. 360 primo comma numero 5 c.p.c., una esposizione chiara e sintetica del
fatto controverso — in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria —
ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a
giustificare la decisione.

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della Bologna sia la mancata riconsegna dei suddetti assegni sia il non avvenuto trasferimento

Orbene il primo motivo con il quale, come sopra esposto, sono state denunciati vizi di
motivazione, è del tutto privo di un momento di sintesi del fatto controverso; il secondo motivo,
poi, con il quale è stata dedotta una violazione di legge, si limita a demandare a questa Corte il
compito ‘di accertare se, nel caso di specie, a fondamento della sentenza impugnata, la Corte

orbene al riguardo si osserva che il quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis c.p.c. non può mai
risolversi nella generica richiesta di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, e deve
invece comprendere l’indicazione sia della “regula iuris” adottata nel provvedimento impugnato,
sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in
sostituzione del primo, requisiti entrambi manifestamente insussistenti nella fattispecie; pertanto i
suddetti motivi sono inammissibili ai sensi dell’art. 366 “bis”c.p.c.

Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in
dispositivo.

P.Q.M.
La Corte
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di euro 200,00 per spese e di euro
2.500,00 per compensi.

Così deciso in Roma il 24-9-2013

Il Consigliere estensore

Il President

d’Appello di Palermo abbia rispettato o meno il regime dell’onere della prova tra le parti in causa”;

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