Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24164 del 17/11/2011

Cassazione civile sez. I, 17/11/2011, (ud. 10/10/2011, dep. 17/11/2011), n.24164

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FELICETTI Francesco – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14772/2007 proposto da:

G.V. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ASIAGO 9, presso l’avvocato CARUSO Luciano,

rappresentato e difeso dall’avvocato PAPALE ORAZIO, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1006/2006 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 18/10/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/10/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il Tribunale di Caltagirone, con la sentenza n. 12/04 del 22 gennaio 2004, pronunciò la separazione personale dei coniugi I.S. e G.V., addebitandola a quest’ultimo, e pose a carico dello stesso l’assegno mensile di Euro 300,00, per il mantenimento della moglie;

che avverso tale sentenza il G. propose appello principale, in punto addebitabilità della separazione dinanzi alla Corte di Catania, cui resistette la I., proponendo a sua volta appello incidentale, in punto misura dell’assegno di mantenimento;

che la Corte adita, con la sentenza n. 1006/06 del 18 ottobre 2006, respinse l’appello principale del G., accolse l’appello incidentale della I. e, in parziale riforma della sentenza impugnata, determinò l’assegno mensile per il mantenimento della moglie nella misura di Euro 500,00, a far data dalla pubblicazione della sentenza;

che, per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte: a) quanto alla conferma della pronuncia di addebito della separazione al G. ha affermato: “(…) alla stregua delle testimonianze pressochè unanimi dei tre figli della coppia in contesa, è emerso che la condotta mantenuta dal G. all’interno della famiglia, e nei confronti della moglie in particolare, fu gravemente lesiva dell’integrità psichica e morale, ancor prima di quella fisica, della donna e di tutto il nucleo familiare e, dunque, violativa dei doveri fondamentali nascenti dal matrimonio. Tanto è apparso assumere indubitabilmente efficacia causale rispetto alla crisi definitiva, alla finale situazione di totale fallimento della convivenza, rispetto alla quale, trattandosi di diritti e doveri non disponibili, non rileva l’eventuale tolleranza – durata nella specie per lunghissimo tempo – prestata da parte del coniuge più debole.

Simile deduzione è stata altresì rafforzata dal contenuto della sentenza penale prodotta in atti – sulla cui acquisizione controparte nulla ha opposto – atto che, attestando il contenuto delle particolareggiate deposizioni della donna e dei figli, documenta con chiarezza lo sconcertante abituale regime vessatorio cui per decenni la donna – e gli stessi figli – furono sottoposti ad opera del G.; le violenze, le ingiurie, le umiliazioni di ogni natura agite dall’uomo che avevano portato la donna ad un vero e proprio stato di prostrazione psicologica tanto da non trovare mai la forza di sottrarsi davvero, in quasi trentacinque anni, ad un vero e proprio calvario. E’ evidente che la gravità del quadro complessivamente emerso rende del tutto superfluo l’accertamento dell’allegata, ultima relazione extraconiugale e dell’epoca della sua effettiva verificazione”; b) quanto alla determinazione dell’assegno di mantenimento in favore della I., ha affermato che già dalle risultanze probatorie del giudizio di primo grado, in specie dalle indagini svolte dalla Guardia di Finanza, emergeva che la somma mensile di Euro 300,00 non appariva “congrua rispetto al presumibile tenore di vita assicurato durante il matrimonio dal capofamiglia”, tenuto anche conto del “permanente stato di non occupazione lavorativa della donna, da sempre deliberato dai coniugi”; ha aggiunto che, “pur prescindendo dalle possidenze immobiliari delle quali è traccia (talune comuni ai coniugi ed altre di sola pertinenza del marito), risultava che per l’anno 2000 il G. ebbe a percepire un reddito di L. 53.723.000 circa”; ha concluso che, “in mancanza della benchè minima contestazione dell’uomo circa l’inadeguatezza di mezzi economici lamentati dalla moglie e di qualsivoglia allegazione in ordine pure alle proprie attuali condizioni reddituali, che devono presumersi naturalmente incrementate nel tempo, sembra equo determinare il già riconosciuto assegno mensile in Euro 500,00”;

che avverso tale sentenza G.V. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura;

che I.S., benchè ritualmente intimata, non si è costituita nè ha svolto attività difensiva;

che il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo (con cui deduce: “Violazione norma di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3: violazione art. 132 c.p.c., per insufficiente motivazione”), il ricorrente – dopo aver riprodotto tutti i motivi d’appello concernenti sia la mancanza di prova certa della violazione dei doveri dei coniugi di cui all’art. 143 cod. civ., sia la mancanza di adeguata motivazione in ordine alla dichiarazione di addebito – critica la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici a quibus hanno motivato in modo insufficiente sull’addebito e menzionando, ad esempio, il punto della sentenza ove si richiamano le sue asserite relazioni extraconiugali; a conclusione del motivo, formula il seguente guesito di diritto: “Il Giudice di appello nella esposizione dei motivi di diritto, nella sentenza, deve obiettivamente trattare i singoli motivi posti a fondamento dell’atto di appello?”;

che il motivo è palesemente inammissibile, sia per l’inadeguata formulazione del quesito di diritto, sia per la omessa formulazione del cosiddetto “momento di sintesi”, sia per l’estrema genericità del contenuto del motivo di ricorso;

che infatti: quanto al quesito di diritto, lo stesso è formulato in modo del tutto astratto, senza alcun riferimento alla o alle concrete fattispecie sottostanti alle critiche dedotte; quanto all’evocato vizio di insufficiente motivazione, il motivo non si conclude nè con la chiara indicazione del fatto o dei fatti controversi in relazione ai quali il vizio è dedotto nè con le specifiche ragioni della asserita inidoneità della motivazione a giustificare la decisione impugnata, senza contare inoltre che l’unico fatto controverso menzionato “per esempio” – le contestate relazioni extraconiugali del ricorrente – è stato espressamente escluso dalla ratio decidendi, laddove i Giudici a quibus affermano: “E’ evidente che la gravità del quadro complessivamente emerso rende del tutto superfluo l’accertamento dell’allegata, ultima relazione extraconiugale e dell’epoca della sua effettiva verificazione”;

che, con il secondo motivo (con cui deduce: “Violazione norma di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3: violazione artt. 115-116 c.p.c., per errata disponibilità e valutazione delle prove”), il ricorrente critica, per altro verso, la sentenza impugnata, nella parte in cui pone a base della decisione le risultanze della sentenza penale, sostenendo che la Corte non ha sottoposto a rigoroso vaglio critico le testimonianze rese dinanzi al giudice penale e non ha considerato che tali testimonianze valgono, al più, come fonte di presunzione semplice;

che tale motivo è infondato;

che, infatti – posto il principio che il giudice civile, in presenza di una sentenza penale di condanna non definitiva, può trarre elementi di convincimento dalle risultanze del procedimento penale, in particolare utilizzando come fonti le prove raccolte e gli elementi di fatto acquisiti in tale giudizio, ma è necessario che il procedimento di formazione del proprio libero convincimento sia esplicitato nella motivazione della sentenza, attraverso l’indicazione degli elementi di prova e delle circostanze sui quali esso si fonda, non essendo sufficiente il generico richiamo alla pronuncia penale che si tradurrebbe nella elusione del dovere di autonoma valutazione delle complessive risultanze probatorie e di conseguenza nel vizio di omessa motivazione (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 10055 del 2010, 5009 del 2009 e 16559 del 2005) -, nella specie, la Corte di Catania ha tenuto conto innanzitutto delle prove testimoniali assunte dai Giudici di primo grado, dichiarando che tali elementi probatori, acquisiti direttamente, risultano soltanto “rafforzati” dalle deposizioni rese dai medesimi testimoni (moglie e figli del G.) in sede penale, ed ha precisato che il contenuto delle prove assunte direttamente in sede civile è il medesimo (violenze fisiche e psichiche perpetrate dal G. nei confronti della moglie e dei figli) di quello risultante dagli atti del giudizio penale, in tal modo mostrando di aver compiuto un’autonoma valutazione di tutto il complesso delle prove acquisite nel giudizio civile e, quindi, anche di quelle raccolte nel processo penale;

che , con il terzo motivo (con cui deduce: “Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”), il ricorrente – premesso che i fatti controversi richiamati nei motivi di appello sono: maltrattamenti e vessazioni, relazione extraconiugale e presunto incremento reddituale dello stesso ricorrente – critica la sentenza impugnata sotto il profilo degli enunciati vizi di motivazione, per insufficienza circa la inattendibilità e la contraddittorietà delle deposizioni testimoniali rese dalla moglie e dai figli, nonchè per insufficienza circa l’affermato incremento reddituale goduto dal ricorrente medesimo;

che il motivo è inammissibile, per omessa formulazione del cosiddetto “momento di sintesi” imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ.;

che infatti, secondo il costante orientamento di questa Corte – condiviso dal Collegio, la menzionata disposizione codicistica, applicabile alla specie ratione temporis, impone(va) l’obbligo, a pena di inammissibilità, in ordine alla proposizione di ciascun motivo riconducibile all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, di indicare in modo chiaro, sintetico, evidente ed autonomo, secondo l’univoca interpretazione datane da questa Corte, il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (cfr., ex plurimis, l’ordinanza n. 27680 del 2009 e la sentenza delle sezioni unite n. 16528 del 2008);

che nella specie, invece, il ricorrente ha omesso del tutto di formulare, a conclusione della illustrazione del motivo, detto “momento di sintesi” con le caratteristiche dianzi indicate;

che non sussistono i presupposti per provvedere sulle spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2011

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