Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24164 del 13/10/2017


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Cassazione civile, sez. I, 13/10/2017, (ud. 22/06/2017, dep.13/10/2017),  n. 24164

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25660/2011 proposto da:

Provincia Regionale di Agrigento, in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Largo G. Faravelli n.22,

presso lo studio dell’avvocato Romei Roberto, rappresentata e difesa

dall’avvocato Alletto Sergio, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento della (OMISSIS) S.p.a., in persona del curatore dott.

L.F.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via Linda Malnate

n.44, presso lo studio dell’ing. Vivirito Biagio, rappresentato e

difeso dall’avvocato Licata Maria, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1020/2010 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 21/07/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/06/2017 dal cons. DI VIRGILIO ROSA MARIA.

La Corte:

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza del 2-6 ottobre 2003, il Tribunale di Agrigento respingeva l’opposizione allo stato passivo del Fallimento dell’Agenzia siciliana per l’informatica – ASI spa, proposta dalla Provincia Regionale di Agrigento, rilevando, per quanto ancora interessa, che non poteva effettuarsi in sede fallimentare la compensazione tra il credito della Curatela nei confronti della Provincia, pari a Lire 3.188.719.250, ed il credito certo, liquido ed esigibile della Provincia pari a complessive Lire 3.058.736.495 (lire 2.849.311.695 quale somma vantata a titolo di ripetizione di indebito della somma versata in forza del D.I. n. 483 del 1996, revocato con sentenza del 2000, n. 310; Lire 200.000.000, a titolo di interessi per il ritardato pagamento della somma sopra indicata; Lire 9.424.800, a titolo di spese di lite in forza della sentenza 341/2001, ma non la somma di Lire 193.174.604, vantata in base al D.I. n. 306 del 2000, essendo stata prodotta solo la copia del precetto, ma non l’attestazione del passaggio in giudicato, nè il credito di Lire 37.872.364, per canoni di locazione, non essendo stata prodotta la convenzione-contratto) e che in ogni caso non ricorrevano i presupposti per l’insinuazione al passivo di alcuna somma, poichè l’importo del credito della Provincia era inferiore a quello della Curatela.

Con sentenza del 28/5-21/7/2010, la Corte d’appello di Palermo ha respinto l’appello della Provincia regionale, rilevando che pur dovendosi ritenere ammissibile la compensazione in sede fallimentare tra le opposte ragioni di credito, nella specie la Provincia non aveva opposto in compensazione il credito, affinchè gli organi fallimentari procedessero all’accertamento, ma aveva provveduto unilateralmente alla compensazione, chiedendo di insinuarsi al passivo per la somma di Lire 101.063.550, asseritamente dovuta quale differenza a proprio favore; che non erano stati ritenuti certi,liquidi ed esigibili il credito di Lire 193.174.604 e di Lire 37.872.364, per non essere stato provato il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo e per l’omessa produzione della convenzione contratto, che costituiva il titolo della richiesta dei canoni di locazione, nè la parte poteva supplire a tale carenza in appello stante la preclusione di cui all’art. 354 cod. proc. civ., nè l’appellante aveva mai chiesto di produrre nel giudizio di opposizione detti documenti giustificativi nè dedotto o dimostrato l’impossibilità della produzione, per cui doveva ritenersi corretta la pronuncia impugnata, per avere ritenuto che anche ove operata la compensazione, non vi sarebbe stato alcun credito da ammettere, essendo il credito della Provincia inferiore a quello della Curatela.

Ricorre avverso detta pronuncia la Provincia Regionale di Agrigento, sulla base di due motivi.

Il Fallimento si è difeso con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Col primo motivo, la ricorrente denuncia il vizio di ultrapetizione e la violazione dell’art. 56 legge fall. da parte della sentenza impugnata, per avere la Corte territoriale, senza appello incidentale sulla ritenuta ammissibilità della compensazione unilaterale da parte del Tribunale, negato detta possibilità, disconoscendo anche l’effetto immediatamente estintivo della compensazione, richiedendo che i crediti vantati verso il Fallimento dovessero essere sottoposti alla verifica fallimentare, ed essere oggetto di un autonomo provvedimento di insinuazione al passivo, negando che l’insinuazione potesse essere solo circoscritta alla quota di credito residuale dopo la compensazione.

Col secondo, si duole dell’erroneo mancato riconoscimento del credito di Lire 193.174.604 e di Lire 37.872.364, per l’asserito difetto di prova documentale, dovendosi di contro ammettere i crediti con riserva nella fase dell’ammissione al passivo, e dovendosi provare in appello solo I’ avvenuta “regolarizzazione” degli atti processuali “per la mancata applicazione del principio della riserva di produzione nel giudizio di ammissione al passivo”.

Il primo motivo è fondato, per quanto di seguito rilevato.

Anche a ritenere che la pronuncia impugnata non sia incorsa nel vizio di ultrapetizione denunciato, in ogni caso la Corte d’appello, deve ritenersi) abbia erroneamente applicato l’art. 56 legge fall., ed in particolare il principio espresso nella pronuncia Sez. U. del 14/7/2010, n. 16508 (seguita dalla recente ordinanza 22044/2016), secondo cui, quando il creditore richiede l’ammissione al passivo per un importo inferiore a quello originario deducendo la compensazione, l’esame del giudice delegato investe il titolo posto a fondamento della pretesa, la sua validità, la sua efficacia e la sua consistenza: ne consegue che il provvedimento di ammissione del credito residuo nei termini richiesti comporta implicitamente il riconoscimento della compensazione quale causa parzialmente estintiva della pretesa, riconoscimento che determina una preclusione endofallimentare, che opera in ogni ulteriore eventuale giudizio promosso per impugnare, sotto i sopra indicati profili dell’esistenza, validità, efficacia, consistenza, il titolo dal quale deriva il credito opposto in compensazione.

Ben poteva pertanto la Provincia regionale chiedere l’ammissione al passivo del credito residuo, operata la compensazione col controcredito del Fallimento.

E’ fondato anche il secondo mezzo, nei limiti di quanto di seguito rilevato.

Va richiamato in via preliminare il principio espresso nella pronuncia 6010/2003, in senso conforme alla precedente 965/95 (siamo nella vigenza della legge fallimentare ante riforma, come nel caso che qui interessa), secondo cui qualora un credito venga ammesso al passivo fallimentare con riserva di produzione dei documenti giustificativi, l’opposizione allo stato passivo a norma dell’art. 98 legge fall. costituisce l’unico mezzo per conseguire l’ammissione al passivo con eliminazione della riserva, non essendo a tal fine sufficiente il mero deposito dei documenti nella cancelleria del giudice delegato, o l’invio degli stessi al curatore, successivamente al decreto di esecutività dello stato passivo, perchè ciò equivarrebbe ad eludere il controllo degli altri creditori e, quindi, l’onere, incombente sull’istante, di dimostrare il proprio credito in contraddittorio.

Ne consegue che anche a ritenere l’ammissione con riserva dei due crediti di cui si discute (di Lire 193.174.604 e di Lire 37.872.364), la Provincia avrebbe dovuto proporre opposizione, giudizio nel quale si applicano le norme del rito ordinario, salva ogni specifica disciplina prevista nella legge fall., da cui l’applicazione in secondo grado dell’art. 345 cod. proc. civ., in relazione al quale con la pronuncia n. 1277 del 25/01/2016 (conforme alla precedente sentenza 14098/09 e conforme la successiva 3309/2017) questa Corte ha affermato che il giudizio di indispensabilità della prova nuova in appello, previsto dall’art. 345 c.p.c., comma 3, (fino alla riforma apportata dalla L. n. 134 del 2012, qui inapplicabile “ratione temporis”) con riferimento al rito di cognizione ordinaria e dall’art. 437 c.p.c., comma 2, per il processo del lavoro, non attiene al merito della decisione, ma al rito, atteso che la corrispondente questione rileva ai fini dell’accertamento della preclusione processuale eventualmente formatasi in ordine all’ammissibilità di una richiesta istruttoria di parte; ne consegue che, quando venga dedotta, in sede di legittimità, l’erroneità dell’ammissione o della dichiarazione di inammissibilità di una prova documentale in appello, la Corte di cassazione, chiamata ad accertare un “error in procedendo” è giudice anche del fatto, ed è quindi tenuta a stabilire essa stessa se si trattasse di prova indispensabile.

Ora, la Corte d’appello si è sottratta al giudizio di indispensabilità dei due documenti allegati dall’appellante (copia conforme del D.I. n. 306 del 2000, corredata dell’attestazione del passaggio in giudicato e copia della convenzione-contratto dell’11/3/1992, indicati a pag. 2 della sentenza), che le spettava d’ufficio, avendo rilevato che l’appellante non aveva chiesto nel giudizio di opposizione di produrre i documenti, nè aveva fatto cenno all’impossibilità di produrli “dimostrando in tal modo che l’uso di essi non era indispensabile alla decisione”.

Va resa a riguardo applicazione del recente arresto delle Sez. U. nella pronuncia 4/5/2017, n. 10790, secondo cui nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, quella di per sè idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado.

Conclusivamente, va accolto il ricorso nei termini sopra indicati e va cassata la pronuncia impugnata, con rimessione alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione, che si atterrà a quanto sopra rilevato e che provvederà anche a decidere sulle spese del presente giudizio.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la pronuncia impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2017

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