Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24163 del 17/11/2011

Cassazione civile sez. I, 17/11/2011, (ud. 29/09/2011, dep. 17/11/2011), n.24163

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25659/2009 proposto da:

P.E. (c.f. (OMISSIS)), in proprio e nella qualità di

erede di M.N.B. a sua volta unica erede di B.

I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 20, presso

l’avvocato TRALICCI Gina, che la rappresenta e difende, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositato il

04/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

29/09/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E MOTIVI

Ritenuto che la Corte di appello di Perugia con decreto del 4 giugno 2009 ha respinto la domanda di equo indennizzo della L. n. 89 del 2001, ex art. 2, di P.E. per l’irragionevole durata del processo intrapreso nell’anno 2000 dal proprio dante causa M. N.B. davanti al Tribunale di Roma in qualità di giudice del lavoro e definito dalla Corte di appello: ciò perchè il ricorrente non aveva documentato la propria qualità di erede avendo al riguardo prodotto soltanto una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, ai sensi del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 46, inidonea a dimostrarla; e perchè il processo non aveva avuto durata irragionevole, essendosi concluso in un anno per quanto riguarda la fase davanti al Tribunale ed essendo il M. deceduto nel (OMISSIS) mentre era in corso il giudizio di appello;

Che P.E. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo, con il quale ha insistito nella propria qualità di erede del M., sufficientemente dimostrata dalla produzione dell’atto notorio; e la cui mancanza non avrebbe potuto comunque essere rilevata di ufficio; Che la Corte di appello ha respinto la richiesta di equa riparazione non soltanto per aver ritenuto che la certificazione sostitutiva dell’atto di notorietà per il combinato disposto del D.P.R. n. 445 del 2000, artt. 46 e 47, non poteva essere addotta a sostegno della qualità di erede, ma anche perchè il processo presupposto non aveva avuto durata irragionevole e ne ha spiegato le ragioni, concludendo che il M. non aveva sofferto alcun danno patrimoniale per tale durata del tutto conforme ai parametri stabiliti dalla CEDU, osserva:

che ciascuna delle due ragioni era del tutto distinta ed autonoma rispetto all’altra e singolarmente idonea a sorreggere sul piano logico e giuridico la statuizione di rigetto della richiesta di indennizzo avanzata da P.E., per cui non soltanto la prima, ma anche la seconda relativa alla accertata durata ragionevole del processo presupposto doveva essere specificamente impugnata dal ricorrente per ottenere l’annullamento di tale capo sfavorevole della decisone.

Laddove nessuna censura specifica è stata formulata nei confronti di quest’ultima, mentre quella rivolta nei confronti della contestata qualità di erede non è stata corredata da idoneo quesito di diritto ex art. 366 cod. proc. civ., in quanto quello formulato ha riguardato soltanto l’avvenuto accertamento di ufficio della mancanza di tale qualità da parte della Corte territoriale.

Sicchè trova nel caso applicazione il principio, costantemente enunciato da questa Corte, secondo cui non è suscettibile d’essere cassata la sentenza fondata su vari ordini di ragioni, distinti ed autonomi, ognuno dei quali sia, in astratto, idoneo e sufficiente a legittimare il decisum, qualora taluno di essi risulti immune da vizi logici ed errori di diritto, o addirittura non sia stato impugnato poichè, qualunque possa essere la conclusione in ordine alla censura relativa alle altre regioni della pronuncia, la decisione rimarrebbe pur sempre ferma stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate (Cass. 12 maggio 1999 n. 4687; 24 novembre 1998 n. 11902; 5 ottobre 1998 n. 9866).

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore del ministero in complessivi Euro 1.000,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2011

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