Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24162 del 28/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 28/11/2016, (ud. 06/10/2016, dep. 28/11/2016), n.24162

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26991-2014 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTUUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO RICCI,

EMANUELA CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

nonchè contro

P.M.C. DECEDUTA, EREDI DI P.M.C.

COLLETTIVAMNETE ED IMPERSONALMENTE;

– intimati –

avverso il Decreto n. 784/2012 del TRIBUNALE di VIBO VALENTIA,

depositato l’08/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito l’Avvocato Clementina Pulli difensore del ricorrente che si

riporta ai motivi scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

L’INPS ha impugnato la statuizione di condanna alle spese di lite e di c.t.u., di cui al decreto di omologa emesso dal Giudice del Lavoro del Tribunale di Vibo Valentia nel procedimento per ATP instaurato, ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., da P.M.C. con ricorso inteso alla verifica del requisito sanitario prescritto ai fini dell’indennità di accompagnamento di cui alla L. n. 18 del 1980, art. 1.

Il ricorso è stato notificato sia alla originaria ricorrente, nelle more deceduta, sia agli credi, collettivamente e impersonalmente, nell’ultimo domicilio della P.. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Con il primo motivo di ricorso l’INPS ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92, 113 e 116 c.p.c., censurando la statuizione sulle spese in quanto adottata in violazione del criterio della soccombenza. Premesso che il ricorso ex art. 445 bis c.p.c., era inteso alla verifica del requisito sanitario necessario ai fini della prestazione di cui alla L. n. 18 del 1980, art. 1, ha evidenziato che l’accertamento del requisito sanitario era stato omologato “secondo le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio”; in base a tale consulenza, tuttavia, la periziata era risultata invalida al 100% ma non anche necessitante di assistenza continua per l’espletamento degli atti quotidiani della vità, nè incapace di autonoma deambulazione; in ragione degli esiti di tale accertamento era quindi da escludere la soccombenza dell’istituto.

Con il secondo motivo ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92, 113 e 116 c.p.c. e dell’art. 152 disp. att. c.p.c., censurando la decisione per aver posto a carico di esso istituto previdenziale le spese di ctu. Ha evidenziato che non sussistevano le condizioni per farsi luogo all’esonero dalle spese, in assenza di dichiarazione, ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., resa dall’interessata.

Il ricorso è ammissibile sulla scorta di quanto già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema in fattispecie analoga (cfr. Cass. n. 6084/14, cui si rinvia in parte qua), perchè là dove condanna l’INPS alle spese costituisce un provvedimento definitivo, di carattere decisorio, che incide indubbiamente sui diritti patrimoniali e che è non soggetto ad impugnazione in altre sedi.

Il ricorso è, altresì, manifestamente fondato.

La pronuncia sulle spese dell’ATP ex art. 445 bis c.p.c., è esplicitamente prevista dal comma 5 dello stesso articolo, ma deve pur sempre coordinarsi con il principio generale della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., comma 1 e con quello giurisprudenziale secondo cui in nessun caso la parte totalmente vittoriosa può essere condannata alle spese. Orbene, nel caso di specie, il giudice adito ha provveduto, nel decreto di omologa, alla statuizione sulle spese in favore della parte privata pur essendo indubbio che l’Istituto fosse totalmente vittorioso, non essendo stato riconosciuto alla P., il requisito sanitario da questa invocato, indispensabile al fine del conseguimento della prestazione ex L. n. 18 del 1980.

Vi è stata, dunque, una evidente e totale soccombenza della parte che ha intrapreso l’accertamento tecnico preventivo di cui all’art. 445 bis c.p.c., di guisa che l’INPS, totalmente vittorioso, non poteva essere condannato al pagamento delle spese in favore della parte privata (si vedano anche Cass. n. 11781 del 2015 n. 13550 del 2015).

A tanto consegue l’accoglimento del ricorso e la cassazione in panie qua del decreto di omologa; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa può essere decisa con condanna della parte privata alla rifusione all’INPS delle spese del procedimento per ATP e di quelle di c.t.u. nella misura già stabilita dal Giudice dell’omologa.

Sussistono giusti motivi di compensazione delle spese del giudizio di legittimità, non essendo ascrivibile al comportamento processuale degli odierni intimati la condanna dell’INPS alle spese di ctu. e del giudizio per ATP.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto di omologa in relazione alla statuizione sulle spese e, decidendo nel merito, condanna gli credi di P.M.C. alle spese del procedimento per ATP che liquida in Euro 600,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge, e alle spese di CTU nella misura determinata con separato decreto dal Giudice dell’omologa. Compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2016

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