Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2416 del 31/01/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 31/01/2017, (ud. 26/10/2016, dep.31/01/2017),  n. 2416

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19040/2011 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA POMPEO MAGNO 3,

presso lo studio dell’avvocato SAVERIO GIANNI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ENZO GULMANELLI giusta delega in

calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 2/2011 della COMM. TRIB. REG. dell’EMILIA

ROMAGNA, depositata il 17/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/10/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO;

udito per il ricorrente l’Avvocato GIANNI SAVERIO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MASELLIS Mariella, che ha concluso per l’accoglimento del 3° motivo

di ricorso, assorbiti gli altri.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

F.A., esercente l’attività di promotore finanziario, propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi ed illustrato da successiva memoria, avverso la sentenza con la quale la Commissione tributaria regionale della Emilia Romagna, in accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, ha negato il diritto al rimborso dell’IRAP versata dal contribuente per l’anno di imposta 2000.

L’Agenzia delle Entrate ha depositato mero atto di costituzione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo e il terzo motivo che, pur evocando distinti parametri normativi (art. 360 c.p.c., n. 3 e art. 360 c.p.c., n. 5), possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto l’assoggettabilità del contribuente ad IRAP nonostante dalla dichiarazione dei redditi e dal libro dei cespiti ammortizzabili prodotti in atti emergessero elementi idonei a dimostrare l’insussistenza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione.

2. Le censure sono fondate.

Il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, prevede quale presupposto per l’applicazione dell’IRAP “l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”. La Corte costituzionale, con sentenza n. 156 del 2001, ha ritenuto legittima l’imposta in quanto non colpisce il lavoro autonomo in sè, ma la capacità produttiva che deriva dalla “autonoma organizzazione”, non coincidente con l’autorganizzazione ma intesa come elemento impersonale ed aggiuntivo rispetto all’apporto del professionista. Alla luce della pronuncia della Consulta, nella giurisprudenza di questa Corte si è consolidato il principio (da ultimo ribadito da Cass., sez. un., 10-052016, n. 9451) secondo cui il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. La nozione di autonoma organizzazione si definisce, secondo l’orientamento giurisprudenziale in materia, come “contesto organizzativo esterno”, diverso ed ulteriore rispetto al mero ausilio dell’attività personale e costitutivo di un quid pluris che secondo il comune sentire, del quale il giudice di merito è portatore ed interprete, sia in grado di fornire un apprezzabile apporto al professionista.

Va, inoltre, osservato che il contrasto sorto in ordine al trattamento degli agenti di commercio e dei promotori finanziari – in quanto, ad un orientamento che assumeva, anche per questi contribuenti, la necessità del requisito dell’autonoma organizzazione, si contrapponeva quello che li riteneva, per il mero fatto di svolgere attività considerate come d’impresa dall’art. 2195 c.c., sempre soggetti al tributo -, è stato risolto dalle Sezioni Unite di questa Corte che, con le sentenze coeve del 26 maggio 2009, nn. 12108, 12109, 12110 e 12111, hanno escluso che gli agenti di commercio e i promotori finanziari siano ineluttabilmente compresi nel novero dei contribuenti comunque tenuti al pagamento dell’imposta. Occorre dunque, anche per costoro, verificare la sussistenza del requisito della autonoma organizzazione, costituendo in ogni caso onere del contribuente, che chieda il rimborso della imposta asseritamente non dovuta, dare la prova della assenza delle predette condizioni.

Nel caso di specie, la C.T.R. ha ritenuto che il contribuente non avesse dimostrato l’insussistenza del presupposto impositivo rilevando: “Risulta, infatti, da un esame dei dati prodotti in sede di dichiarazione dei redditi che il contribuente ha svolto la propria attività, di promotore finanziario, investendo capitali in beni strumentali, sostenendo costi consistenti a fronte di non meglio specificate componenti negative di reddito, non dettagliate nè documentate. Gli elementi emersi dall’analisi del quadro “RG” del modello Unico, per l’anno in questione, lasciano intuire che l’attività svolta è quella dell’imprenditore che si è organizzato per l’attività in proprio, dotandosi degli strumenti necessari ed investendo cifre consistenti nell’organizzazione della struttura”.

Tale motivazione si palesa carente, non avendo il giudice di merito indicato gli specifici concreti elementi da cui aveva tratto il proprio convincimento circa la sussistenza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione, omettendo nel contempo di esaminare i dati forniti dal contribuente, il quale aveva dedotto che, per il periodo di imposta in contestazione, dalla dichiarazione dei redditi emergeva un investimento complessivo di Lire 26.955.000, in assenza di costi per l’utilizzo di immobili o di lavoro altrui, mentre dal libro dei cespiti ammortizzabili risultava l’utilizzo di un’autovettura per uso promiscuo per il valore di Euro 19.085,67.

3. Resta così assorbito il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce la nullità della sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c., n. 4, per non essere stato comunicato, dopo il rinvio della causa a nuovo ruolo, l’avviso di fissazione di udienza nel nuovo studio del difensore, nonostante questi avesse comunicato il trasferimento alla segretaria della commissione tributaria regionale.

4. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Emilia Romagna in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Emilia Romagna in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017

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