Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24159 del 30/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/10/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 30/10/2020), n.24159

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27177-2018 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIANNONE 27,

presso lo studio dell’avvocato SIMONETTA CAPUTO, rappresentato e

difeso dagli avvocati STEFANIA DI PIETRO, FABRIZIO BINI;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE, B.L.,

B.E., L.A., G.C., REALE MUTUA

ASSICURAZIONI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2670/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 29/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LOREDANA

NAZZICONE.

 

Fatto

RILEVATO

– che la Corte d’appello di Napoli con sentenza del 29 maggio 2018, per quanto ancora rileva, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’ex amministratore unico di Fallimento (OMISSIS) s.r.l. avverso la decisione del Tribunale di Busto Arsizio dell'(OMISSIS), con la quale egli è stato condannato al risarcimento dei danni cagionati con la propria condotta, quantificati in Euro 5.255.216,00, oltre accessori;

– che contro questa sentenza propone ricorso il B., affidato ad un motivo;

– che non svolgono difese il Fallimento e gli altri intimati.

Diritto

RITENUTO

– che l’unico motivo del ricorso deduce la falsa applicazione dell’art. 43 L. Fall., in quanto il B. era legittimato a proporre appello, non essendo stato privato di tale facoltà a norma della disposizione citata, posto che, da un lato, essa lascia in capo all’amministratore della società fallita la facoltà di difendersi in proprio dalle accuse di mala gestio, e, dall’altro lato, il sopravvenuto fallimento anche della (OMISSIS) s.a.s., e per estensione del B. quale socio accomandatario, non lo privava del diritto di appellare la sentenza di primo grado, tenuto conto che tale facoltà non avrebbe potuto comunque traslare in capo al fallimento stesso, del quale curatore ed avvocato sono stati nominati le stesse persone fisiche che ricoprono tale ruolo nella procedura de qua, con conseguente palese conflitto di interessi; in definitiva, la corte d’appello ha errato, vuoi perchè il fallito mantiene la capacità processuale quando i rapporti dedotti in giudizio sono esclusi dal fallimento, vuoi perchè nella specie sussisteva un conflitto di interessi tra curatore e fallito;

– che la corte d’appello ha affermato, per quanto ancora interessa, come: a) la responsabilità per mala gestio dell’ex amministratore unico della s.r.l. è stata fondata dal Fallimento (OMISSIS) s.r.l. sull’acquisto di ramo di azienda dalla (OMISSIS) s.a.s., società di cui il medesimo B.M. era socio accomandatario; b) pure di tale società personale è stato dichiarato il fallimento; c) di conseguenza, il B. non è legittimato a proporre appello avverso la sentenza del Tribunale, che lo ha condannato a risarcire il danno alla s.r.l.;

– che, ciò posto, il motivo del ricorso è inammissibile;

– che, invero, il rapporto processuale che si instaura ai sensi dell’art. 146 L. Fall., vede – da un lato – il curatore, il quale subentra nell’esercizio delle azioni che spettano alla società per il reintegro del suo patrimonio (artt. 2393, 2407, 2476, comma 1), ed ai creditori sociali per l’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfarli (artt. 2394 e 2407), come espressamente disposto dall’art. 2394-bis, e – dall’altro lato – il componente dell’organo sociale, amministratore o sindaco, cui sia imputata la condotta dannosa, con produzione del danno quale conseguenza dell’inadempimento ai propri obblighi gestori o di controllo;

– che, pertanto, l’amministratore è passivamente legittimato al giudizio intrapreso dal fallimento della società amministrata, per essere chiamato a rispondere della sua condotta, ed egli, ove condannato in primo grado, avrà dunque facoltà di proporre appello;

– che, laddove egli sia stato, nelle more del giudizio di impugnazione, dichiarato fallito in proprio, la legittimazione ad appellare spetta al curatore del fallimento dell’amministratore, che potrà, quindi, proseguire nel giudizio de quo, subentrando nella posizione dell’amministratore fallito in proprio e proponendo l’appello nei confronti del fallimento della società già amministrata;

– che, a sua volta, quest’ultima potrà invece, sulla base della sentenza di primo grado che abbia condannato l’ex amministratore al risarcimento del danno, insinuarsi al passivo della relativa procedura concorsuale, ai sensi della L. Fall., art. 96, comma 3, n. 3, (per qualche cenno su tali profili, di recente cfr. Cass. 30 maggio 2019, n. 14768); infatti, secondo il sistema delineato dalla L. Fall., art. 52 e 95, ogni pretesa a contenuto patrimoniale svolta nei confronti del soggetto fallito deve essere azionata attraverso lo speciale procedimento endofallimentare dell’accertamento del passivo, da attivarsi avanti al tribunale fallimentare;

– che, pertanto, in tal caso il soggetto, condannato in primo grado e fallito, non ha il potere di impugnare la sentenza, subentrando al medesimo in ogni rapporto patrimoniale il curatore, per conto della massa, ai sensi dell’art. 43 L. Fall.;

– che tale principio, però, subisce eccezione – secondo una massima consolidata – quando sussista un conflitto di interessi tra il curatore, che dovrebbe subentrare all’amministratore condannato e proporre appello: invero, questa Corte ha più volte affermato come la dichiarazione di fallimento comporti la perdita della capacità di stare in giudizio nelle relative controversie, spettando la legittimazione processuale al curatore, ai sensi dell’art. 43 L. Fall., con l’eccezione dell’ipotesi in cui il fallito agisca per la tutela di diritti strettamente personali o quella in cui, pur trattandosi di rapporti patrimoniali, l’amministrazione fallimentare sia rimasta semplicemente inerte, pur in mancanza di una ponderata valutazione negativa al riguardo (principio risalente: cfr. Cass. 2 febbraio 2018, n. 2626, in motivazione; Cass. 6 luglio 2016, n. 13814; Cass. 25 ottobre 2013, n. 24159; Cass. 20 marzo 2012, n. 4448; Cass. 22 luglio 2005, n. 15369; Cass. 16 dicembre 2004, n. 23435);

– che, in tal caso, si verifica una cd. eccezionale legittimazione processuale del fallito, il quale conserva la capacità e la legittimazione processuale di fronte all’inerzia dell’amministrazione fallimentare, anche se tale legittimazione straordinaria o suppletiva è ammissibile sol quando siffatta inerzia sia stata determinata da un totale disinteresse degli organi fallimentari, e non anche, invece, allorchè consegua ad una negativa valutazione della convenienza della controversia;

– che, nella specie, la sentenza impugnata afferma l’intervenuto fallimento del B., in estensione del fallimento della s.a.s. amministrata, in data (OMISSIS), decisione confermata in appello il (OMISSIS), con conseguente passaggio in giudicato della stessa; e conclude, pertanto, negando la legittimazione ad appellare in capo all’amministratore fallito, cui è subentrato il relativo fallimento;

– che a tale pronuncia inammissibilmente si oppone il ricorrente, posto che per la prima volta in sede di giudizio di cassazione egli deduce il fatto nuovo della sua eccezionale legittimazione processuale, in forza della coincidenza delle persone fisiche del curatore e del legale nei due fallimenti: tuttavia, detta circostanza di fatto risulta non esaminata in nessun luogo dalla sentenza impugnata ed è, dunque, nuova in sede di legittimità;

– che, pertanto, occorre richiamare il costante insegnamento di questo giudice di legittimità, secondo cui, qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – sia stata del tutto ignorata dal giudice di merito, il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo alla Corte di controllare de visti la veridicità di tale asserzione (cfr. Cass. 24 gennaio 2019, n. 2038; Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 2 aprile 2014, n. 7694; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675; Cass. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. 31 agosto 2007, n. 18440): ed invero, i motivi del ricorso per cassazione devono investire a pena di inammissibilità questioni già comprese nel thema deddendum del giudizio di appello, di modo che è preclusa la proposizione di doglianze che, modificando la precedente impostazione, pongano a fondamento delle domande e delle eccezioni titoli diversi o introducano, comunque, piste ricostruttive fondate su elementi di fatto nuovi e difformi da quelli allegati nelle precedenti fasi processuali (cfr. Cass. 13 aprile 2004, n. 6989);

– che il ricorrente, contravvenendo al principio di specificità, non indica il contenuto degli specifici atti dei giudizi di merito, da cui desumere la fondatezza della doglianza, in particolare in quali atti egli avesse, innanzi al giudice di appello, segnalato i presupposti fattuali della applicabilità del predetto principio di conservazione in capo a lui dell’eccezionale legittimazione ad impugnare; mentre (cfr., e plurimis, Cass. 13 marzo 2018, n. 6014; Cass. 29 settembre 2017, n. 22880; Cass. 20 luglio 2012, n. 12664; Cass. 20 settembre 2006, n. 20405) la deduzione, con il ricorso per cassazione, di un error in procedendo, in relazione al quale la corte è anche giudice del fatto potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, esige che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo;

– che non vi è luogo alla liquidazione delle spese di lite, non svolgendo difese gli intimati.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2020

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA