Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24153 del 13/10/2017


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Cassazione civile, sez. I, 13/10/2017, (ud. 11/04/2017, dep.13/10/2017),  n. 24153

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria C. – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7995/2013 proposto da:

W.G.M.H. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in Roma, via Barnaba Tortolini n. 13, presso l’avvocato

Porcacchia Gianguido, che lo rappresenta e difende, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via

di Val Gardena n. 3, presso l’avvocato De Angelis Lucio, che la

rappresenta e difende, giusta procura speciale per Notaio Dott.

L.G.L. di Roma – Rep.n. 88.217 del 23.4.2013;

– controricorrente –

avverso la sentenza non definitiva n. 5167/08 e la sentenza

definitiva n. 3575/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositate

l’11/12/2008 e il 05/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/04/2017 dal cons. ALDO ANGELO DOLMETTA (est.).

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. – W.G.M.H. ricorre per cassazione nei confronti della Banca Nazionale del Lavoro, articolando cinque motivi avverso la sentenza parziale emessa dalla Corte di Appello di Roma l’11 dicembre 2008 e la sentenza definitiva emessa dalla stessa Corte il 5 luglio 2012.

2.- La vicenda processuale giunta all’esame di questa Corte prende tratto da un decreto ingiuntivo emesso, su ricorso della Banca, nel 1993 dal Presidente del Tribunale di Roma nei confronti di W.G., in qualità di fideiussore della s.p.a. Wamar e per debito da scoperto di conto corrente. Seguita tempestiva opposizione da parte dell’ingiunto, la sentenza n. 2700/2002 del Tribunale di Roma ha parzialmente accolto la medesima, in via correlata condannando l’attuale ricorrente al pagamento di una minor somma.

Nel giudizio di appello, promosso su iniziativa sempre dell’attuale ricorrente, la Corte romana ha dapprima accertato (con la sentenza parziale del 2008) l’invalidità delle “clausole che prevedevano il calcolo degli interessi in misura ultralegale e la capitalizzazione trimestrale”; successivamente, a mezzo di apposita CTU la Corte (con la sentenza definitiva del 2012) è giunta a quantificare la somma dovuta da W.G. alla Banca, così addivenendo a una ulteriore riduzione rispetto a quanto divisato nell’ambito del giudizio di primo grado.

3. – Nei confronti del ricorso proposto da W.G. resiste la Banca Nazionale del Lavoro, che ha depositato apposito controricorso.

Entrambe le parti hanno pure depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c..

4. – I motivi di ricorso, che sono stati svolti da W.G., denunziano i vizi qui di seguito richiamati.

Il primo motivo denuncia, in specie, “violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1339,1419 e 1346 c.c., art. 1418 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Il secondo motivo assume, poi, “violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 1283 c.c., e art. 1284 c.c., comma 2 e comma 3, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Il terzo motivo a sua volta censura “violazione e falsa applicazione dell’art. 2797 c.c. e art. 115 c.p.c.; art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il quarto motivo lamenta, inoltre, “carenza e contraddittorietà di motivazione su un fatto decisivo della controversia; art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Il quinto motivo rileva, infine, “violazione degli artt. 324 e 346 c.p.c. e art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

5.- Il primo motivo di doglianza rileva, in particolare, che la sentenza parziale della Corte romana – ravvisata la nullità per indeterminatezza della clausola contrattuale per cui “gli interessi dovuti dal correntista all’azienda di credito si intendono determinati alle condizioni usualmente praticate dall’azienda di credito sulla piazza” – non ha poi dichiarato la nullità delle clausole relative alla commissione di massimo scoperto e alle spese di tenuta conto. Pure queste clausole – riscontra il ricorrente – fanno riferimento allo stesso, identico criterio.

Il motivo è fondato.

In effetti, il radicale difetto di determinatezza che connota – per gli interessi – la clausola di rinvio agli usi praticati su piazza e che comporta, ai sensi dell’art. 1346 c.c., la nullità della stessa non può non valere, e in modo identico, quando la clausola venga riferita alla materia della commissione di massimo scoperto o a quella delle spese di tenuta conto.

La constatazione della nullità della ridetta clausola risponde, d’altro canto, a un orientamento del tutto consolidato di questa Corte (cfr., tra le più recenti pronunzie, Cass., 30 ottobre 2015, n. 22179).

6. – Con il secondo motivo, il ricorrente rileva che la sentenza parziale della Corte romana – dichiarata la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi – ha fissato un criterio di rideterminazione del computo anatocistico, individuandolo nel periodo annuale. Questa statuizione – riscontra il ricorrente – è errata, perchè, una volta dichiarata la nullità della clausola anatocistica per contrasto con la norma imperativa dell’art. 1283 c.c., comunque “resta esclusa la capitalizzazione tout court, prescindendo dalla sua periodicità”.

Il motivo è fondato.

Risponde infatti a un consolidato orientamento di questa Corte la rilevazione che, constatata la nullità della clausola di capitalizzazione predisposta dalla Banca, gli interessi a debito debbano essere calcolati senza procedere a nessuna capitalizzazione (cfr., in particolare, la pronuncia di Cass. SS.UU., 2 dicembre 2010, n. 24418).

7. – Il terzo motivo muove dalla constatazione che la Banca – onerata della prova del credito avanzato in sede di ricorso per decreto ingiuntivo – ha prodotto gli estratti conto non già dal tempo di inizio del rapporto, bensì solo da un dato momento di svolgimento del medesimo. Ed assume che – attesa una simile situazione (di mancata produzione integrale degli estratti conto) e considerato pure che, nel concreto, sul conto incidevano anche poste derivanti dall’applicazione di clausole nulle -, la sentenza definitiva della Corte romana avrebbe dovuto respingere senz’altro la pretesa della Banca e non già limitarsi a “portare” a zero il saldo del conto al tempo del primo estratto prodotto (come poi seguito senza interruzioni da tutti quelli temporalmente successivi).

Ad avviso del Collegio, questo motivo è infondato.

Secondo l’attuale orientamento di questa Corte, ai fini della prova del credito della Banca l'”assenza degli estratti conto per il periodo iniziale del rapporto non è astrattamente preclusiva di un’indagine contabile per il periodo successivo, potendo questa attestarsi sulla base di riferimento più sfavorevole per il creditore istante, quale, a titolo esemplificativo, quella di un calcolo che preveda l’inesistenza di un saldo debitore alla data dell’estratto conto iniziale”: così ora Cass., 25 maggio 2017, n. 13258 (che si richiama espressamente a Cass. 26 gennaio 2011, n. 1842). Secondo quanto si ritiene avvenga pure nel caso in cui sull’andamento del conto abbia inciso l’applicazione, da parte della Banca, di clausole nulle.

Il riposizionamento a zero del saldo al primo degli estratti conto prodotti (senza successive interruzioni) mostra con sicurezza che le annotazioni a debito del correntista, che si trovino appostate successivamente sul conto (e non conseguano all’applicazione di clausole nulle), esprimono la sussistenza di un credito della Banca. Salva comunque restando, naturalmente, la possibilità per il correntista di dare prova – pure ricorrendo alle facoltà di cui alla norma dell’art. 119, comma 4 del testo unico bancario – di avere effettuato, in epoca precedente al primo degli estratti conto prodotti, dei versamenti indebiti.

8. – Il quarto motivo e il quinto motivo di ricorso risultano assorbiti dall’accoglimento dei primi due motivi.

9. – In conclusione, vanno accolti il primo e il secondo motivo, assorbiti il quarto e il quinto, respinto il terzo. Le sentenze della Corte territoriale, che sono state impugnate, vanno quindi cassate e la controversia rinviata alla Corte di Appello di Roma che, in diversa composizione, giudicherà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

La Corte accogli il ricorso nei termini di cui in motivazione e cassa le sentenze impugnate con rinvio della controversia alla Corte di Appello di Roma che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2017

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