Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2415 del 04/02/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 2415 Anno 2014
Presidente: MASSERA MAURIZIO
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA

SENTENZA

sul ricorso 3620-2008 proposto da:
S.T.A.

S.r.l.

03677160877

in

persona

dell’Amministratore Unico Rag. SEBASTIANO CASTORINA,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALESSANDRIA
119, presso lo studio dell’avvocato NAVARRA GIANCARLO,
rappresentata e difesa dagli avvocati ALIQUO’
2013

GIUSEPPE, TISA MARIA giusta delega in atti;
– ricorrente –

2208

contro
E.C.A.P.

AGRIGENTO 80005920840 in persona del legale

rappresentante pro tempore Avv. IGNAZIO VALENZA,

1

Data pubblicazione: 04/02/2014

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MANFREDI 11,
presso lo studio dell’avvocato VALENTI GIULIO,
rappresentata e difesa dall’avvocato LO RE SALVATORE
giusta delega in atti;
– controricorrente –

CGIL CAMERA CONFEDERALE E DEL LAVORO DI AGRIGENTO,
C.G.I.L. SICILIA;
– intimati –

avverso la sentenza n. 968/2007 del TRIBUNALE di
AGRIGENTO, depositata il 17/10/2007, R.G.N. 1965/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/11/2013 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA
AMBROSIO;
udito l’Avvocato MARIA TISA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

2

nonchè contro

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 21.06.2006 l’E.C.A.P. Agrigento si opponeva
al pignoramento, eseguito ai suoi danni e presso il terzo
Banco di Sicilia, dalla S.T.A. s.r.l. sino alla concorrenza di
C 900.000,00 in forza di decreto ingiuntivo emesso dal

confronti dell’E.C.A.P. C.G.I.L. Ente Confederale
Addestramento Professionale di Agrigento e a favore della
ISIFIN Leasing s.p.a. (del cui concordato fallimentare la
S.T.A. s.r.l. si era resa assuntrice). L’opponente eccepiva,
tra l’altro, il proprio difetto di legittimazione passiva,
trattandosi di soggetto diverso da quello nei cui confronti
era stato emesso il titolo giudiziale, nonché il vincolo di
destinazione

ex lege

n.23/2020 Regione Sicilia sulle somme

pignorate.
L’adito G.E.

di Agrigento disponeva la sospensione

dell’esecuzione e autorizzava la chiamata in causa della
C.G.I.L. Camera Confederale del Lavoro di Agrigento, nonché
della C.G.I.L. Sicilia.
Resisteva la S.T.A. s.r.1., che otteneva la revoca della
sospensione in sede di reclamo.
Sia la C.G.I.L. di Agrigento che la C.G.I.L. Sicilia
deducevano la propria carenza di legittimazione passiva.
La causa era decisa con sentenza in data 17.10.2007 con la
quale il Tribunale di Agrigento così provvedeva: dichiarava la
carenza di diritto in capo all’opposta a poter procedere
esecutivamente nei confronti dell’opponente; dichiarava,
altresì, l’impignorabilità delle somme staggite in pregiudizio

3

9c2iP

presidente del Tribunale di Catania in data 10.10.1993 nei

dell’opponente presso il Banco di Sicilia s.p.a.; dichiarava
per l’effetto la giuridica inefficacia del pignoramento;
condannava l’opposta al pagamento delle spese processuali in
favore dell’opponente; compensava le stesse spese tra le altre
parti.

la S.T.A. s.r.l. (erroneamente indicata nell’epigrafe del
ricorso come S.T.A. s.p.a., con denominazione poi corretta
nelle intestazioni delle memorie in atti), svolgendo due
motivi.
Ha

resistito

l’E.C.A.P.

Agrigento,

depositando

controricorso.
Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte delle
altre intimate C.G.I.L. Camera Confederale del Lavoro di
Agrigento e C.G.I.L. Sicilia.

mcarvI DELLA DECISIONE
1. Innanzitutto va rilevata la manifesta infondatezza
dell’eccezione pregiudiziale di inammissibilità del ricorso,
prospettata da parte resistente sul presupposto che

«il

procuratore dell’E.C.A.P.-Agrigento, costituito nel giudizio
di primo grado, non fosse l’Avv. Salvatore Lo Re, al quale è
stato notificato 11 ricorso, bensì lo “studio legale Avv.
Salvatore Lo Re & Avv. Ignazio Valenza s.t.p.»

(così a pag. 5

del controricorso).
Invero – precisato che l’associazione tra professionisti
(nella specie, tra avvocati) non configurandosi come centro
autonomo di interessi dotato di propria autonomia strutturale
e funzionale, né come ente collettivo, non assume la

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Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione

titolarità del rapporto con i clienti, in sostituzione ovvero
in aggiunta al professionista associato (Cass. 10 luglio 2006,
n. 15633) – il Collegio rileva che non solo è errato in
diritto l’assunto che vorrebbe riferire allo “studio”, e non
al professionista, il mandato alle liti, ma è anche errato il

risulta dall’epigrafe della sentenza impugnata, nel giudizio
di merito l’E.C.A.P. Agrigento era costituito con il
patrocinio dell’avv. Salvatore Lo Re; inoltre la medesima
sentenza è stata notificata ad iniziativa del predetto avv.
Salvatore Lo Re (e ciò, dichiaratamente,
di legale rappresentante”

“in proprio e/o n.q.

dello studio professionale). Ne

deriva che non è configurabile alcun vizio della
notificazione; in ogni caso l’eventuale vizio risulterebbe
sanato per raggiungimento dello scopo.
2. Il Tribunale ha dichiarato

«la carenza del diritto in

capo all’opposta a poter procedere esecutivamente nei
confronti dell’opponente»,

nonché

«l’impignorabilità delle

somme staggite in pregiudizio dell’opponente presso il Banco
di Sicilia»

esprimendo una duplice

ratio decidendi,

ognuna

delle quali è idonea a sorreggere l’accoglimento
dell’opposizione all’esecuzione: da un lato, ha escluso – non
già la legittimazione attiva della S.T.A. s.r.1., come
potrebbe far supporre il dispositivo – bensì la legittimazione
passiva dell’E.C.A.P. Agrigento rispetto all’azione esecutiva
intrapresa ai suoi danni, per la considerazione che l’E.C.A.P.
Agrigento è soggetto diverso dell’E.C.A.P. Ente Confederale
per l’Addestramento Professionale di Agrigento nei cui

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presupposto fattuale da cui muove l’eccezione. Invero, come

confronti la ISIFIN Leasing s.p.a. (di cui la S.T.A. s.r.l.
era assuntore del concordato fallimentare) aveva ottenuto in
data 10.10.1993 il decreto ingiuntivo di pagamento posto a
fondamento dell’esecuzione; dall’altro, ha ritenuto che l’art.
23 L.R. Sicilia n. 36 del 1990 ponesse un vincolo di
lege

opponibile a terzi, da cui derivava

l’impignorabilità delle somme di cui l’E.C.A.P. Agrigento
aveva la mera gestione.
In particolare, sotto il primo profilo, il Tribunale ha
proceduto alla disamina dell’atto pubblico in data 23.06.2000
costitutivo dell’E.C.A.P. Agrigento e della precedente
delibera in data 05.05.2000 della C.G.I.L. Sicilia, osservando
che – mentre E.C.A.P. Ente Confederale per l’Addestramento
Professionale di Agrigento costituiva, unitamente ad altri
enti similari operanti a livello provinciale e all’E.C.A.P.
Ente Confederale per l’Addestramento Professionale Sicilia
operante a livello regionale, un’emanazione della C.G.I.L.
Sicilia – l’E.C.A.P. Agrigento era stata costituita, come
associazione di fatto, nel giugno del 2000, in attuazione
della delibera sopra citata, con la quale la C.G.I.L. Sicilia
aveva disposto la trasformazione dei precedenti enti,
contestualmente accollandosi i debiti pregressi della
dell’articolazione regionale e prevedendo, invece, che le
Camere del lavoro territoriali si accollassero le obbligazioni
delle diramazioni provinciali.
Il fenomeno – esclusa l’ipotesi della trasformazione di un
ente, non sussistendo i presupposti di cui all’art.2488 cod.
civ.

(rectius art. 2498 cod. civ.) – è stato ricondotto dal

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destinazione ex

Tribunale all’ambito della successione a titolo particolare,
con specifico riferimento al tenore della delibera in punto di
accollo dei debiti, con la precisazione che, in ogni caso,
l’associazione non poteva ritenersi estinta fino a che fossero
pendenti rapporti giuridici che ad essa facevano capo.

della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e
antecedente al 4 luglio 2009) – è soggetto, in forza del
combinato disposto di cui al d.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40,
art. 27, comma 2 e della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58,
alla disciplina di cui agli artt. 360 cod. proc. civ. e segg.
come risultanti per effetto del cit. d.Lgs. n. 40 del 2006.
2.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso o
decisivo per il giudizio, omessa e/o erronea valutazione di
risultanze processuali (art.360 n.5 cod. proc. civ.). Il
motivo si conclude con il seguente quesito:

«se in materia di

associazioni non riconosciute sia possibile un fenomeno di
trasformazione senza soluzione di continuità implicante la
successione a titolo universale».
2.2. Innanzitutto si rileva che, a mente dell’ultima parte
dell’art. 366
temporis,

bis

cod. proc. civ., applicabile

ratione

nonostante la formale abrogazione della norma,

attesa l’univoca volontà del legislatore di assicurare ultraattività alla medesima (per tutte, v. espressamente Cass. 27
gennaio 2012, n. 1194), il motivo di ricorso proposto in
relazione al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. deve essere
corredato, a pena di inammissibilità, da uno specifico momento

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2. Il ricorso – avuto riguardo alla data della pronuncia

di sintesi (la «chiara indicazione»),

da cui risulti non solo

«il fatto controverso» in riferimento al quale la motivazione
si assume omessa o contraddittoria, ma anche – se non
soprattutto – «la decisività» del vizio, e cioè le ragioni
per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la

ottobre 2007, n.20603; Cass. ord., 18 luglio 2007, n.16002;
Cass. ord. 7 aprile 2008, n.8897). Tale requisito non può,
dunque, ritenersi rispettato quando solo la completa lettura
dell’illustrazione del motivo – all’esito di
un’interpretazione svolta dal lettore, anziché su indicazione
della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto
ed il significato delle censure (Cass., ord. 18 luglio 2007,
n. 16002).
Orbene il motivo all’esame – formalmente proposto in
relazione al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. e denunciante
«contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
nonché

decisivo per il giudizio»,

«omessa e/o erronea

valutazione di risultanze processuali» –

non contiene il

“momento di sintesi” richiesto dalla seconda parte dell’art.
366 bis cod. proc. civ. in relazione al vizio motivazionale,
ma è corredato da un “quesito”, che affida a questa Corte il
compito di risolvere una questione teorica e astratta, in
ordine alla possibilità o meno di configurare una non meglio
precisata “trasformazione senza soluzione di continuità” di
un’associazione di fatto.
2.2. Valga considerare che il problema che pone il ricorso
– e cioè quello della “continuità” o meno dell’E.C.A.P.

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rende inidonea a giustificare la decisione (cfr. Sez. Unite, l

Agrigento rispetto al “vecchio” E.C.A.P. C.G.I.L. Agrigento,
problema risolto negativamente dal giudice del merito sulla
base degli atti sopra citati – andava proposto, non già
prospettando astratte possibilità di “trasformazione” delle
associazioni di fatto, bensì denunciando l’inosservanza dei

l’insufficienza

o

contraddittorietà

della

motivazione

nell’interpretazione degli atti in questione; nel primo caso
articolando uno specifico quesito di diritto, da cui emergesse
la violazione delle norme denunciate,
all’enunciazione di

una

diverso

(e prevalente)

funzionale
criterio

ermeneutico; nel secondo caso, corredando il motivo da un
momento di sintesi (c.d. quesito di fatto) che, pur libero da
qualsiasi rigidità formale, si concretizzasse in una
esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in
relazione al quale la motivazione si assuma omessa o
contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta
insufficienza di motivazione la rende inidonea a giustificare
la decisione (cfr. Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556). Sotto
questo profilo l’incongrua formulazione del quesito a corredo
del motivo non costituisce altro, che il riflesso dell’erronea
individuazione della stessa tipologia di vizio.
Il motivo va, dunque, dichiarato inammissibile.
3. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione
e falsa applicazione dell’art. 2740 cod. civ., violazione e
falsa applicazione dell’art. 514 cod. proc. civ.; violazione o
falsa applicazione dell’art. 23 L.R. Sicilia n. 36 del
21.09.1990; violazione o falsa applicazione degli artt. 4 e 9

9

criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero

della L.R. Sicilia n. 24 del 6.03.1976, violazione e falsa
interpretazione dell’art.2697 cod. civ. (art. 360 n.3 cod.
proc. civ.). Il motivo si conclude con i seguenti quesiti:
«se, in mancanza di una espressa previsione di
impignorabilità, il vincolo di destinazione non è di per sé

codice civile e se il vincolo di destinazione impresso
dall’art. 23 della L.R. n.36/1999 è inidoneo ad escludere la
responsabilità patrimoniale degli enti cui è affidata la
gestione delle attività formative»; «se, in relazione alla
disposizione normativa sancita all’art. 514 c.p.c. le somme di
danaro siano escluse dal novero delle cose mobili
impignorabili, anche quando le stesse costituiscono strumento
per l’esercizio delle attività del debitore esecutato»; «se in
relazione agli artt. 4 e 9 della L. R. n.24 del 6.3.1976, i
contributi erogati dalla Regione Siciliana possano essere
destinati (anche) all’acquisto di macchinari ed attrezzature,
sicchè, le somme possono essere pignorate ove il credito per
il quale si procede scaturisca dall’assunzione parte dell’ente
di una obbligazione collegata alla gestione della formazione
professionale»; «se in relazione al disposto dell’art. 23
della L.R. Sicilia n. 36 del 21.9.1999, il vincolo di
destinazione impresso alle stesse dalla legge costituisce
solamente un obbligo personale che vincola l’associazione a
usare i finanziamenti per lo svolgimento dei progetti
formativi e non un vincolo reale opponibile a terzi»; «se, in
relazione alla disposizione normativa di cui all’art. 2697 del
codice civile incombe sul debitore che opponga

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idoneo a limitare la responsabilità di cui all’art. 2740

l’impignorabilità delle somme perché soggette a vincolo di
destinazione provare che tra quelle sta ggite non ve ne siano
altre diverse e non soggette al vincolo».
3.1. Anche il presente motivo è inammissibile.
Invero – secondo un orientamento assolutamente pacifico

nella specie deve trovare ulteriore conferma ove una
sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni, tutte
autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere
alla cassazione della pronunzia, non solo che ciascuna di esse
abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il
ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con
l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo
scopo stesso dell’impugnazione. Questa, infatti, è intesa alla
cassazione della sentenza in toto,

o in un suo singolo capo,

e, quindi, di tutte le ragioni che autonomamente l’una o
l’altro sorreggano. E’ sufficiente, pertanto, che anche una
sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero
che sia respinta la censura relativa anche ad una sola delle
dette ragioni, perchè il motivo di impugnazione debba essere
respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per
difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni (in
tale senso, ad esempio, tra le tantissime, Cass. 18 maggio
2005, n. 10420; Cass. 4 febbraio 2005, n. 2274; Cass. 26
maggio 2004, n. 10134).
3.2. Ciò posto in via di principio e considerato che, nella
specie, per quanto sopra evidenziato, la decisione trova
fondamento in un duplice ordine di argomentazioni, ognuna di

11

presso la giurisprudenza di questa Corte regolatrice e che

per sé idonea a giustificare l’accoglimento dell’opposizione
all’esecuzione con la declaratoria di

«giuridica inefficacia»

del pignoramento, l’inammissibilità del motivo di ricorso, con
il quale è stata censurato la prima delle due
decidendi,

rationes

comporta inevitabilmente l’inammissibilità anche

ratio decidendi, per carenza di interesse (art. 100 cod. proc.
civ.).
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in
dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 140
del 2012, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte
ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate in C 10.200,00 (di cui C 200,00 per esborsi) oltre
accessori come per legge.

del secondo motivo di ricorso, con cui si censura l’altra

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