Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24144 del 13/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 13/10/2017, (ud. 22/09/2017, dep.13/10/2017),  n. 24144

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28587-2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

GPN TORINO SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 49/2010 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 23/09/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/09/2017 dal Consigliere Dott. DE MASI ORONZO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, con sentenza n. 49/29/10, depositata il 23/9/2010, in accoglimento dell’appello proposto dalla G.P.N. TORINO s.r.l., nei confronti dall’Agenzia delle Entrate, riformava la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Torino, che aveva respinto il ricorso della contribuente avverso la cartella di pagamento, ad essa notificata, per il recupero di somme a debito derivanti dal condono per imposte relative agli anni dal 1997 al 2001, essendo risultate non versate le rate previste per la definizione agevolata L. n. 289 del 2002, ex art. 9, dei predetti carichi fiscali;

che il Giudice di appello, per quanto qui d’interesse, osservava che “i versamenti eseguiti con un ritardo non superiore a 30 giorni” determinano una riduzione della prevista sanzione, e che la corresponsione, in data 20/7/2004, di Euro 2.114,38, pari all’esatto importo della sanzione calcolata sull’importo della terza rata”, unitamente al versamento di Euro 14.124,82, non lasciava alcun dubbio circa la rata alla quale si riferiva il ritardato versamento, perchè la volontà della contribuente di una determinata imputazione era stata espressa mediante un comportamento concludente, per cui illegittima era la diversa imputazione operata dall’Ufficio;

che l’Agenzia delle Entrate ha chiesto la cassazione della sentenza della CTR con tre motivi di ricorso, mentre la contribuente non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1193 c.c., e L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 12, giacchè il Giudice di appello, attribuendo erroneamente rilevanza al comportamento concludente della contribuente, ha finito per disattendere i criteri legali d’imputazione dei pagamenti da applicare nella fattispecie esaminata;

che, in via subordinata, con il secondo motivo d’impugnazione, lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1193 c.c., e L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 12, giacchè il Giudice di appello non ha considerato che la facoltà di imputazione prevista dal codice civile presuppone l’esistenza di più debiti della medesima specie, mentre all’esito della istanza di definizione automatica mediante rateizzazione delle somme da versare, in capo alla contribuente residuava un unico debito, da pagarsi alle prescritte scadenze del 30 novembre 2003 (seconda rata di Euro 13.874,00) e del 20 giugno 2004 (terza rata di Euro 13.847,00), per cui la debitrice non poteva imputare il pagamento eseguito ad una rata, piuttosto che ad un’altra, e del tutto legittimamente, ai sensi dell’art. 1193 c.c., comma 2, l’Ufficio ha imputato gli importi di Euro 14.124,82 e di Euro 2.114,38, versati in data 20/7/2004, quello minore pretesamente da riferire a sanzioni (codice (OMISSIS)), al debito più antico, rappresentato dalla seconda rata di condono, in quanto scaduta da più tempo (30 novembre 2003);

che, sempre in via subordinata, con il terzo motivo d’impugnazione, lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, motivazione insufficiente, giacchè il Giudice di appello non ha indicato i facta concludentia dai quali ha desunto la volontà della contribuente circa la destinazione delle somme versate;

che la contribuente, avendo aderito alla definizione automatica L. n. 289 del 2002, ex art. 9, a mezzo di pagamento rateale di Euro 33.694,00, ebbe ad effettuare all’Erario “il primo versamento di Euro 6.000 in data 16 maggio 2003”, e non è oggetto di contestazione che “non ha provveduto al pagamento delle due rate successive entro le scadenze stabilite”, rispettivamente, il 30 novembre 2003 ed il 20 giugno2004, ammontanti ad Euro 13.847,00, ciascuna, e neppure che ha effettuato, “in data 20 luglio 2004”, il “versamento di Euro 14.124,82, unitamente ad un versamento a titolo di sanzione, con codice (OMISSIS), per l’importo di Euro 2.114,38”;

che la contribuente, nel ricorso introduttivo del giudizio, si doleva del fatto che l’Ufficio, il quale aveva proceduto alla iscrizione a ruolo per il recupero delle somme non corrisposte, delle sanzioni e degli interessi, dopo aver imputato l’importo versato il 20/7/2004 dalla società G.P.N. TORINO a quanto dovuto per la seconda rata di condono, quale debito più risalente, e non già a quanto dovuto per la terza rata, con conseguente riduzione del 30 per cento della relativa sanzione, essendo il pagamento in questione intervenuto entro il termine di 30 giorni dalla scadenza, appunto, di detta ultima rata;

che, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 12, “Qualora gli importi da versare ai sensi del presente articolo eccedano complessivamente, per le persone fisiche, la somma di 3.000 Euro e, per gli altri soggetti, la somma di 6.000 Euro, gli importi eccedenti possono essere versati in due rate, di pari importo, entro il 30 novembre 2003 ed il 20 giugno 2004, maggiorati degli interessi legali a decorrere dal 17 aprile 2003. L’omesso versamento delle predette eccedenze entro le date indicate non determina l’inefficacia della integrazione; per il recupero delle somme non corrisposte a tali scadenze si applicano le disposizioni del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 14 e successive modificazioni, e sono altresì dovuti una sanzione amministrativa pari al 30 per cento delle somme non versate, ridotta alla metà in caso di versamento eseguito entro i trenta giorni successivi alla scadenza medesima, e gli interessi legali”;

che, nel caso di pagamento rateale, il mancato versamento delle rate successive alla prima non determina l’inefficacia della “integrazione” in quanto, come questa Corte ha avuto modo di osservare, dalla L. n. 289 del 2002 emerge “un sistema che condiziona l’insorgere della situazione “premiale” – il condono nelle sue varie forme all’impegno assunto dal contribuente con la relativa istanza di versare l’importo determinato dalla legge, asseverato, nel caso di rateizzazione dell’importo medesimo, dal versamento della prima rata: tanto è sufficiente perchè il condono diventi irrevocabile sia per il contribuente, che resta obbligato al pagamento di quanto si è impegnato a corrispondere, sia per l’amministrazione finanziaria, che potrà limitare la propria azione al solo recupero delle rate (del pagamento promesso dal contribuente) successive alla prima che siano state eventualmente non corrisposte nei termini previsti” (Cass. n. 6370/2006, n. 16400/2015);

che, dunque, con la presentazione della domanda di condono e l’esecuzione del primo versamento, si determinata la definitiva sostituzione dell’obbligazione assunta dalla società contribuente all’originaria obbligazione tributaria, per cui, il mancato pagamento delle successive rate ha come unica conseguenza il recupero delle somme non corrisposte alle scadenze, mediante iscrizione a ruolo (a titolo definitivo), ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 14, con addebito della sanzione amministrativa pari al 30 per cento delle somme non versate, ridotta alla metà in caso di versamento eseguito entro i trenta giorni successivi alla scadenza medesima, oltre agli interessi legali;

che il Giudice di appello, tenuto conto dei suindicati principi, non ha fatto corretta applicazione delle regole dettate dall’art. 1193 c.c., in quanto con il mancato versamento delle singole rate nel termine per ciascuna di esse previsto, si esauriscono gli effetti della dilazione accordata al contribuente, sicchè è corretto ricondurre i relativi importi all’unica obbligazione assunta dalla società G.P.N. TORINO con l’adesione al condono, atteso che la possibilità di soddisfare un debito in più soluzioni, mediante cioè pagamento rateale, non genera l’esistenza di una pluralità di debiti della medesima specie dallo stesso debitore verso uno stesso creditore;

che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, “le disposizioni dell’art. 1193 c.c., sull’individuazione del debito al quale riferire l’adempimento, presuppongono una pluralità di rapporti obbligatori tra le stesse parti, ed hanno lo scopo di eliminare l’incertezza circa la sorte degli stessi, evitando che a ciascun atto di pagamento non segua l’effetto solutorio di una ben determinata obbligazione”, per cui “la questione dell’imputazione del pagamento non è proponibile quando sussista un unico debito, perchè l’adempimento di questo, se è totale, ne determina l’estinzione e, se è parziale, comporta la permanenza dell’ obbligazione di eseguire la prestazione nella parte residua” (Cass. n. 12938/1993);

che, pertanto, la contribuente non aveva la facoltà di imputare il pagamento parziale ad una piuttosto che ad un’altra delle rate scadute, ed essendosi resa inadempiente all’impegno assunto aderendo al condono, è incorsa nelle conseguenze in precedenza ricordate, conseguenze che l’Ufficio ha legittimamente inteso fatto valere con l’iscrizione a ruolo e l’emissione della impugnata cartella di pagamento;

che, in conclusione, il primo motivo di ricorso va accolto, con assorbimento degli altri motivi d’impugnazione, e la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, potendo la causa essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto del ricorso introduttivo della ricorrente;

che l’evoluzione della vicenda processuale giustifica la compensazione delle spese di giudizio del merito, mentre quelle di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

 

La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente. Compensa le spese dei gradi di merito e condanna l’intimata al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 22 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2017

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