Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24136 del 30/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 30/10/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 30/10/2020), n.24136

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25619-2014 proposto da:

D.F.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA

121, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO COMITO, rappresentata e

difesa dall’avvocato LUIGIA COTRONEO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

CLEMENTINA PULLI, MAURO RICCI, EMANUELA CAPANNOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 638/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 29/04/2014 R.G.N. 854/2011.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 638 del 2014, la Corte d’appello di Messina ha rigettato l’impugnazione proposta da D.F.M. avverso la sentenza del Giudice del lavoro della stessa sede, avente ad oggetto il riconoscimento del diritto della D.F. al ricalcolo della pensione privilegiata per inabilità alla navigazione, sulla base di 2080 settimane lavorative anzichè 1575, e la conseguente condanna dell’Inps al pagamento della somma di Euro 39.851,27 per il periodo compreso tra giugno 2004 e febbraio 2009;

il primo giudice aveva rigettato la domanda in ragione dell’assenza del requisito sanitario e la D.F. aveva impugnato la sentenza lamentando che l’Inps non aveva mai contestato il requisito sanitario, come dimostrato dal fatto che la domanda amministrativa era stata accolta dall’Istituto, benchè in sede di procedimento amministrativo di riconoscimento della pensione fosse stato operato un erroneo riferimento alla pensione di invalidità cat. PM 09227686; l’infermità da cui era affetta, inoltre, era dovuta a causa di servizio connessa all’imbarco e verificatasi durante l’imbarco;

la Corte territoriale ha premesso che in effetti l’INPS aveva riferito che la ricorrente fruiva di pensione di inabilità alla navigazione, concessale con decorrenza dal giugno 2004, e che la domanda amministrativa era stata accolta con lettera del 17 marzo 2005, sebbene tale trattamento fosse stato erroneamente indicato quale pensione di invalidità; in realtà, ad avviso della sentenza impugnata, l’INPS era incorso in ulteriore errore giacchè, pur riconoscendo una pensione di inabilità non privilegiata, aveva dichiarato, nella missiva del 17 marzo 2005, di aver accolto l’istanza amministrativa del 28 giugno 2004 senza considerare che tale istanza aveva ad oggetto la pensione privilegiata di inabilità alla navigazione; da ciò la Corte territoriale ha dedotto che l’INPS aveva riconosciuto il diritto alla pensione di inabilità e non alla pensione privilegiata L. n. 413 del 1984, ex art. 34 che richiede il nesso eziologico tra infermità e servizio reso e tali requisiti non risultavano provati, come correttamente rilevato dal primo giudice;

peraltro, essendo stata espletata comunque consulenza contabile, era emerso che la parte non fosse in possesso del requisito contributivo perchè fino al febbraio 2001 la stessa era stata dipendente della soc. coop. Garibaldi, anche se, per apposito accordo, era l’Ente F.S. che provvedeva al versamento della contribuzione con esclusione della contribuzione dovuta al Fondo speciale; solo dall’1 aprile 2001 la ricorrente risultava iscritta al Fondo speciale tra il personale non di ruolo e dall’1.2.2005 tra il personale di ruolo, dunque difettava del requisito della iscrizione al Fondo speciale alla data del 1.9.1984; infine, ad avviso della Corte territoriale, doveva ritenersi fondata anche l’eccezione di decadenza triennale sollevata dall’INPS giacchè la domanda proposta era di liquidazione di un trattamento non riconosciuto e non di trattamento riconosciuto in parte;

avverso tale sentenza, ricorre per cassazione D.F.M. sulla base di tre motivi: 1) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) che si ravvisa nel fatto che la sentenza ha individuato un “ulteriore” errore commesso dall’INPS nell’aver comunicato di aver accolto l’istanza proposta in via amministrativa dalla D.F., con ciò ponendo in essere una evidente forzatura logica, posto che tale circostanza non era stata evidenziata dall’INPS, e la violazione dell’art. 115 c.p.c. considerando che l’INPS non aveva contestato la circostanza che la domanda era stata accolta nei termini in cui era stata formulata; 2) violazione della L. n. 413 del 1984, artt. 34 e 40 e del D.P.R. n. 1092 del 1973, art. 226 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in relazione al mancato riconoscimento del fatto che l’Inps aveva ammesso in sede amministrativa il presupposto sanitario relativo alla pensione privilegiata, consistente nel fatto che la malattia sofferta dalla ricorrente si era verificata durante l’imbarco e, quindi, non andava provato; inoltre, la sentenza avrebbe errato nel ritenere che la mancata iscrizione al Fondo speciale precluda l’applicazione della L. n. 413 del 1984, posto che l’art. 40 di tale legge prevede il mantenimento della iscrizione presso tale Fondo dei dipendenti delle navi traghetto già dipendenti dall’Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato al momento dell’entrata in vigore della stessa legge e transitati all’AGO; da ciò la violazione del D.P.R. n. 1093 del 1972, art. 226 che consente il ricalcolo dell’importo percepito a titolo di trattamento pensionistico; 3) nullità del procedimento per violazione di norme processuali (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), posto che la Corte territoriale aveva proceduto ad accertamento tecnico contabile pur affermando che non era stata provata la sussistenza del requisito sanitario ed aveva omesso di esaminare l’estratto contributivo della ricorrente che le avrebbe consentito di dedurre agevolmente la sussistenza del requisito contributivo e la correttezza dei conteggi posti in essere dalla D.F.; peraltro, sarebbe illogica l’affermazione della positiva valutazione relativa alla eccezione di decadenza triennale sostanziale, trattandosi di domanda concernente un errore di calcolo della prestazione;

resiste l’INPS con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo è inammissibile;

nel formulare tale motivo, la ricorrente sostiene che il vizio di motivazione sarebbe integrato dalla violazione dell’art. 115 c.p.c. in quanto la Corte d’appello avrebbe omesso di esaminare il “dato certo ed incontrovertibile rappresentato dall’accoglimento della domanda in via amministrativa, rispettivamente allegato e documentato dalla ricorrente e non contestato, anzi addirittura esplicitamente confermato dall’Istituto resistente”;

in primo luogo, va osservato che è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 19443 del 23/09/2011; Cass. n. 15651 del 23/06/2017);

peraltro, anche a voler esaminare il motivo elidendo il riferimento alla violazione dell’art. 115 c.p.c., deve rilevarsi che la ricorrente ravvisa l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella interpretazione complessiva del reale contenuto della missiva del 17 marzo 2005 inviata dall’INPS alla D.F., e cioè di un atto del procedimento amministrativo che fa parte del compendio probatorio acquisito al processo; in sostanza, si chiede al giudice di legittimità di censurare gli apprezzamenti compiuti dalla sentenza impugnata quanto all’interpretazione di un documento acquisito agli atti; ciò contrasta con il principio, affermato da questa Corte di cassazione, secondo il quale il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa; con la conseguenza che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti. (cfr., da ultimo, Cass. 6519/19);

per altro verso, il vizio di anomala motivazione non è più contemplato come motivo di ricorso per cassazione, all’esito della riformulazione recata dal D.L. n. 83 del 2012, n. 5 (cfr. Cass. 23940/17: “. In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia”);

il secondo motivo è infondato;

sostiene la ricorrente che sia stato violato la L. n. 413 del 1984, art. 34 il quale prevede che “I lavoratori marittimi, soggetti all’obbligo assicurativo previsto dalla presente legge, riconosciuti permanentemente inabili alla navigazione in conseguenza di malattia o infortunio verificatosi mentre erano imbarcati o per causa di servizio connesso all’imbarco, possono conseguire la pensione privilegiata per inabilità alla navigazione a prescindere da qualsiasi requisito di età o di periodo assicurativo”;

la sentenza impugnata, in particolare, avrebbe reiterato l’errore commesso dal primo giudice non considerando che dalla documentazione agli atti si poteva evincere che l’inabilità, causata da nevrosi ansioso depressiva con somatizzazione cardiovascolare ed instabilità pressoria si era verificata già tre anni prima rispetto all’accertamento e, quindi, nel 2001 durante l’imbarco; pertanto non era necessario richiedere anche la prova che l’inabilità stessa fosse conseguenza di malattia o infortunio verificatisi per causa di servizio connessa all’imbarco;

la sentenza impugnata, sul punto, ha affermato – dopo aver rilevato che dalla documentazione prodotta non si evinceva che l’INPS avesse inteso riconoscere la pensione privilegiata alla navigazione – che al fine di accertare la fondatezza della domanda proposta dalla D.F. sarebbe stato necessario provare il nesso eziologico fra l’infermità ed il servizio svolto che, invece, risultava negato dallo stesso verbale della commissione medica allegato dalla ricorrente;

dal contenuto della motivazione, dunque, non si evince alcuna erronea interpretazione della L. n. 413 del 1984, art. 34 posto che la Corte territoriale, a seguito di un giudizio di merito non censurabile in questa sede di legittimità, ha ritenuto che non vi fosse alcuna prova che la malattia sofferta fosse ricollegabile al servizio reso sulle navi e che, dunque, difettasse il presupposto sanitario richiesto dalla L. n. 413 del 1984, art. 34;

tale conclusione è in linea con l’interpretazione dell’art. 34 cit. affermata dalla giurisprudenza di questa Corte di cassazione (Cass. 23/04/2001, n. 5991) secondo la quale affinchè nasca il diritto alla pensione privilegiata è necessario che la riconosciuta e permanente inabilità alla navigazione trovi la sua causa nell’attività di servizio, prestato in navigazione o connesso all’imbarco e non è necessario che la permanente inabilità si sia manifestata durante il servizio o prima, ma è necessario che vi sia un nesso causale diretto tra il servizio e l’inabilità;

è inammissibile, per difetto di specificità, il profilo di denuncia relativo alla violazione della L. n. 413 del 1984, art. 40;

la sentenza impugnata, sotto un ulteriore profilo rispetto a quello della carenza del requisito sanitario, ha accertato che la D.F. non potesse fruire della pensione privilegiata in quanto (vd. pagina 4 della sentenza impugnata) difettava il requisito contributivo;

a fronte di tale accertamento, a torto o a ragione posto in essere dalla Corte territoriale a seguito della valutazione della posizione contributiva della parte, la ricorrente sostiene la tesi, fondata sul disposto della L. n. 413 del 1984, art. 40 che comunque rientrerebbe tra i beneficiari della prestazione richiesta in quanto facente parte del personale navigante del settore delle navi- traghetto dipendente dall’Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, già in servizio di ruolo dal 1973 e, dunque, prima della entrata in vigore della L. n. 413 del 1984;

tali aspetti in fatto della questione non emergono dalla sentenza impugnata e, dunque, la ricorrente avrebbe dovuto chiarire, a pena di inammissibilità della formulazione del motivo, quando ed in quali atti del procedimento di merito i medesimi fatti erano stati introdotti in causa, in applicazione del principio più volte espresso da questa Corte di legittimità (Cass. n. 32804 del 2019) secondo il quale qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa;

il terzo motivo, con il quale si imputa alla sentenza impugnata di aver proceduto all’espletamento di una consulenza tecnica nonostante sia giunta a concludere per l’insussistenza del requisito sanitario, è inammissibile;

in primo luogo, infatti, la ricorrente non lamenta la violazione di una specifica disposizione processuale ma dissente dalla scelta del giudice d’appello di disporre una consulenza tecnica d’ufficio di tipo contabile, ciò contrasta con il carattere tipico e tassativo del giudizio di cassazione; inoltre, va considerato che il vizio con il quale nel giudizio di cassazione si denuncia la violazione di norme processuali richiede che chi lo deduce manifesti il pregiudizio al diritto di difesa determinato dall’error in procedendo denunciato; ciò poichè l’ordinamento non appresta alcuna tutela all’interesse alla mera regolarità formale del processo e l’interesse a denunciare la violazione di una norma processuale in tanto sussiste in quanto ciò abbia comportato un pregiudizio alla sfera giuridica della parte (Cass. n. 15678 del 2007);

in definitiva, il ricorso va rigettato; le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in favore del controricorrente in Euro 2000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% e spese accessorie di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2020

 

 

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