Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24134 del 30/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 30/10/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 30/10/2020), n.24134

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7406-2014 proposto da:

D.V.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LEONIDA RECH

76, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO POERIO, rappresentata e

difesa dall’avvocato MARIO CHENG CHI CHANG;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, – presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

EMANUELA CAPANNOLO, MAURO RICCI, CLEMENTINA PULLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 36/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 20/01/2014 R.G.N. 1161/2013.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza n. 36 del 2014, pronunciata ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., la Corte d’appello di L’Aquila ha rigettato l’appello proposto da D.V.M. avverso l’ordinanza resa dal giudice del lavoro di Teramo con la quale era stato dichiarato improcedibile il ricorso proposto dalla stessa D.V. al fine di ottenere la condanna dell’INPS alla erogazione della pensione di inabilità, in ragione del fatto che la domanda non era stata preceduta dalla richiesta di espletamento dell’accertamento tecnico preventivo obbligatorio previsto dall’art. 445 bis c.p.c., trattandosi di controversia instaurata successivamente al primo gennaio 2012;

il giudice di prime cure non aveva assegnato il termine di 15 giorni per la presentazione dell’istanza di detto accertamento, come invece previsto dall’art. 445 bis c.p.c., comma 2, e come richiesto dalla ricorrente all’udienza del 16 aprile 2013;

ad avviso della Corte territoriale, pur dovendosi ritenere l’ammissibilità dell’appello (posto che l’ordinanza impugnata era comunque idonea a definire il giudizio di primo grado avendo anche provveduto sulle spese e che l’inappellabilità ex art. 445 c.p.c., comma 7, riguardava solo le sentenze di merito a seguito di accertamento preventivo obbligatorio), l’impugnazione era comunque infondata in ragione del fatto che, a fronte dell’omissione da parte del giudice della fissazione del termine, nel caso di mancato espletamento dell’accertamento tecnico preventivo obbligatorio, non era certo precluso alla interessata di proporre autonoma istanza di accertamento tecnico preventivo, dovendosi rispettare solo il termine di decadenza semestrale fissato dal D.Lgs. n. 269 del 2003, art. 42, comma 3; inoltre, non poteva certo sovvertirsi l’iter procedimentale previsto dalla legge disponendo l’accertamento tecnico preventivo in grado d’appello;

avverso tale sentenza, ricorre per cassazione D.V.M. sulla base di un solo motivo con il quale denuncia violazione e o falsa applicazione dell’art. 445 c.p.c., comma 2, in ragione del fatto che la Corte d’appello avrebbe errato nel non provvedere, in luogo del primo giudice, alla fissazione del termine con ciò impedendo il giudizio;

resiste l’INPS con controricorso;

D.V.M. ha depositato memoria e, per la stessa parte ricorrente, si è costituito nuovo difensore.

Diritto

CONSIDERATO

che:

preliminarmente va osservato che il motivo di ricorso è ammissibile, seppure formulato in ragione di una generica “violazione o falsa applicazione di norme di diritto” che allude al vizio indicato all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e non al successivo n. 4, come dovrebbe essere trattandosi di denuncia di error in procedendo;

questa Corte di cassazione (Cass. civ., sez. II, 21 gennaio 2013 n. 1370, Cass. civ., sez. trib., 8 marzo 2012 n. 14026, nonchè Cass. SS.UU. 24/07/2013, n. 17931) ha, infatti, affermato il principio secondo il quale il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi; pertanto, nel caso di specie, in cui la ricorrente ha lamentato la mancata applicazione dell’art. 445 bis c.p.c., comma 2, rilevando che la decisione della Corte d’appello di non porre rimedio all’errore del primo giudice ha precluso lo svolgimento ulteriore del processo, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 con riguardo alla disposizione non applicata; ciò in quanto il motivo, nella sua illustrazione, reca univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla non applicazione del disposto del citato art. 445 bis c.p.c., comma 2 da cui è derivata l’improcedibilità del giudizio;

il motivo è inoltre specifico, posto che il fatto processuale al quale si collega la violazione denunciata emerge dallo stesso testo della sentenza impugnata e non è necessario che la Corte di cassazione proceda all’esame di ulteriori atti del processo al fine di vagliare la fondatezza del ricorso;

il ricorso è fondato;

l’art. 445 bis c.p.c., comma 2, prevede: (…) L’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità della domanda di cui al comma 1. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che l’accertamento tecnico preventivo non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell’istanza di accertamento tecnico ovvero di completamento dello stesso.

dal testo della disposizione si evince che la richiesta di preventivo accertamento tecnico costituisce, in quanto sequenza attinente alla fase di avvio di un procedimento giudiziale, condizione di procedibilità dell’azione diretta al riconoscimento del diritto alla prestazione, ed, al contempo, che il suo mancato espletamento può formare oggetto di eccezione da parte del convenuto o di rilievo d’ufficio nel limite temporale della prima udienza;

si configura, dunque, una sorta di penalità per il caso di mancata previa attivazione della procedura di accertamento tecnico preventivo che si giustifica con l’intento di evitare che il mero accertamento del requisito sanitario gravi eccessivamente sugli organi giudiziari e, dunque, inserendolo prima in un procedimento di soluzione più semplice e agevole, mira a conseguire un generale vantaggio per la funzione giurisdizionale nel suo complesso (in questo senso v. Corte Cost. n. 243 del 2014);

pur essendo definito dalla legge condizione di procedibilità, l’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo obbligatorio non si collega ad eventi o condizioni esterni al giudizio, che ne condizionano l’instaurazione, ma rinvia all’accertamento tecnico preventivo e cioè ad una misura di istruzione preventiva giudiziale che consente al ricorrente di acquisire l’accertamento in concreto del proprio stato sanitario di invalido;

secondo la definizione data in dottrina, si è così realizzata una forma di giurisdizione condizionata, formula che riassume la circostanza che l’accesso alla giurisdizione è condizionato ad un presupposto processuale imposto dalla legge;

tale forma di giurisdizione è stata ritenuta conforme ai principi costituzionali da Corte Cost. n. 243 del 2014 cit., la quale, ricordando che l’espletamento del previo accertamento tecnico-preventivo è previsto come condizione di procedibilità e non di proponibilità della domanda di merito volta al riconoscimento del diritto alla prestazione assistenziale o previdenziale, ha affermato che ” (…) la tutela garantita dall’art. 24 Cost. non comporta l’assoluta immediatezza dell’esperibilità del diritto di azione (sentenze n. 251 del 2003 e n. 276 del 2000); detta tutela giurisdizionale non deve necessariamente porsi in relazione di immediatezza con il sorgere del diritto, ma la determinazione concreta di modalità e di oneri non deve rendere difficile o impossibile l’esercizio di esso (ex multis, sentenze n. 67 del 1990 e n. 186 del 1972). Il che, nella specie, certamente non si verifica. Infatti, “l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata di ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice, ove rilevi che l’accertamento tecnico preventivo non è stato espletato ovvero che si è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell’istanza di accertamento tecnico ovvero di completamento dello stesso” (art. 445-bis c.p.c., comma 2). Come si vede, si tratta di adempimenti ordinari, che non comportano alcuna compressione dei diritti della parte privata (…). La costante giurisprudenza di questa Corte ha collegato la legittimità di forme di accesso alla giurisdizione, subordinate al previo adempimento di oneri finalizzati al perseguimento di interessi generali, al triplice requisito che il legislatore non renda la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa (sentenza n. 406 del 1993), contenga l’onere nella misura meno gravosa possibile ed operi un congruo bilanciamento tra l’esigenza di assicurare la tutela dei diritti e le altre esigenze che il differimento dell’accesso alla stessa intende perseguire (sentenza n. 98 del 2014)”;

così delineata la valenza, nel bilanciamento con il diritto alla tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost., della condizione di procedibilità indicata dall’art. 445 bis c.p.c., è evidente la centralità dell’attività di riallineamento, rispetto all’ordinario paradigma procedimentale, affidato al giudice laddove difetti o sia irregolare l’espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione, giacchè attraverso la fissazione del termine per l’espletamento in parola viene consentito alla parte di accedere alla giustizia senza eccessive compressioni, come valutato dalla Corte Costituzionale sopra richiamata; viceversa, una decisione di improcedibilità derivata dalla mancata applicazione del disposto dell’art. 445 bis c.p.c., comma 2, nonostante l’espressa eccezione formulata tempestivamente, finirebbe per spezzare il bilanciamento indicato dalla giurisprudenza costituzionale impedendo definitivamente, in riferimento a quella precisa domanda, alla parte l’accesso al giudice;

nel caso di specie, come emerge dalla stessa sentenza impugnata, nessuna sanatoria si era verificata giacchè il convenuto INPS aveva tempestivamente eccepito l’improcedibilità della domanda giudiziale per violazione dell’art. 445 bis c.p.c., ed il giudice di primo grado, nonostante la ricorrente avesse chiesto fissarsi il termine per espletare l’accertamento tecnico obbligatorio, aveva dichiarato improcedibile il ricorso;

la violazione del disposto dell’art. 445 bis c.p.c., comma 2 da parte del primo giudice, dunque, ha in concreto impedito alla parte istante di accedere alla tutela giudiziaria in ragione del mancato espletamento dell’accertamento tecnico preventivo e tale esito contrasta con una interpretazione conforme a Costituzione per quanto sopra esposto;

non v’è dubbio che, alla luce di tali accadimenti, l’erronea mancata fissazione del termine da parte del primo giudice, fatta valere dalla assistita in sede di giudizio d’appello in quanto convertitasi in causa di nullità dell’ordinanza, doveva essere dichiarata dalla corte d’appello che avrebbe dovuto provvedere in tal senso;

infatti, laddove la sentenza pronunciata dal giudice di primo grado è affetta da nullità, al di fuori delle ipotesi tassative di rimessione al primo giudice previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c., il giudice di appello, una volta constatata tale nullità, non può limitarsi ad una pronunzia di mero rito dichiarativa della stessa, nè può rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c., ma – in ossequio al principio di cui all’art. 162 c.p.c. ed al normale effetto devolutivo del giudizio di appello – è tenuto a decidere la causa nel merito, provvedendo in questo modo alla rinnovazione dell’attività riguardo alla quale la nullità si è verificata (per l’affermazione di tale principio v. Cass. n. 5590 del 2011; n. 11949 del 2003);

in definitiva, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e va disposto il rinvio alla Corte d’appello di Roma che procederà alla disamina dell’impugnazione facendo applicazione del principio sopra riferito, oltre che alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2020

 

 

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