Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24134 del 24/10/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 24134 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: GARRI FABRIZIA

ORDINANZA
sul ricorso 13-2012 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA
17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,
rappresentato e difeso dagli avvocati TRIOLO VINCENZO,
CORETTI ANTONIETTA, DE ROSE EMANUELE, STUMPO
VINCENZO giusta mandato speciale in calce al ricorso;

– ricorrente contro
SETTANNI ANTONIA;

– intimata avverso la sentenza n. 6441/2010 della CORTE D’APPELLO di
BARI del 21/12/2010, depositata 11 03/01/2011;

Data pubblicazione: 24/10/2013

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
03/10/2013 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI;
udito l’Avvocato Coretti Antonietta difensore del ricorrente che si
riporta agli scritti;
è presente il P.G. in persona del Doti GIULIO ROMANO che si

FATTO E DIRITTO
Con ricorso al Tribunale di Bari, Antonia Settanni, operaia agricola a
tempo determinato, aveva convenuto in giudizio l’Inps, chiedendo
venisse accertato il suo diritto alla differenza dell’indennità di
disoccupazione per l’anno 2000; la ricorrente – premesso che il
trattamento di disoccupazione le era stato corrisposto dall’Istituto sulla
base del salario medio convenzionale congelato all’anno 1995 sosteneva che il medesimo trattamento doveva essere invece calcolato,
ai sensi del D. Lgs. n. 146 del 1997, art. 4, sui minimi retributivi
previsti dalla contrattazione collettiva provinciale, ivi compreso
l’elemento denominato t.f.r., con conseguente diritto alle differenze tra
quanto spettante e quanto percepito.
La domanda è stata dichiara inammissibile dal giudice di primo grado,
che ha ritenuto intervenuta la decadenza di cui all’art. 47, terzo comma
D.P.R. 30 aprile 1970 n. 639 mentre la Corte d’appello di Bari, con
sentenza depositata il 22 dicembre 2010, l’ha accolta integralmente.
Avverso detta sentenza l’Inps propone ricorso per cassazione —
notificato in data 13-15 dicembre 2011 -, con tre motivi.
La parte intimata non si è costituita in questa sede.
Il procedimento è regolato dagli artt. 360 e segg. c.p.c. con le
modifiche e integrazioni successive, in particolare quelle apportate
dalla legge 18 giugno 2009 n. 69.

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riporta alla relazione.

Col primo motivo, l’Istituto denuncia la violazione dell’art. 47 D.P.R.
30 aprile 1970 n. 639 e successive modificazioni.
Col secondo e col terzo motivo l’Istituto ricorrente, lamentando la
violazione dell’art. 18, comma 18° del D.L. n. 98/2011, convertito in
L. n. 111/2011 e, in via subordinata, degli artt. 46, 51 e 55 del CCNL

comma 4°, lettera a) del d.lgs. n. 314/97 nonché in relazione agli artt.
1362 e ss., 2120 cod. civ. ed all’ artt. 4 commi 10° e 11° legge 297/82,
censura, in via logicamente subordinata, la sentenza unicamente per
avere incluso nella retribuzione da prendere a base per la liquidazione
dell’indennità di disoccupazione anche la voce denominata “quota di
TFR”, la quale invece non dovrebbe esserlo, per avere essa — contrariamente a quanto affermato la Corte territoriale — effettiva natura di
retribuzione differita.
Il ricorso è manifestamente infondato nel primo motivo e manifestamente fondato nel secondo e nel terzo, qui trattati unitariamente.
Va premesso che l’originario testo dell’art. 47 del D.P.R. 30 aprile 1970
n. 639 stabiliva quanto segue.
‘Esauriti i ricorsi in via amministrativa, può essere proposta l’azione dinanzi
all’autorità giudiziaria, ai sensi degli artt. 459 e ss. cod. proc. civ.
L ‘c/.ione giudiziaria può essere proposta entro il termine di dieci anni dalla data di

per gli operai agricoli e florovivaisti del 2002 in relazione all’art. 6,

comunicazione della decisione definitiva del ricorso pronunziata dai competenti
organi dell’istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia
della decisione medesima, se trattasi di controversie in materia di trattamenti
pensionistici.
L’nione giudiziaria può essere proposta entro il termine di cinque anni dalle date
di cui al precedente comma se trattasi di controversie in materia di prestazioni a
carico dell’assicurazione contro la tubercolosi e dell’assicurazione contro la
disoccupazione involontaria’:
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Col successivo art. 6 del D.L. 29 marzo 1991 n. 103, convertito con
modificazioni nella legge 10 giugno 1991 n. 166, ritenuto da Corte
Cost., con la sent. n. 246 del 1992, di interpretazione autentica dell’art.
47 D.P.R. n.639/70, venne poi stabilito:
“1 — I termini previsti dall’art. 47, commi secondo e terzo del D.P.R. 30 aprile

prestazione previdenziale . la decadenza determina l’estinzione del diritto ai ratei
pregressi delle prestazioni previdenziali e l’inammissibilità della relativa domanda
giudiziale. In caso di mancata proposizione del ricorso amministrativo, i termini
decorrono dall’insorgenza del diritto ai singoli ratei.
2— Le disposizioni di cui al comma precedente hanno efficacia retroattiva, ma non
si applicano ai processi che sono in corso alla data di entrata in vigore del presente
decreto”.
Con l’art. 4 del D.L. 19 settembre 1992 n. 384, i commi secondo e
terzo del citato art. 47 sono stati successivamente sostituiti dai
seguenti:
‘Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici, l’azione giudiziaria può
essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di
comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi
dell’istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della
predetta decisione ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per

1970 n. 639 sono posti a pena di decadenza per l’esercizio del diritto alla

l’esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di
presentazione della richiesta di prestazione.
Per le controversie in materia di prestazioni della gestione di cui all’art. 24 della
legge 9 marzo 1989 n. 88, l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di
decadenza, entro il termine di un anno dalle date di cui al precedente comma”.
L’ultimo comma dell’art. 4 ha poi stabilito che le disposizioni indicate
“non si applicano ai procedimenti istaurati anteriormente alla data di entrata in
vigore del presente decreto ancora in corso alla medesima data”.
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Infine, recentemente, l’art. 38, primo comma, lett. d) del D.L. 6 luglio
2011 n. 98, convertito in legge n. 111 del medesimo anno, ha aggiunto
al citato art. 47 un ultimo comma, del seguente tenore: ‘Le decadenze
previste dai commi che precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi
ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di

accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento
parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte”, precisando al
quarto comma che ‘te dz:sposizioni di cui al comma 1, lett. c) e d) si applicano
anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del presente
decreto”.
Questo essendo il quadro di riferimento normativo, la giurisprudenza
consolidata, pur tra frequenti contrasti, di questa Corte (da ultimo,
sulla base di Cass. S.U. 29 maggio 2009 n. 12720 – che ribadisce le tesi
della precedente Cass. S.U. 18 luglio 1996 n. 6491-, fr., ad es., Cass. 20
gennaio 2010 n. 948 e 26 gennaio 2010 n. 1580) era, per quanto qui
interessa e fino alla citata recente novella del 201 1, nel senso della
inapplicabilità della decadenza alle domande di adeguamento di
prestazioni previdenziali già riconosciute e liquidate solo parzialmente
dall’ente previdenziale.
Infatti le sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 12720 del 29
maggio 2009, componendo un contrasto di giurisprudenza insorto
nell’ambito della sezione lavoro, avevano affermato che “La decadenza
di cui al D.P.R 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 – come intopretato dal D.L. 29
marzo 1991, n. 103, art. 6, convertito, con modificazioni, nella L 1 giugno
1991, n. 166 – non può trovare applicazione in tuffi quei casi in cui la domanda
giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il riconoscimento del diritto alla
prestazione previdenziale in sé considerata, ma solo l’adeguamento di detta
prestazione già riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene
nei casi in cui l’Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in errate
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intopretazioni della normativa legale o ne abbia disconosciuto una componente, nei
quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non sia quello della ordinaria
prescrizione decennale”.
Recentemente, peraltro, la questione era stata nuovamente rimessa da
un collegio della sezione lavoro, con ordinanza interlocutoria

Corte, sulla base del rilievo che l’interpretazione prevalente non
apparirebbe giustificata dal tenore letterale e dalla considerazione delle
finalità della norma, la quale riguarderebbe viceversa ogni tipo di
azione in materia di prestazioni previdenziali.
Intervenuta, tra l’ordinanza interlocutoria di rirnessione alle sezioni
unite della Corte e la data dell’udienza avanti a queste ultime, la citata
novella di cui all’art. 38, primo comma, lett. d) del recente D.L. 6 luglio
2011 n. 98, convertito in legge n. 11 1/’11, è stata quindi disposta la
restituzione degli atti alla sezione lavoro, sulla base della
considerazione della necessità di valutare la persistenza del proposito
di investire della questione le sezioni unite, alla luce della valutazione
della eventuale incidenza delle norme di legge citate sulla interpretazione del l’art. 47, vigente prima di essa.
Ciò premesso, non può non rilevarsi che la nuova disciplina, esprimendo il proposito del legislatore di modificare in materia, con una limitata
efficacia retroattiva, la regola preesistente, quale consolidatasi per
effetto delle recente pronuncia delle sezioni unite del 2009, conferma
indirettamente la corrispondenza di quest’ultima all’originario
contenuto dell’art. 47, nel testo vigente fino alla novella del 2011.
L’autorità del precedente arresto interpretativo delle sezioni unite della
Corte e l’indiretta conferma della sua correttezza proveniente dallo
stesso legislatore convincono in definitiva il collegio della
inapplicabilità dell’art. 47 del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, prima delle
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depositata il 18 gennaio 2011, n. 1071, alle sezioni unite di questa

integrazioni apportate dell’art. 38 del D.L. n. 98 del 2011, al caso di
richiesta di riliquidazione di prestazioni previdenziali solo parzialmente
riconosciute e liquidate dall’ente previdenziale.
La Corte territoriale si è attenuta a tale regola e dunque il primo
motivo di ricorso va respinto.

In proposito, si ricorda che questa Corte ha ripetutamente enunciato,
ad es. con la sentenza n. 202/2011, con riferimento a fattispecie
analoghe a quella in esame, il seguente principio: “Confermandosi quanto
già ritenuto dalla precedente sentenza di questa Corte n. 1054612007 per cui ai
fini della liquidazione delle prestazioni temporanee in agricoltura, la nozione di
retribuzione – definita dalla contrattazione collettiva provinciale, da porre a
confronto con il salario medio convenzionale ex art. 4 del D.lgs. 16 aprile 1997 n.
146 – non è comprensiva del trattamento di fine rapporto, va ulteriormente a ermato che, sulla base del suddetto principio, la voce denominata ‘quota di /1-41Z.”
dai contratti collettivi vigenti a partire da quello del 27.11.1991, va esclusa dal
computo della indennità di disoccupazione, in considerazione della volontà espressa
dalle parti stipulanti, che è vietato disattendere in forza della disposizione di cui
all’art. 3 D.L,. 14 giugno 1996 n. 318 convertito in legge 29 luglio 1996 n. 402,
a norma del quale, agli effetti previdenziali, la retribuzione dovuta in base agli
accordi collettivi, non può essere individuata in difformità rispetto a quanto definito
negli accordi stessi. Dovendo escludersi che detta voce abbia natura diversa rispetto a
quella indicata dalle parti stipulanti, non è ravvisabile alcuna illegittima
alterazione degli istituti legali da parte dell’autonomia collettiva.”
Si rileva altresì, in proposito, che recentemente il significato della norma di cui all’art. 4 del D. Lgs. n. 146 del 1997 individuato dalla
giurisprudenza sopra citata è stato esplicitato anche dal legislatore, che
all’art. 18, comma 18° del D.L. n. 98 del 2011, convertito nella legge n.
111 dello stesso anno, ha specificato che ‘L’art. 4 del D. Lgs. 16 aprile
Ric. 2012 n. 00013 sez. ML – ud. 03-10-2013
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Sono invece manifestamente fondati il secondo e il terzo motivo.

1997 n. 146 e l’art. 1, comma 5 0 del D.L. 10 gennaio 2006 n. 2, convertito con
modificazioni dalla legge 11 marzo 2006 n. 81, si intetpretano nel senso che la
retribuzione utile per il calcolo delle prestazioni temporanee in favore degli operai
agricoli a tempo determinato non è comprensiva della voce del trattamento di fine
rapporto comunque denominato dalla contrattazione collettiva”.

sentenza cassata in relazione ai motivi accolti e, non essendo necessari
ulteriori accertamenti di merito , va respinta la domanda proposta dalla
Settanni limitatamente all’inclusione nella base di calcolo dell’indennità
di disoccupazione agricola per l’anno azionato della quota di tfr.
Quanto alle spese dell’intero processo l’esito complessivo della lite e le
incertezze giurisprudenziali ne giustificano la compensazione.
PQM
LA CORTE
Rigetta il primo motivo di ricorso. Accoglie il secondo ed il terzo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo
nel merito, rigetta la domanda quanto all’inclusione della quota di tfr
nella base di calcolo dell’indennità di disoccupazione agricola chiesta.
Compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma il 3 ottobre 2013

Il Presidente

In conclusione e per le ragioni esposte il ricorso deve essere accolto, la

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