Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24132 del 30/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 30/10/2020, (ud. 08/01/2020, dep. 30/10/2020), n.24132

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18447-2014 proposto da:

T.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 20,

presso lo studio dell’avvocato SALVINO GRECO, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro 2020 tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati

GAETANO DE RUVO, DANIELA ANZIANO e SAMUELA PISCHEDDA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 14252/2013 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

il 13/02/2014, R.G.N. 5348/2012;

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Avv. T.G., con atto di precetto e successivo atto di pignoramento, agiva esecutivamente nei confronti dell’INPS per il pagamento del rimborso delle spese di lite nella misura del 12,50% D.M. n. 392 del 1990, ex art. 15 sulla base di una serie di titoli esecutivi rappresentati da dispositivi di sentenze emesse dal giudice del lavoro che condannavano l’INPS al pagamento delle spese di lite, oltre IVA e CPA, da distrarsi in favore dell’Avv. T.G. dichiaratasi antistataria nei dispositivi era omessa la specifica liquidazione del rimborso spese D.M. n. 585 del 1994, ex art. 15;

2. il G.E., sull’opposizione dell’INPS, respingeva la istanza di assegnazione di somme a tale titolo;

3. il Tribunale di Roma, pronunziando sull’opposizione avverso il rigetto della istanza di cui ai ricorsi riuniti, ha respinto i ricorsi con i quali T.G. aveva chiesto dichiararsi la illegittimità della ordinanza di estinzione;

3.1. che la statuizione di rigetto è stata fondata sulla considerazione che la stessa ricorrente aveva riconosciuto, in ogni giudizio, di avere intrapreso una precedente esecuzione conclusasi con un provvedimento di assegnazione, nè aveva dedotto che nel suddetto provvedimento il g.e. aveva attribuito una somma solo “a parziale soddisfo”; secondo la costante giurisprudenza di legittimità, l’ordinanza di assegnazione, costituendo l’atto conclusivo dell’esecuzione forzata e configurandosi essa stessa quale atto esecutivo, doveva essere impugnata nei termini di legge con il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi per ottenere un diverso accertamento della misura del credito e il conseguente parziale annullamento della ordinanza; nel caso in esame non risultava neppure dedotto che vi era stata contestazione del precedente provvedimento di assegnazione di talchè la pretesa della ricorrente, rimasta inerte per durata del procedimento esecutivo per poi agire nuovamente per ottenere il pagamento di una quota ulteriore del credito a titolo di spese generali, appariva infondata essendosi l’intero credito azionato estinto prima dell’inizio della nuova esecuzione;

4. per la Cassazione della decisione ha proposto ricorso T.G. sulla base di un unico motivo, illustrato con memoria ai sensi dell’art. 380- bis.1. c.p.c.; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso;

5. il PG ha depositato requisitoria scritta con la quale ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso e, in subordine, per il suo rigetto.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo parte ricorrente, deducendo violazione o falsa applicazione di norme di diritto con riguardo agli artt. 112,115,116,100 c.p.c. ed all’art. 2697 c.c. nonchè vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per avere respinto la domanda sul presupposto dell’estinzione del diritto al 12,50% a titolo di spese generali. Assume che la statuizione di rigetto si fondava sull’errato presupposto che con l’azione esecutiva intrapresa a suo tempo per il pagamento delle spese legali indicate in dispositivo e distratte in favore del procuratore fosse stata effettuata anche richiesta di pagamento delle spese generali e che con la ordinanza di assegnazione fosse stata presuntivamente attribuita una somma inferiore rispetto a quella richiesta; in conseguenza, la mancata opposizione alla detta ordinanza aveva determinato decadenza dall’impugnazione. Sostiene che tale motivazione si poneva in contrasto con gli artt. 112,115,116 e c.p.c. e con l’art. 2697 c.c.. posto che, secondo quanto espressamente allegato in ricorso e documentalmente riscontrato, alcuna richiesta di liquidazione delle spese generali era stata espressamente formulata nell’ambito delle precedenti procedure esecutive. Deduce l’errore del giudice di merito nel non pronunziarsi su tale circostanza ed inoltre che sul relativo accertamento si era formato il giudicato.

Formula istanza di rimessione alla Corte costituzionale del D.L. n. 669 del 1996, art. 14, comma 1 bis, convertito nella L. n. 30 del 1997 e successivamente modificato dalla L. n. 388 del 2000 e dal D.L. n. 269 del 2003 per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. nella parte in cui viene disposto solo nei confronti della P.A. che il pignoramento perda efficacia quando dal suo compimento è trascorso un anno senza che sia stata disposta l’assegnazione;

2. Preliminarmente deve essere respinta la eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dall’istituto controricorrente ancorata alla considerazione della evidente non corrispondenza del codice fiscale indicato nella intestazione del ricorso per cassazione alla persona della ricorrente, T.G.. Per consolidato orientamento di questa Corte, infatti, l’erronea indicazione delle generalità del ricorrente nell’epigrafe del ricorso per cassazione non ne comporta l’inammissibilità, qualora l’effettiva identità del suo autore sia individuabile in maniera non equivoca attraverso altre indicazioni, pur non risultanti dalla parte dell’atto destinata a contenerle e, segnatamente, mediante elementi desumibili dalla sentenza impugnata (Cass. 26/06/2018, n. 16861; Cass. 25/09/2017, n. 22275; Cass. 14/07/2015, n. 14662). Ciò è quanto riscontrabile nel caso di specie nel quale la intestazione della sentenza impugnata, le indicazioni, nell’intestazione del ricorso, dei dati anagrafici relativi al luogo e data di nascita della parte ricorrente, eliminano ogni dubbio in ordine alla identità del soggetto che ha proposto ricorso per cassazione;

3. il motivo, articolato in plurimi profili di censura, è da respingere;

3.1. è da premettere che alla base delle doglianze si pone la inesatta ricostruzione delle ragioni alla base del decisum della sentenza impugnata. Tali ragioni non riposano, come prospettato dalla parte ricorrente, sull’assunto della avvenuta richiesta, con il primo precetto, anche delle somme richieste a titolo di rimborso delle spese generali. Pur nella stringatezza della motivazione è da ritenere, secondo quanto evincibile dal riferimento alle ragioni del rigetto della istanza di assegnazione impugnata con l’opposizione, ragioni attinenti, in sintesi, alla violazione del divieto di frazionamento del credito, che la sentenza impugnata aveva ben chiaro che l’originaria pretesa creditoria azionata in via esecutiva non concerneva specificamente anche le somme in seguito richieste. In tale contesto, il rigetto della opposizione risulta riconducibile alla configurazione, in sintesi, di una sorta di consumazione del potere di richiedere ulteriori somme per lo stesso titolo già azionato in via esecutiva;

3.2. le critiche formulate non si confrontano specificamente con la motivazione esibita a fondamento del rigetto della opposizione. In particolare, la denunzia di violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato, oltre a presentare profili di inammissibilità connessi alla mancata trascrizione negli esatti termini della istanza formulata, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo dal quale risultava, come prescritto (Cass. 04/07/2014, n. 15367), non investe la specifica ratio decidendi della decisione impugnata, quale sopra ricostruita;

3.3. parimenti inammissibile la deduzione di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo il quale in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 17/01/2019, n. 1229; Cass. 27/12/2016, n. 2700), questioni estranee alle censure articolate dalla parte ricorrente;

3.4. la deduzione di violazione dell’art. 2697 c.c. è inammissibile in quanto non incentrata sul significato e sulla portata applicativa della norma, come prescritto per la valida deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (Cass. 26/06/ 2013, n. 16038; Cass. 28/02/ 2012, n. 3010; Cass. 28/11/ 2007, n. 24756; Cass. 31/05/2006, n. 12984) e non attinente alle ragioni alla base della decisione che non è frutto dell’applicazione della regola di distribuzione dell’onere probatorio posta dalla richiamata previsione;

3.5. la denunzia di vizio di motivazione è anch’essa priva di pertinenza con le ragioni della decisione e, comunque, non conforme all’attuale configurazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il quale esige che il fatto del cui si denunzi omesso esame sia costituito da un fatto storico fenomenico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo (Cass. Sez. Un 07/04/2014 n. 8053);

3.6. la dedotta violazione dell’art. 324 c.p.c., per asserito giudicato interno formatosi in ordine alla circostanza relativa alla mancata richiesta di rimborso delle spese generali formulata con il primo atto di precetto è inammissibile sia per difetto di pertinenza con le ragioni della decisione sia perchè non sorretta dalla esposizione e trascrizione degli atti di causa idonei a dare contezza sulla base del solo esame del ricorso per cassazione della circostanza (Cass. 15/03/2019, n. 7499);

4. la inammissibilità del ricorso rende priva di rilevanza la prospettata questione di incostituzionalità;

5. il regolamento delle spese di lite segue la soccombenza;

6. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2020

 

 

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