Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24130 del 30/10/2020

Cassazione civile sez. II, 30/10/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 30/10/2020), n.24130

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 6536/16) proposto da:

AVV. I.S.G., (C.F. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

ai sensi dell’art. 86 c.p.c., da se stesso e domiciliato “ex lege”

presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione, in Roma,

piazza Cavour;

– ricorrente –

contro

R.A., (C.F.: (OMISSIS)), R.S. (C.F.:

(OMISSIS)) e RI.AN. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e

difesi, in virtù di procura speciale in calce al controricorso,

dall’Avv. Giovan Battista Ilarso e domiciliati “ex lege” presso la

Cancelleria civile della Corte di cassazione, in Roma, piazza

Cavour;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza del Tribunale monocratico di Enna n. 94/2015

(depositata il 22 settembre 2015);

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16 settembre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con atto di citazione notificato nel luglio 2012, i sigg. R.A., S. e An. proponevano opposizione, dinanzi al Giudice di pace di Nicosia, avverso il decreto ingiuntivo n. 24/12, con il quale era stato loro intimato il pagamento, in favore dell’avv. I.S.G., della somma di Euro 4.007,31 per un vantato credito relativo ad un’attività professionale forense svolta in loro favore.

Nella costituzione dell’opposto professionista, Vada Giudice di pace, con sentenza n. 84/2013, accoglieva l’opposizione per quanto di ragione e, per l’effetto, previa revoca dell’impugnato decreto ingiuntivo, riduceva all’importo di Euro 3.862,31 il credito dovuto dagli opponenti in favore dell’opposto.

2. Proposto appello da parte dell’avv. I.S., al quale resistevano, con unico atto, tutti e tre gli appellati (che, a loro volta, formulavano appello incidentale volto alla riforma dell’impugnata sentenza e all’ottenimento della dichiarazione di improponibilità della domanda monitoria per asserita illegittima parcellizzazione del credito professionale forense), il Tribunale di Enna, con sentenza n. 94/2015 (depositata il 22 settembre 2015), accoglieva il gravame incidentale e, in riforma della sentenza del Giudice di pace di Nicosia, revocava il decreto ingiuntivo per improponibilità del relativo ricorso monitorio e condannava l’appellante principale alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

A fondamento dell’adottata pronuncia il citato Tribunale accertava che l’avv. I.S. aveva svolto undici procedimenti per conto degli appellati, rilevando, però, che essi erano riferibili alla stessa vicenda processuale e a diverse fasi e gradi della stessa, riguardante il riconoscimento di somme da parte del Comune di Leonforte a seguito dell’espropriazione di loro terreni. Pertanto, dovendosi considerare l’unitarietà della suddetta vicenda giudiziaria, il legale non avrebbe potuto, dopo aver ottenuto altri decreti ingiuntivi in esito alla definizione della vicenda nel 2010, nel successivo periodo compreso tra il 2011 e il 2012, legittimamente richiedere in via separata l’emissione di altro provvedimento monitorio – oggetto del giudizio “a quo” – attinente al recupero a mezzo pignoramento presso terzi del credito ricollegabile allo stesso rapporto.

3. Avverso la citata sentenza di appello ha formulato ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, l’avv. I.S.G.. I tre intimati hanno congiuntamente resistito con un unico controricorso.

In data 6 agosto 2020 risulta depositata comparsa di prosecuzione del giudizio da parte di I.S.T., quale unico erede (accettante) del ricorrente deceduto nelle more in data (OMISSIS), con conferimento in calce di procura allo stesso difensore già costituito nell’interesse del ricorrente, il quale ha anche depositato memoria difensiva ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato l’erroneità dell’impugnata sentenza per aver ritenuto la sussistenza della parcellizzazione del credito di Euro 4.717,31 da esso professionista vantato di cui al decreto ingiuntivo opposto e poi revocato, nonchè l’erroneità dei presupposti di fatto con essa rilevati, non potendosi i procedimenti azionati considerare riconducibili alla medesima vicenda processuale.

2. Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto la nullità dell’impugnata sentenza per asserita violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., sul presupposto che il Tribunale ennese non avrebbe potuto dichiarare – avuto riguardo alla natura del procedimento e al tenore delle avverse difese l’improponibilità della domanda monitoria, pur essendo sussistenti le condizioni per il riconoscimento del credito dedotto in giudizio.

3. Con la terza doglianza il ricorrente ha prospettato – così testualmente l’irrilevanza giuridica della richiesta di pagamento degli onorari dovuti perchè avanzata con una unica missiva in maniera contestuale.

4. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la falsità ed erroneità della liquidazione delle spese del giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale monocratico di Enna, nonchè l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, con riferimento alla asserita illegittimità dell’operata liquidazione unitaria (per Euro 1.870,00) dei compensi di entrambi i gradi di giudizio, senza cioè distinguere tra i due gradi e specificare le spettanze separatamente da quantificare per ciascuno di essi.

5. Va osservato, in via pregiudiziale, che la richiamata depositata comparsa “per prosecuzione” dell’unico erede del ricorrente (avendo il coniuge di quest’ultimo rinunciato all’eredità), deceduto dopo l’instaurazione del giudizio di cassazione, non è idonea a produrre alcun effetto in detto giudizio.

Al riguardo le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 9692/2013, hanno statuito che, in tema di giudizio di cassazione (ove non è ammesso l’istituto dell’interruzione), poichè l’applicazione della disciplina di cui all’art. 110 c.p.c. (così come quella prevista dal successivo art. 111, comma 2) non è espressamente esclusa per il processo di legittimità, nè appare incompatibile con le forme proprie dello stesso, il soggetto che ivi intenda proseguire il procedimento, quale successore di una delle parti già costituite, deve allegare e documentare, tramite la necessaria produzione, tale sua qualità, attraverso un atto che, assumendo la natura sostanziale di un intervento, sia partecipato alla controparte – per assicurarle il contraddittorio sulla sopravvenuta innovazione soggettiva consistente nella sostituzione della legittimazione della parte originaria – mediante notificazione, non essendone, invece, sufficiente il semplice deposito nella cancelleria della Corte, come è, invece, è solo avvenuto nel caso di specie (in senso conforme v., da ultimo, Cass. n. 8973/2020).

6. Devono, poi, essere respinte le eccezioni di rito formulate dai controricorrenti relative alla supposta improcedibilità del ricorso e, in via successiva, di inammissibilità dei motivi con esso proposti.

Quanto all’eccezione rivolta all’asserita violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 1, va rilevato che, pacifica l’avvenuta notificazione del ricorso in data 26 febbraio 2016, dai documenti ritualmente prodotti dal ricorrente emerge che il conseguente deposito è intervenuto il successivo 12 marzo 2016 e, quindi, entro il termine prescritto dal citato art. 369, comma 1 codice di rito.

Le ulteriori eccezioni di inammissibilità dei motivi del ricorso per asserita loro genericità sono del tutto infondate poichè essi risultano sufficientemente specifici nella loro prospettazione e nel correlato svolgimento delle inerenti censure.

7. Ciò premesso, rileva il collegio che, sul piano dell’ordine logico-giuridico delle questioni, deve essere esaminato innanzitutto il secondo motivo, siccome attiene ad una pregiudiziale censura di ordine processuale.

Essa è infondata e va, perciò, respinta.

La dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c. è insussistente perchè non può ritenersi configurata un’omissione di pronuncia sulla esistenza del credito professionale del ricorrente a fronte del preliminare rilievo (assorbente) dell’illegittimità della sua pretesa per abuso della relativa iniziativa processuale conseguente alla prospettata indebita parcellizzazione del credito azionato, evidenziandosi come tale questione fosse stata idoneamente introdotta anche in sede di appello incidentale.

8. Ciò chiarito, si può passare alla disamina del primo motivo.

Ad avviso del collegio è anch’esso privo di fondamento, per cui deve essere rigettato.

Va osservato che, sulla base dei fatti accertati dal Tribunale di Enna con l’impugnata sentenza, è emerso che, in effetti, il ricorrente professionista, sulla scorta della documentazione offerta in produzione dagli appellati, aveva richiesto il suo compenso, esperendo undici procedimenti diretti al suo recupero che, tuttavia, erano ricollegabili al medesimo unico rapporto obbligatorio che trovava origine nella stessa vicenda processuale – ancorchè in relazione a diversi gradi, fasi e sub-procedimenti – diretta all’ottenimento di somme riguardanti l’avvenuto esproprio di fondi degli odierni controricorrenti. E, per quel che rileva specificamente nel caso in questione, anche il compenso qui in discussione era stato fatto separatamente oggetto del decreto monitorio poi opposto, ancorchè riferentesi agli onorari maturati con riguardo ad un giudizio di accertamento dell’obbligo di un terzo risalente al 2005 nel corso di procedimento di pignoramento presso terzi svolto nell’interesse dei R. per il soddisfacimento del loro credito basato sul titolo esecutivo riconducibile all’esito della predetta controversia fondata sulla stessa complessiva pretesa azionata in favore dei citati R..

Risulta, perciò, appurato che altri precedenti decreti ingiuntivi – ma nell’arco del medesimo periodo temporale – erano stati richiesti anche per altri procedimenti giudiziali riconducibili alla stessa vicenda processuale.

In particolare, il Tribunale ennese ha evidenziato che, dal punto di vista documentale, era risultato che il procedimento monitorio dedotto nel giudizio in questione afferiva alle somme richieste per prestazioni professionali riguardanti – come già posto in risalto – un giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo iscritto al n. R.G. 95/2005 del Tribunale di Nicosia.

Poi, lo stesso giudice di appello ha dato atto di aver constatato – sempre su base documentale – che, come ammesso dallo stesso ricorrente che aveva svolto un’attività processuale complessiva (ancorchè suddivisa in più fasi e gradi di giudizio) riconducibile unitariamente alla stessa pretesa azionata nell’interesse dei germani R., a decorrere dal 1988 e fino all’emanazione della sentenza della Corte di appello di Catania n. 798/2010, il professionista legale aveva richiesto, per i compensi correlati alle varie attività compiute, nove decreti ingiuntivi (tra cui quello in questione, oggetto di opposizione dinanzi al giudice di pace di Nicosia poi proseguito in appello avanti al Tribunale di Enna) ed esperito due ulteriori giudizi di cognizione, e tutti – va sottolineato – nel medesimo contesto temporale tra il 2011 e il 2012 e non, quindi, ognuno all’esito dell’esaurimento di ciascuna prestazione professionale, così frazionando in distinti procedimenti una pretesa creditoria, nell’arco di un breve lasso temporale, che avrebbe potuto essere oggetto di una iniziativa unitaria per il pagamento dei complessivi compensi professionali riconducibili ad un medesimo ed unico rapporto obbligatorio, non risultando emergente in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata.

In virtù di tali accertamenti, perciò, il Tribunale di Enna ha fatto corretta applicazione dell’orientamento, divenuto costante, della giurisprudenza di questa Corte secondo cui – a partire dalla sentenza a Sezioni unite n. 23726/2007 – non può ritenersi consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione comportante l’aggravamento della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale, con la conseguenza che le domande giudiziali aventi ad oggetto una frazione di un unico credito sono da dichiararsi improcedibili (in tal senso v., più di recente, Cass. n. 19898/2018).

Per tutte queste considerazioni la prima censura va, perciò, rigettata.

9. Il terzo motivo è da qualificarsi propriamente inammissibile perchè con esso non risulta, in effetti, denunciata una specifica violazione riconducibile a una o più di quelle previste dall’art. 360 c.p.c., prospettando soltanto, in modo generico, l’irrilevanza giuridica della circostanza attinente alla richiesta di pagamento degli onorari dovuti perchè avanzata con un’unica missiva in maniera contestuale.

Peraltro, si rileva che la parcellizzazione del credito – per come evidenziato in risposta al primo motivo – è stata considerata illegittima in relazione all’esperimento di singole iniziative processuali riconducibili ad un unico rapporto obbligatorio, non sortendo alcuna decisiva incidenza la condotta extraprocessuale adottata dal professionista legale prima di instaurare i distinti procedimenti in sede giurisdizionale.

10. Anche il quarto ed ultimo motivo è inammissibile.

Infatti, se è pur vero che con l’impugnata sentenza il Tribunale ennese ha provveduto ad una liquidazione unitaria dei compensi per entrambi i gradi di giudizio, avendo riformato la decisione di primo grado (ponendoli, per effetto della soccombenza finale, a carico dell’appellante principale), tuttavia – pur a fronte di questa modalità equivoca di quantificazione globale – il ricorrente si è soltanto doluto di questo vizio sul piano essenzialmente formale, nel senso che ha contestato solo l’irritualità di questa forma di liquidazione in un unico contesto ma non ha fatto – come avrebbe dovuto per manifestare l’interesse concreto a sollevare la questione ed in base al necessario rispetto del principio di specificità del motivo – riferimento ai criteri di determinazione dei compensi per ciascun grado che sarebbero stati liquidabili in base alle tariffe professionali “ratione temporis” applicabile, per dimostrare che la liquidazione, pur effettuata in modo totalmente comprensivo, avrebbe dovuto essere considerata illegittima per esorbitanza rispetto al massimo riconoscibile.

11. In definitiva, sulla scorta delle complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna del soccombente ricorrente (non potendo la stessa essere disposta a carico del citato erede, siccome da considerarsi non regolarmente costituitosi, salvo, ovviamente, risponderne in sede successiva) al pagamento, in favore dei controricorrenti in solido (siccome costituiti congiuntamente con un unico atto), delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo. Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento – in favore delle parti controricorrenti, in solido – delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 1.800,00, di Euro 200,00 per esborsi, oltre iva, cap e contributo forfettario nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza per il versamento, da parte del ricorrente, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda civile, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2020

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