Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2413 del 31/01/2018


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. II, 31/01/2018, (ud. 16/06/2017, dep.31/01/2018),  n. 2413

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 25 giugno 2007 M.A. evocava, dinanzi al Giudice di pace di Desio, F.M. e R.E.M., proprietari del terreno confinante con il suo, perchè nel mese di settembre 2003 avevano piantato una siepe di gelsomino a distanza inferiore rispetto a quella minima di mezzo metro stabilita per le siepi vive dall’art. 892 c.c., comma 1, n. 3, calcolata rispetto alla parte fuori terra e con riferimento sia al muro di cinta sia al muro del box di sua proprietà; aggiungeva che essendo risultati inutili i tentativi di un componimento stragiudiziale della lite, ne chiedeva la condanna ai sensi dell’art. 894 c.c. ad estirpare la siepe in questione.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, i quali assumevano che la piantumazione del gelsomino doveva ritenersi esclusa dalla previsione dell’art. 892 c.c., inoltre spiegavano domanda riconvenzionale chiedendo di impedire eventuali violazione della loro privacy derivanti da una telecamera installata dall’attore, il giudice adito, eretta in corso di causa dai convenuti la recinzione del loro fondo, per cui l’attore chiedeva di accertare il confine lungo il quale era stata realizzata, dichiarava il difetto di competenza per materia a decidere in favore del Tribunale di Monza.

In virtù di rituale impugnazione interposta dal M. avverso la decisione del giudice di prime cure, il Tribunale di Monza – Sezione distaccata di Desio, nella resistenza degli appellati, dichiarava inammissibile l’appello per carenza di un interesse concreto all’impugnazione a causa dell’intervenuta riassunzione dello stesso procedimento entro i termini fissati dal Giudice di pace. Avverso la suindicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione il M., sulla base di sette motivi, illustrati anche da memoria ex art. 378 c.p.c., illustrati anche da memoria ex art. 378 c.p.c., rimasti intimati il F. e la R..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per errata interpretazione e determinazione quanto alla domanda attorea di estirpazione della siepe di gelsomino, nonchè l’omesso esame di documenti prodotti dal medesimo ricorrente, con violazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 892 c.c. e art. 99 c.p.c. (principio della domanda), degli artt. 43 e 112 c.p.c.. Nella sostanza il ricorrente lamenta l’erronea interpretazione della domanda da parte del giudice di merito, insistendo di non avere mai prospettato una questione relativa a pretesa incertezza della linea di demarcazione tra le due proprietà, che risultava chiaramente delimitata nell’atto pubblico di compravendita dei convenuti, per cui sarebbe stato sufficiente un accertamento tecnico relativo allo stato degli atti, non disposto dal giudice. Aggiunge il ricorrente che il giudice di primo grado aveva prospettato una cessazione della materia del contendere ai sensi dell’art. 892 c.c., u.c. per non essere il muro divisorio preesistente alla piantumazione della siepe.

Inoltre il ricorrente, richiamando la motivazione di manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Pretore di Desio (artt. 46,354 e 355 c.p.c.) della Corte delle leggi, evidenzia che l’ordinanza n. 449 del 2007 non affermava affatto che nella pendenza di un giudizio in grado di appello su questione di competenza e di altro, in primo grado, la riassunzione innanzi al giudice dichiarato competente realizzi una sopravvenuta carenza di interesse a giudicare sull’appello (come invece statuito dal Tribunale in grado di appello) e quindi l’insorgenza di una causa di inammissibilità del gravame, ma solo che vi sarebbe stata una carenza di motivazione, essendosi fatto semplicemente valere il dubbio della sussistenza di un concreto interesse all’appellare.

Con il secondo motivo il ricorrente contrasta la pronuncia di inammissibilità anche con riferimento alla violazione degli artt. 46,48,100,295 e 329 c.p.c. sostenendosi che la riassunzione innanzi al giudice ritenuto competente, non aveva alcun valore di accettazione della competenza ma solo una funzione cautelativa e dunque non vi era acquiescenza alla competenza dichiarata.

I primi due motivi di ricorso – da trattare congiuntamente per la evidente connessione – sono fondati.

Va, anzitutto, osservato che, come è stato più volte affermato da questa Corte, ricorre l’ipotesi dell’acquiescenza tacita, di cui all’art. 329 c.p.c., quando l’interessato abbia posto in essere atti certamente dimostrativi della volontà di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia e dai quali, quindi, si possa desumere, in modo preciso ed univoco, l’intento di non avvalersi dell’impugnazione.

Rileva, inoltre, questa Corte – al fine di stabilire se, a seguito della sentenza che ha rimesso la causa al giudice ritenuto competente per materia, la riassunzione della causa innanzi a quest’ultimo giudice, pendente il termine d’impugnazione della sentenza dichiarativa dell’incompetenza, determini o meno l’inammissibilità del successivo atto di appello per carenza di interesse – che sulla questione (esaminata con riferimento alla diversa situazione in cui la sentenza dichiarativa dell’incompetenza del giudice adito era stata impugnata con l’istanza di regolamento di competenza proposta dalla parte che in precedenza aveva provveduto già a riassumere la causa davanti al giudice indicato come competente) l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 14360 del 2000; Cass. n. 6412 del 1996; Cass. n. 6838 del 1993) è nel senso che la riassunzione della causa, a seguito della sentenza dichiarativa dell’incompetenza del giudice adito, davanti al giudice in essa indicato come competente, non determina l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 329 c.p.c., dell’istanza di regolamento, successivamente proposta contro la sentenza medesima, trattandosi d’iniziativa riconducibile ad esigenze cautelative, in pendenza del termine concesso per presentare detta istanza, e, comunque, non incompatibile con la volontà di avvalersi di tale mezzo d’impugnazione. La ratio, che sorregge la suddetta esegesi della norma dell’art. 329 c.p.c. (nel senso che, a seguito di sentenza che abbia disposto il prosieguo della causa innanzi ad altro giudice, la riassunzione del giudizio dinanzi al diverso giudice, che sia effettuata nello spatium deliberandi accordato per l’esercizio della facoltà d’impugnazione della suddetta sentenza, non integra in sè comportamento incompatibile con la volontà di avvalersi di tale facoltà, ai sensi ed agli effetti dell’art. 329 c.p.c.), è certamente estensibile, data la evidente analogia del caso deciso con quello in esame, all’ipotesi di specie, dovendosi soltanto aggiungere che la riassunzione che sia avvenuta prima della proposizione dell’atto di appello, comporta soltanto che il giudizio riassunto debba intanto essere sospeso, in applicazione della norma di cui all’art. 48 c.p.c., che, nell’ambito del sistema è con efficacia di generale principio, regola il coordinamento tra il giudizio riassunto innanzi al diverso giudice e il giudizio d’impugnazione della sentenza, che la relativa translatio iudicii abbia disposto. Del resto, in tal senso sussiste specifico precedente di questa Corte (Cass. n. 5119 del 2004), secondo cui non può essere considerata acquiescenza tacita (rispetto alla decisione che dichiari la nullità della sentenza di primo grado e rimetta le parti al primo giudice per l’integrazione necessaria del contraddittorio) la riassunzione della causa davanti al giudice di primo grado quando siano ancora aperti i termini per l’impugnazione di detta statuizione, trattandosi d’iniziativa riconducibile ad esigenze cautelative, e, comunque, non incompatibile con la volontà di avvalersi di tale mezzo d’impugnazione.

E’ evidente l’errore di interpretazione in cui è incorso il Tribunale, il quale dunque avrebbe dovuto decidere nell’ambito del devolutum in secondo grado relativamente alla questione di merito, vale a dire sulla denegata competenza.

Nè sembra concludente quanto richiamato a pagina 92 del ricorso (che a sua volta richiama la memoria autorizzata in appello), in cui si affermava che con il gravame non si era inteso mettere in dubbio la incompetenza del Giudice di pace in relazione ad una domanda di accertamento incidentale con efficacia di giudicato ex art 34 c.p.c., bensì la interpretazione della domanda da parte del giudice di pace: invero della competenza si giudica sulla domanda (anche riconvenzionale) e quindi la stessa deve per forza formare oggetto di delibazione.

I restanti motivi – con i quali viene dedotto che con la dichiarazione di inammissibilità dell’appello, il Tribunale sarebbe stato carente di potere nel decidere, confermando le statuizioni di merito (terza censura), l’omessa pronuncia su un motivo di appello in merito alla inutilità dell’accertamento della proprietà della striscia di terreno su cui era stato edificato il tratto di recinzione dei convenuti al fine di far dichiarare cessata la materia del contendere (quarta doglianza), l’omessa pronuncia sul motivo di appello attinente alla domanda riconvenzionale dei convenuti (quinto mezzo), l’omessa pronuncia quanto alle spese di primo grado (sesto motivo) e violazione del D.M. n. 127 del 2004 quanto alla loro liquidazione rimangono (settima censura) – appaiono superati dall’accoglimento dei primi due motivi, giacchè questi ultimi introducono una questione – quale la natura della pronuncia – avente natura pregiudiziale.

In conclusione, accolti i primi due motivi di ricorso, assorbiti i restanti, la sentenza impugnata va cassata, rinviando la causa ad altro magistrato del Tribunale di Monza, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di Cassazione.

PQM

La Corte, accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbiti i restanti;

cassa la decisione impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di Cassazione, ad altro magistrato del Tribunale di Monza.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 16 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2018

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA