Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2413 del 29/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 29/01/2019, (ud. 07/11/2018, dep. 29/01/2019), n.2413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Maria Teresa Liana – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27143-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.A., EQUITALIA SESTRI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 40/2013 della COMM.TRIB.REG. di GENOVA,

depositata il 05/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/11/2018 dal Consigliere Dott. CIRESE MARINA.

Fatto

RITENUTO

che:

in data 8 maggio 2008 P.A. riceveva comunicazione dell’avvenuta iscrizione di ipoteca legale su un immobile di sua proprietà in relazione al mancato pagamento di importi iscritti a ruolo e fatti oggetto di cartella esattoriale. In particolare detta iscrizione si fondava sull’avviso di liquidazione delle imposte ed irrogazione di sanzioni relativamente ad un debito riferito all’imposta di registro notificato al curatore fallimentare del Palermo, dichiarato fallito insieme alla Edil Palermo s.n.c. di P.A. p. C. in data 28.2.1998, importo che veniva richiesto e non saldato per cui si procedeva ad iscrizione a ruolo del medesimo con ruolo vistato in data 23.7.2003 e consegnato al concessionario in data 25.8.2003.

Il curatore fallimentare si era rivolto all’Agenzia delle Entrate per chiedere l’ammissione al beneficio di cui al D.L. n. 328 del 1997, art. 6 bis, conv. nella L. n. 410 del 1997 e, pur ricevendo risposta negativa, aveva redatto il piano di riparto del fallimento tenendo conto della concessione del beneficio e disponendo quindi il pagamento.

Avverso la comunicazione di avvenuta iscrizione ipotecaria il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla CTP sostenendo che il pagamento effettuato dal curatore ai sensi del D.L. n. 328 del 1997, art. 6 bis, nell’ambito del fallimento dichiarato chiuso dal Tribunale di Savona con sentenza del 16 febbraio 2006 fosse idoneo ad estinguere il debito nella sua interezza. Nel giudizio si costituiva anche il concessionario Equitalia Sestri s.p.a.

La CTP rigettava il ricorso del contribuente ritenendo che l’avviso di iscrizione ipotecaria fosse stato redatto in base alla normativa, che doveva ritenersi valida la notifica della cartella di pagamento che ne costituiva il presupposto e che non era applicabile il beneficio di cui al D.L. n. 328 del 1997, art. 6 bis, richiesto dal curatore fallimentare in quanto la cartella, riferita a somme dovute a titolo di imposta di registro, non rientrava nell’ambito di applicazione della predetta disposizione.

Proposto appello avverso detta pronuncia da parte del contribuente, la CTR della Liguria accoglieva l’impugnazione e per l’effetto annullava l’atto di iscrizione di ipoteca, ritenendo che non potesse essere imputato al contribuente un operato non preciso e formale del curatore fallimentare nè il comportamento dell’Ufficio che non aveva fatto opposizione allo stato di riparto del fallimento non fornendo al contribuente neanche una corretta informazione circa la sua posizione debitoria con il fisco.

Avverso detta pronuncia l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione articolato in due motivi. Le parti intimate non si costituivano.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso rubricato “Nullità della sentenza per vizio di motivazione apparente: violazione e/o falsa applicazione: art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c. nonchè D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1 comma 2, art. 36, comma 2, n. 2 e 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4” parte ricorrente deduceva che la sentenza impugnata non reca una idonea ricostruzione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni della decisione costituendo una motivazione solo apparente.

Il motivo è infondato.

Ed invero la sentenza impugnata, sia pure in modo conciso indica le ragioni in fatto ed in diritto poste a base della decisione non ricorrendo l’ipotesi cui il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza).

2. Con il secondo motivo di ricorso rubricato “Violazione e falsa applicazione del R.D. n. 267 del 1942, artt. 120 e 142 e ss. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” parte ricorrente deduceva che la CTR ha erroneamente ritenuto estinto il debito del contribuente non potendosi allo stesso imputare alcunchè in relazione ad eventuali errori commessi dal curatore fallimentare e non avendo l’Ufficio fatto opposizione allo stato passivo. Sosteneva parte ricorrente che il debito, invece, ben poteva essere richiesto al fallito tornato in bonis tenuto conto di quanto disposto dal R.D. n. 267 del 1942, art. 120, come modificato dal D.Lgs. n. 5 del 2006.

Il secondo motivo è fondato.

Il debito oggetto della cartella esattoriale sul quale si fonda l’iscrizione di ipoteca riguardava l’imposta di registro sicchè correttamente l’Ufficio aveva negato l’agevolazione prevista dal D.L. n. 328 del 1997, art. 6 bis, riferendosi tale disposizione solo ai debiti di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 44, in materia di Iva ed a quelli di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, abrogato art. 92, in materia di imposte sul reddito e quindi non risultando applicabile al caso di specie afferente all’imposta di registro.

Il debito de quo, pertanto, a prescindere da ulteriori profili che non possono essere valutati in questa sede, non poteva considerarsi estinto e quindi glì importi non soddisfatti ben potevano essere richiesti al contribuente dopo la chiusura del fallimento atteso che “Tra gli effetti della chiusura del fallimento non è compresa la liberazione del fallito dalle obbligazioni non fatte valere o non soddisfatte nel corso della procedura fallimentare e, pertanto, ai sensi dell’art. 120 della L. Fall., nel testo anteriore alla riforma apportatagli con il D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore tornato “in bonis” per la parte non soddisfatta dei loro crediti, sia per capitale che per interessi. Ne consegue che l’amministrazione finanziaria può azionare il proprio credito tributario nei confronti del contribuente tornato “in bonis” (salvo che non ne sia decaduta ex art. 94 L. Fall.), senza che – di per sè – la presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del curatore (e del fallito) possa aver comportato l’onere per l’amministrazione di insinuarsi nel passivo del fallimento”(Cass. 6-5, n. 6473/2014).

Va inoltre precisato che mentre i provvedimenti adottati dal giudice delegato in sede di verifica dei crediti non acquistano efficacia di giudicato e spiegano solo effetti preclusivi nell’ambito della procedura fallimentare, la opposizione contro tali provvedimenti dà luogo ad un vero e proprio giudizio di cognizione, di natura contenziosa, sulla esistenza o meno del credito, e la sentenza che chiude definitivamente tale giudizio ha efficacia di cosa giudicata, se non viene impugnata da alcuna delle parti a tanto legittimate, ossia dalla curatela del fallimento o dal creditore interessato (Cass. 16.2.1966 n. 479 e Cass. 24.4.1964 n. 1004).

Ne consegue, pertanto, che l’Amministrazione finanziaria ben poteva azionare il residuo credito nei confronti del P..

In relazione al motivo sub 2), il ricorso va quindi accolto e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, il ricorso può essere deciso nel merito ex art. 384 c.p.c. con il rigetto del ricorso originario proposto dal contribuente.

Le spese del merito vanno compensate in ragione dell’esito dei giudizi mentre la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità segue la soccombenza.

PQM

In accoglimento del 2^ motivo di ricorso, rigettato il 1^, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso proposto dal contribuente.

Compensa le spese dei giudizi di merito.

Condanna P.A. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2300,00.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, fissata a seguito di riconvocazione del collegio, il 16 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2019

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