Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2413 del 03/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 03/02/2021, (ud. 14/10/2020, dep. 03/02/2021), n.2413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8811-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SAVOIA 80,

presso lo studio dell’avvocato ELETTRA BIANCHI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANTONIO PIMPINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 69/2012 della COMM. TRIB. REG. dell’Abruzzo,

SEZ. DIST. di PESCARA, depositata il 09/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/10/2020 dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con sentenza n. 69, emessa in data 26 gennaio 2012, depositata in data 9 febbraio 2012, la Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, (CTR) rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate di Pescara (di seguito, l’Agenzia) nei confronti di C.D. (di seguito, il contribuente), confermando la sentenza emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Pescara (CTP).

2. La controversia ha ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento concernente Iva, Irpef, Irap e le correlate sanzioni per il periodo d’imposta 2004.

3. L’avviso si fondava su un p.v.c. redatto dalla Guardia di Finanza di Chieti con cui si contestava al contribuente fatture per operazioni inesistenti, relative ad acquisti intracomunitari di autoveicoli per il tramite di società cartiere.

4. La CTP, respinte le eccezioni preliminari della ricorrente, aveva accolto nel merito il ricorso.

5. La CTR, nel rigettare l’appello dell’ufficio, richiamati i principi enunciati in questa materia dal giudice di legittimità, secondo cui a fronte di un avviso di accertamento “sufficientemente motivato con le indicazioni di dati e notizie raccolti dall’ufficio o dalla polizia tributaria, che tali indizi costituiscono validi elementi per dubitare della realtà delle operazioni commerciali documentati con le fatture, con la conseguenza che l’onere di provare la veridicità si trasferisce in capo al contribuente”, osservava che, se per un verso gli elementi offerti dall’ufficio relativamente alla minima dotazione di strutture, amministrative e operative, delle società cartiere facevano sorgere dubbi circa l’effettività dell’attività svolta, per altro verso l’attività di vendita di autoveicoli non necessitava di una struttura complessa, e nel caso di specie le cosiddette società cartiere espletavano esse stesse pratiche doganali per la importazione di autoveicoli. Il giudice di appello aggiungeva che sarebbe stato necessario dimostrare che il contribuente avesse avuto rapporti diretti con il fornitore comunitario, mentre al contrario erano emersi soltanto rapporti con le società cartiere. Riteneva irrilevante che le società cartiere avessero aperto conti correnti bancari presso un istituto di credito nella città di (OMISSIS), sede della concessionaria. Era infine indimostrato l’assunto dell’ufficio secondo cui il contribuente aveva venduto autovetture al cliente finale ad un prezzo inferiore a quello praticato da altre aziende: sul punto il giudice penale aveva nel suo provvedimento assolutorio osservato che dal raffronto tra la fattura di vendita e quella di acquisto emergeva che la cedente operava una maggiorazione sul prezzo finale, pari all’ammontare dell’Iva versata dalle società cartiere.

La CTR concludeva che l’insieme degli elementi raccolti, “pur significativi se singolarmente presi, complessivamente considerati, non erano assurti al rango di prova appagante dell’esistenza di una frode carosello”.

6. L’agenzia ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza per due motivi.

Il contribuente resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. – La ricorrente deduce:

– con il primo motivo, “Violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, Violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, nonchè degli artt. 2697 e 2699 e ss. c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). In sintesi, ad avviso della ricorrente agenzia, l’amministrazione finanziaria, in base alle indagini dell’organo tecnico, aveva fornito una serie di elementi sulle cartiere e sui rapporti con il contribuente che costituivano “pesanti presunzioni” della frode carosello, con la conseguenza che, in base ai presupposti giuridici validati dalla CTR, era onere del contribuente “contrapporre specifiche prove contrarie, mai fornite, e non invece l’ufficio, come erroneamente sostiene la sentenza, a dover fornire una “prova appagante” della frode stessa”; la decisione aveva svalutato illegittimamente il valore delle presunzioni poste dalle norme sull’Iva e sulle imposte dirette;

– con il secondo motivo “Violazione dell’art. 115 c.p.c. – Omessa o comunque insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e 5). Ad avviso dell’agenzia ricorrente, la sentenza impugnata sarebbe illogica e contraddittoria: a) laddove aveva fatto erronea applicazione del criterio di valutazione degli indizi, non considerando che per le cartiere operanti nel 2004 i verbalizzanti avevano accertato nel corso di perquisizioni che: – erano prive di strutture aziendali (rimesse, sale esposizioni, atti amministrativi); – non erano in possesso delle scritture contabili di cui avevano provveduto alla distruzione e/o all’occultamento; – l’operatività era stata limitata ad archi temporali circoscritti; – non era stata versata l’Iva; b) aveva ritenuto che non vi era prova di rapporti diretti intercorsi tra il contribuente e il fornitore comunitario, trascurando che egli non si limitava a contattare a mezzo fax le cartiere, ma indicava il fornitore comunitario da cui acquistare le vetture, dimostrando altresì di conoscere elementi contrattuali delle singole vendite; c) aveva trascurato che il contribuente aveva delega ad operare sui conti correnti di due cartiere che si erano succedute ((OMISSIS) e (OMISSIS)); d) anche in relazione al guadagno ricavato dalla rivendita dei veicoli, accertato dal giudice penale, la sentenza riteneva necessario per l’esistenza della frode carosello la rivendita ad un prezzo inferiore di quello di acquisto, non considerando che anche la suddivisione dell’Iva non pagata costituisce un profitto illecito: peraltro, nel PVC era emerso che la cartiera (OMISSIS) aveva venduto al contribuente dei veicoli ad un prezzo inferiore a quello d’acquisto; e) non doveva nemmeno trascurarsi, secondo l’agenzia, che gli amministratori delle società cartiere erano soggetti sottoposti a procedimento penale, avevano vita breve e non avevano versato l’Iva fatturata.

2. – Le eccezioni preliminari di inammissibilità sollevate nel controricorso sono destituite di fondamento:

– quanto a quella di tardività, si rileva che la sentenza è stata depositata il 9 febbraio 2012, per cui, come riconosce la stessa difesa del contribuente tenendo conto del periodo di sospensione dei termini di 46 giorni, il termine ultimo per la notifica scadeva il 27 marzo 2013. Il ricorso, pertanto, trasmesso a mezzo posta in questa data, deve ritenersi tempestivamente proposto, atteso che, al fine della verifica della tempestività del notifica del ricorso occorre avere riguardo, al momento in cui la parte notificante ha esaurito tutte le attività di impulso del procedimento notificatorio alla stessa richieste e che si esauriscono con la consegna delle copie del ricorso all’organo competente ad eseguire la notifica (Ufficiale giudiziario o ufficio postale), rimanendo estranee alla sfera di controllo del notificante le attività successive;

– anche quelle di mancanza di autosufficienza e di specificità sono infondate giacchè, diversamente da quanto sostenuto dal controricorrente, il ricorso in esame contiene specifiche, intellegibili ed esaurienti argomentazioni idonee a delineare la quaestio juris e a motivatamente censurare le affermazioni contenute nella sentenza impugnata; inoltre sono stati richiamati e riportati, per estratto, i brani del PVC ritenuti rilevanti;

– l’eccezione sub 3, è diretta a contrastare il secondo motivo di ricorso e sarà esaminata in quella sede;

– quanto all’eccezione di inammissibilità – infondatezza per novità, si osserva che nel giudizio tributario – strutturato come giudizio d’impugnazione di un provvedimento contenente la pretesa dell’amministrazione finanziaria, nel quale l’ufficio assume la veste di attore in senso sostanziale ed il dibattilo processuale è delimitato, da un lato, dalle ragioni di fatto e di diritto esposte nell’atto impositivo e, dall’altro, dalle questioni dedotte dal contribuente nel ricorso introduttivo (Cass. nn. 10779/2007, 15849/2006, 9754/2003) – il divieto di ultrapetizione e quello di proporre in appello nuove eccezioni (non rilevabili d’ufficio), posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 2, riguardano le eccezioni in senso tecnico, ossia gli strumenti processuali con cui il contribuente, convenuto in senso sostanziale, fa valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa o estintiva della pretesa fiscale. Tale non può considerarsi l’argomentazione difensiva tendente ad inficiare la sentenza sotto un profilo logico ulteriore rispetto a quello esposto in primo grado, perchè le difese, le argomentazioni e le prospettazioni con cui Amministrazione si difende dalle contestazioni già dedotte in giudizio non costituiscono, a loro volta, eccezioni in senso tecnico.

3. – Il primo motivo di censura è inammissibile. Quanto alla dedotta violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 21 – 54, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, si osserva che la CTR sul punto della natura di cartiere delle società fornitrici ha compiuto un accertamento di fatto (v. sub 5 del “Ritenuto”) che non può essere più messo in discussione sotto il vizio di violazione o falsa applicazione di legge che può essere formulato solo assumendo l’accertamento di fatto, così come operato dal giudice del merito, in guisa di termine obbligato, indefettibile e non modificabile, del sillogismo tipico del paradigma dell’operazione giuridica di sussunzione, là dove, diversamente (ossia ponendo in discussione detto accertamento), si verrebbero ad esercitarsi poteri di cognizione esclusivamente riservati al giudice del merito (cfr. Cass., ord., 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715). L’errore di diritto” nell’attività di giudizio, quindi, si traduce nella inesatta o errata individuazione od interpretazione della norma (o della fattispecie astratta in essa considerata) che deve essere applicata al rapporto come esattamene cognito nei suoi elementi fattuali, ovvero in un errore di sussunzione (che si verifica quando i fatti come oggettivamente rilevati non appaiono riconducibili alla fattispecie astratta contemplata dalla norma, ovvero pur essendo a quella riconducibili vengono tuttavia regolati dal Giudice sulla base di effetti giuridici diversi da quelli considerati dalla norma applicata). Nel caso in esame, sotto la veste della violazione di legge, la ricorrente svolge una censura di merito relativa all’accertamento dei fatti compiuto sulla base degli elementi probatori acquisiti, accertamento che è insindacabile in sede di legittimità, risultando peraltro l’ampia motivazione della sentenza impugnata sul punto (non apparente nè manifestamente illogica (cfr. Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).

Analogamente, quanto alla violazione degli artt. 2697 e 2699 c.c., la censura non è congruente con il contenuto della decisione, che non ha violato il principio sull’onere probatorio, ma ha deciso la controversia sulla base degli elementi probatori proposti dalle parti, non potendosi sicuramente ritenere integrata una inversione dell’onere della prova per aver la CTR ritenuto idonea quella fornita dal contribuente (v. Cass. n. 26769 del 23/10/2018).

4. Parimenti inammissibile è il primo profilo del secondo motivo. Va rilevato che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., “è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma” ossia che abbia “giudicato o contraddicendo espressamente la regola, dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio”, mentre “detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre”, trattandosi di attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (v. Cass. n. 11892 del 10/06/2016 e SU n. 20867 del 30/09/2020). Il motivo si traduce quindi in una censura del fatto, attraverso un presunto errore di diritto, “poichè in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità” (Sez. 2 -, Sentenza n. 24434 del 30/11/2016, Rv. 642202 – 01; ordinanza sez. III, 29/03/2019, n. 8763, in motivazione). Orbene, appare evidente che la CTR, in realtà, ha valutato gli elementi probatori introdotti in giudizio dalle parti, in ispecie con riguardo all’attività delle “cartiere”, traendone le conseguenti conclusioni, sicchè la questione si pone, eventualmente, in termini di adeguatezza della motivazione, e non di violazione dell’art. 115 c.p.c.

5. Fondato è il secondo profilo del secondo motivo, quanto al vizio di motivazione. Va ribadito che “in tema di iva, l’amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Sez. 5, Sentenza n. 9851 del 20/04/2018);

– è superfluo precisare, trattandosi di principi generali in tema di prova, che la prova dell’inesistenza delle operazioni può ben consistere in presunzioni semplici, poichè la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. n. 9108 del 2012);

– si rende necessario, dunque, tenere conto della concreta vicenda e delle circostanze di volta in volta presenti, sicchè in alcuni casi “l’onere probatorio dell’amministrazione finisce con l’appesantirsi, in quanto, di norma, non è possibile esigere che il cessionario/committente, al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità o evasioni nella catena delle cessioni, verifichi che l’emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi ne disponesse e fosse in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’Iva, o che disponga dei relativi documenti” (Cass. n. 24490 del 02/12/2015; v. successivamente anche Cass. n. 17290 del 13 luglio 2017), rimarcando, tuttavia, che continua a prospettarsi un obbligo di verifica in capo al cessionario a fronte di indizi che gli consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasione, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare ed afferenti alla sua sfera di azione;

– in particolare, (come già sottolineato da Cass. n. 24490 del 2015 cit.), se al destinatario non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali od operativi anomali dell’operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate ovvero tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi di una potenziale evasione, la cui rilevanza è tanto più significativa atteso il carattere strutturale e professionale della presenza dell’imprenditore nel settore di mercato in cui opera e l’aspettativa, fisiologica ed ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri operatori siano proficui e suscettibili di reiterazione nel tempo;

– rileva in proposito ancora Cass. n. 9851/2018 che “In via meramente esemplificativa, poichè la valutazione va in ogni caso ancorata alla concreta vicenda, possono costituire elementi di rilevanza sintomatica: l’acquisto dei beni ad un prezzo inferiore di mercato; la limitatezza dell’eventuale ricarico; la presenza di una varietà e pluralità di soggetti promiscuamente indicati nella documentazione di trasporto e nella fatturazione; la scelta di operare secondo canali paralleli di mercato (che esige una più attenta e approfondita valutazione dei propri interlocutori, proprio per verificarne l’effettività), poco importa se giustificata da esigenze di accelerazione e di margini produttivi; la tempistica dei pagamenti, in ispecie se incrociati od operati su conti esteri a fronte di interlocutori nazionali, ovvero se effettuati cash; la qualità del concreto intermediario con il quale sono state intrattenute le operazioni commerciali; il numero, la qualità e la durata delle transazioni, in ispecie a fronte di rapporti contigui e frequentazioni reiterate con i titolari della cartiera, ovvero nel caso in cui il contribuente abbia rapporti commerciali con una pluralità di soggetti aventi la quantità di cartiera;

– nel caso in esame, l’agenzia con richiamo al PVC della Guardia di Finanza, riprodotto ai fini dell’autosufficienza nel ricorso, aveva indicato gli elementi di fatto (elencati sub precedente 1) ritenuti gravi, precisi e concordanti dai quali inferire l’inesistenza delle operazioni; elementi che, la stessa CTR aveva ritenuto di consistenza tali da ingenerare il dubbio “circa la effettiva attività delle società ritenute di interposizione”;

– e però, anzichè indicare quali prove contrarie a sostegno dell’esistenza delle operazioni erano state fornite dal contribuente, con ragionamento inverso rispetto al paradigma della prova indiziaria integrante vizio motivazionale e non già una alternativa ricostruzione dei fatti, come sostenuto nel controricorso -, secondo cui “Allorquando la prova addotta sia costituita da presunzioni, le quali anche da sole possono formare il convincimento del giudice del merito, rientra nei compiti di quest’ultimo il giudizio circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire inferenze che ne discendano secondo il criterio dell'”id quod plerumque accidit”, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità, se sorretto da motivazione immune da vizi logici o giuridici e, in particolare, ispirato al principio secondo il quale i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti ad una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi, pur senza omettere un apprezzamento così frazionato, al fine di vagliare preventivamente la rilevanza dei vari indizi e di individuare quelli ritenuti significativi e da ricomprendere nel suddetto contesto articolato e globale (Sez. 3 – Sentenza n. 12002 del 16/05/2017, Rv. 644300 – 01), la CTR ha ritenuto che gli indizi singolarmente considerati supportavano positivamente la tesi dell’inesistenza dell’operazione, ma che la loro valutazione complessiva diventava sfornita di valenza indiziaria: trattasi di ragionamento manifestamente illogico, atteso che la sommatoria di addendi di segno positivo non può mai portare ad un risultato negativo. Altrettando incongruamente poi ha ritenuto la rilevanza di dati (quali lo sdoganamento delle auto da parte delle cartiere e l’assenza di rapporti tra il contribuente e il fornitore comunitario), senza valutare gli elementi forniti dall’ufficio che dimostravano il contrario;

– nè appare pertinente il richiamo al giudicato penale introdotto dal controricorrente, correttamente disatteso dalla CTR che ha fatto applicazione del consolidato principio per cui una penale sentenza non può far stato nel giudizio tributario, costituendo semplice elemento di prova; un elemento di prova che però, appunto liberamente valutandolo, è recessivo in confronto alle contrarie presunzioni ritenute gravi, precise e concordanti (Sez. 5, Sentenza n. 2938 del 13/02/2015 (Rv. 634894 01); Cass. sez. trib. n. 8129 del 2012; Cass. sez. trib. n. 19786 del 2011).

6. In conclusione il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla CTR dell’Abruzzo in diversa composizione che terrà conto, ai fini delle imposte sui redditi e dell’irap, della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis (nella formulazione introdotta dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, conv. in L. n. 44 del 2012).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo; accoglie il secondo motivo nei limiti di cui alla motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità alla CTR dell’Abruzzo in diversa composizione per nuovo esame.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2021

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