Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24125 del 24/10/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 24125 Anno 2013
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: FALASCHI MILENA

Sottotetto —
Accertamento
diritto

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 22936/07) proposto da:
DE LUCA ROBERTO, PILONE ANTONELLA, COSTA SALVATORE, SALVINI LUIGI TELESIO,
DI PIETRO GIANA, CALABRESE FRANCESCA, VOZI FIORENTINO e COSTA BARBARA,
rappresentati e difesi, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.to Silvio Rezzonico
del foro di Milano e dall’Avv.to Sergio Smedile del foro di Roma ed elettivamente domiciliati
presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Giuseppe Ferrari n. 12;
– ricorrenti –

contro
CASTELLANO MICHELE e MORLACCHI MANUELA, rappresentati e difesi dagli Avv.ti
Alessandro Manfredini e Nicola Vasile del foro di Milano e dall’Avv.to Massimo Vitolo del foro di

Data pubblicazione: 24/10/2013

Roma, in virtù di procura speciale apposta a margine del controricorso, ed elettivamente
domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Apricale n. 31;

– controricorrenti e contro

– intimati avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 959 depositata il 30 marzo 2007.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 4 giugno 2013 dal
Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito l’Avv.to Nicola Vasile, per parte resistente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo
Gambardella, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso proposto ai sensi degli artt. 669 bis e ss. c.p.c. e 1171 c.c., notificato il 30 maggio
2003 Roberto DE LUCA, Antonella PILONE, Salvatore COSTA, Luigi Telesio SALVINI, Giana DI
PIETRO, Francesca CALABRESE, Fiorenzo VOZI, Marina ZAPPAROLI, Carolina ARDITO, Luigi
DE LUCA, Rocco MONGIARDO e Barbara COSTA evocavano, dinanzi al Tribunale di Milano —
Sezione distaccata di Legnano, Michele CASTELLANO e Manuela MORLACCHI e premesso di

ZAPPAROLI MARINA, DE LUCA LUIGI, ARDITO CAROLINA e MONGIARDO ROCCO

essere condomini dello stabile Raggio di Sole, sito in Cerro Maggione, al pari dei convenuti,
chiedevano venisse loro inibita la prosecuzione di opere iniziate nell’appartamento di loro
proprietà, sito al piano solaio del medesimo edificio, opere che avrebbero concretato violazione
del regolamento condominiale, con ripercussioni sulla struttura e sul decoro architettonico
dell’immobile.

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H

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, i quali formulavano ai sensi dell’ad.
700 c.p.c. richiesta di autorizzazione agli allacci ENEL e AMGA, il giudice adito respingeva
l’istanza di sospensione delle opere de quibus e disponeva la prosecuzione del giudizio di merito.
Con successivi atti integrativi gli attori chiedevano, in subordine, la costituzione di servitù di passo

carico dei convenuti l’onere economico delle opere di trasformazione. Con sentenza n. 217 del
2004 il giudice del merito rigettava le domande attoree, accertando il diritto dei convenuti ad
effettuare a proprie spese gli allacciamenti ai servizi, posizionando i relativi contatori sulle parti
comuni ex ad. 1102 c.c..
In virtù di rituale appello interposto dagli originari attori, i quali lamentavano il malgoverno delle
risultanze istruttorie, la Corte di appello di Milano, nella resistenza degli appellati, respingeva il
gravame.
A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale evidenziava che gli appellati avevano
acquistato da Tiberio Carello, con scrittura privata autenticata del 23.10.2001 “porzione costituita
da un locale rustico al piano sottotetto, distinto con il numero 10”, impegnandosi ad osservare il
regolamento di condominio e le tabelle millesimali vigenti; a sua volta il Carello lo aveva
acquistato dai sigg. Sozzi e Corradi; né detto locale era riportato all’ad. 20 del regolamento
condominiale, laddove stenditoio nel sottotetto risultava depennato.
Aggiungeva che non risultava violata neanche la clausola di cui all’ad. 27 del Regolamento
condominiale emergendo dallo stesso “patto speciale”, riportato nel rogito del 20.1.1976 relativo
all’unità abitativa posta al primo piano, la intrinseca destinazione abitativa, almeno potenziale,
delle mansarde. In tal senso deponeva anche la legge regionale 15.7.1996 n. 15, vigente
all’epoca, finalizzata al recupero a fini abitativi dei sottotetti, non immutata nella specie la
superficie e la volumetria preesistente.

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per l’accesso al tetto in favore dei condomini e in via di ulteriore subordine, che venisse posto a

Concludeva che non sussistevano le condizioni per desumere l’acquisto per usucapione della
servitù di passaggio, in particolare il requisito dell’apparenza.
Avverso la indicata sentenza della Corte di appello meneghina hanno proposto ricorso per
cassazione Roberto DE LUCA, Antonella PILONE, Salvatore COSTA, Luigi Telesio SALVINI,

quattro motivi, al quale hanno replicato il CASTELLANO e la MORLACCHI con controricorso.
Nel corso della pubblica udienza i controricorrenti hanno formulato istanza di responsabilità
aggravata ex art. 96 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1102, 1122, 1120, comma 2,
1138, ult. comma c.c., nonché vizio di motivazione, per incorrere l’attività realizzata dai
controricorrenti sul bene di proprietà esclusiva nel divieto contenuto nell’art. 27 del regolamento
condominiale contrattuale di mutamento della destinazione d’uso del sottotetto ad uso deposito,
senza il consenso assembleare. Il motivo culmina nel seguente quesito di diritto: “è legittima la
disapplicazione, da parte di un condomino, di una norma del regolamento condominiale
contrattuale, che vieti — come nella specie l’art. 27— ogni mutamento di destinazione delle unità in
condominio senza la preventiva autorizzazione assembleare adottata con la maggioranza per le
innovazioni?”.

Il motivo è meritevole di accoglimento.
Non è, infatti, condivisibile l’applicazione che la corte d’appello ha fatto, al caso di specie, dei
principi in tema di interpretazione del regolamento condominiale.
Secondo la prospettazione dei ricorrenti la sentenza della Corte meneghina avrebbe violato,
nell’interpretazione del rogito dedotto in controversia del 20 gennaio 1976, il canone principale
dell’interpretazione letterale di cui all’art. 1362 c.c., così incorrendo anche nel vizio motivazionale

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Giana DI PIETRO, Francesca CALABRESE, Fiorenzo VOZI e Barbara COSTA, articolato su

riconducibile alla diversa scelta dell’interpretazione logica con il rilievo della genericità del
testo contrattuale e della mancanza di riferimenti concreti. Tale motivazione risulterebbe smentita
— ad avviso dei ricorrenti – dalle risultanze documentali, in particolare dalla descrizione del

costituita da un locale rustico al piano sottotetto”, avente categoria 0/2, che notoriamente
individua la destinazione dell’immobile a deposito e magazzino.
Sul piano generale si osserva che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di
questa Corte, dal sistema delle regole ermeneutiche in materia di contratti si desume l’esistenza
di un principio di gerarchia secondo cui le norme interpretative vere e proprie di cui agli artt. 13621365 c.c. prevalgono su quelle interpretative integrative di cui agli artt. 1366-1371 c.c., nel senso
che la determinazione oggettiva del significato e della portata da attribuire alla dichiarazione
negoziale non ha alcuna ragione di essere quando la ricerca soggettiva conduce ad un utile
risultato. È altresì pacifico (cfr., ad es., Cass. 22 dicembre 2005 n. 28479; Cass. 22 febbraio 2007
n. 4176; Cass. 28 agosto 2007 n. 18180 e, da ultimo, Cass. 26 febbraio 2009 n. 4670) che, in
tema di interpretazione del contratto (che costituisce operazione riservata al giudice di merito, le
cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali di
ermeneutica contrattuale e per vizio di motivazione), ai fini della ricerca della comune intenzione
dei contraenti, il principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle
espressioni utilizzate nel contratto; tuttavia, occorre evidenziare che il rilievo da assegnare alla
formulazione letterale deve essere verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, e le singole
clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al loro coordinamento a
norma dell’art. 1363 c.c., e dovendosi intendere per “senso letterale delle parole” tutta la
formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la
compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di

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sottotetto contenuta nel rogito, per notaio Rossi, del 23 ottobre 2001 che la definisce “porzione

più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il
significato.
Nell’impiego della tecnica ermeneutica basata sul contesto letterale dell’atto, occorre considerare,
poi, che l’esatto significato lessicale delle espressioni adoperate può non corrispondere

significato tecnico-scientifico, che rimandi ad una branca dello scibile umano non
necessariamente a conoscenza dei dichiaranti in tutte le sue implicazioni. Ne deriva che, salvo
una precisa e comune volontà delle parti di rinviare all’esatta valenza semantica propria di
determinate nozioni specialistiche, l’interpretazione letterale deve essere contestualizzata in
maniera da scontare una ragionevole approssimazione alla materia richiamata. Diversamente, ne
risulterebbe vulnerata la stessa portata soggettiva del canone d’interpretazione letterale, in quanto
l’espressione indagata non sarebbe più storicizzabile, ma risulterebbe sostituita da un dato
oggettivo e astratto (e per di più potenzialmente mobile) dipendente non dalla comune intenzione
delle parti, ma da fattori significanti ad esse sostanzialmente estranei (v., da ultimo, Cass. 30
giugno 2011 n. 14460).
Nello specifico la sentenza impugnata mostra di aver adoperato il canone ermeneutico
dell’interpretazione letterale in maniera non conforme agli enunciati anzi detti e di non avere
motivato in modo sufficiente in ordine alla concreta destinazione dell’immobile ad un uso contrario
alla regola condominiale, anch’essa di riflesso insufficientemente indagata.
Infatti, il giudice distrettuale non ha tenuto conto dell’intero contenuto della clausola di cui all’art.
27 del regolamento di condominio, di più ampio tenore, il cui spirito è volto ad imporre a ciascun
condomino il rispetto della destinazione naturale dei locali di proprietà esclusiva, così come
riportato dai ricorrenti, da porre in relazione al contenuto del contratto di compravendita in
discorso (di cui al rogito 23 ottobre 2001), che descrive la porzione posta al piano sottotetto come
locale rustico, appartenente alla categoria catastale C12, ma si è limitato ad interpretare gli atti

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all’intenzione comune delle parti allorché i singoli vocaboli utilizzati possiedano un preciso

pubblici separatamente, tralasciando l’indagine sul complessivo tenore letterale, oltre a
decontestualizzare il richiamo contenuto nell’atto di alienazione alla categoria catastale di
appartenenza del bene de quo, ricavando le proprie conclusioni unicamente dalla circostanza
astratta che i locali venduti ai CASTELLANO — MORLACCHI avessero come loro destinazione

dell’immobile, traendo quest’ultima non da un elemento di fatto, ma in modo assolutamente
generico e, soprattutto, senza alcun riferimento a situazioni concrete (invece esattamente
determinate sulla scorta dei già richiamati riferimenti catastali e planimetrici), ma solo dalla
potenziale vocazione delle mansarde ad essere abitate, come desumibile dal c.d. patto speciale
posto a conclusione della nota di trascrizione relativa al trasferimento dell’unità abitativa posta al
primo piano (con rogito del 20 gennaio 1976), dato viepiù insufficiente in assenza di una
complessiva interpretazione dell’atto di acquisto dei locali sottotetto, con riferimento all’art. 27 del
regolamento condominiale, da cui emerge con limpida chiarezza che la disposizione è volta a
vietare a ciascun condomino di eseguire nella sua proprietà esclusiva mutamenti della naturale
destinazione dei locali, fatta salva una specifica autorizzazione assunta con il voto favorevole dei
2/3 dei componenti il Condominio.
È noto, infatti, che le norme contenute nei regolamenti condominiali posti in essere per contratto
possono imporre limitazioni al godimento ed alla destinazione di uso degli immobili in proprietà
esclusiva dei singoli condomini, disposizioni che si risolvano nella compressione delle facoltà e

naturale quella abitativa. In altri termini, non ha accertato quale fosse l’effettiva destinazione

dei poteri inerenti al diritto di proprietà dei singoli partecipanti ed in quanto costituiscono oneri
reali o servitù reciproche (Cass. n. 7003 del 1990; Cass. n. 1681 del 1993) afferiscono
immediatamente alla cosa (Cass. n. 16240 del 2003; Cass. n. 2683 del 1994), purchè
espressamente e chiaramente manifestate dal testo (o comunque risultanti da una volontà
desumibile in modo non equivoco da esso) (cfr Cass. 31 luglio 2009 n. 17893).

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m

Il secondo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1322, 1372, 1138,
ult. com ., 832 c.c. per avere la corte territoriale attribuito efficacia di ius superveniens alla legge
Regionale n. 15 del 1996, che prevarrebbe sui principi previsti dagli artt. 1322 e 1372 c.c. e sulle
disposizioni del regolamento condominiale contrattuale, in particolare la clausola di cui all’ad. 27.

dello Stato in detta materia; inoltre, come è noto ogni autorizzazione e/o concessione
amministrativa farebbe comunque salvi i diritti dei terzi, per cui nella specie né la legge regionale
n. 15/1996 né la DIA potevano in alcun modo autorizzare la deroga all’ad. 27 del regolamento
condominiale. A conclusione del motivo è posto il seguente quesito di diritto: “Può una legge
urbanistica regionale, in tema di recupero edilizio dei sottotetti, dettare disposizioni derogatorie
dei principi privatistici, relativi all’autonomia contrattuale delle parti e al diritto di proprietà di
queste ultime?”.
Anche detto mezzo è fondato.
Costituisce “ius receptum” nella giurisprudenza di questa Corte il postulato secondo il quale la
regolarizzazione di una costruzione mediante il c.d. “condono” delle violazioni di norme
urbanistiche perpetrate nel realizzarla, esplica effetti soltanto sul piano pubblicistico, precludendo
alla pubblica amministrazione l’applicazione delle sanzioni a dette violazioni correlate, ma non
incide in alcun modo sui diritti dei terzi direttamente pregiudicati dalla attività costruttiva illecita
oggetto di sanatoria (nelle pronunce si è fatto riferimento alla legge 28 febbraio 1985 n. 47: cfr.,
“ex multis”, Cass. 18 gennaio 2008 n. 992). La declaratoria risultante dalla sentenza impugnata
secondo la quale la legge regionale 15 luglio 1996 n. 15, finalizzata al `recupero ai fini abitativi dei
sottotetti con l’obiettivo di contenere il consumo di nuovo territorio e favorire la messa in opera di
interventi tecnologici per il contenimento dei consumi energetici’, autorizza gli interventi di
recupero dei sottotetti (purchè non eccedano le trasformazioni riconducibili al concetto di
ristrutturazione edilizia prevista dall’ad. 31 lett. d) legge n. 457/1978), per cui avrebbe sortito

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Proseguono i ricorrenti che il legislatore regionale è tenuto a rispettare la riserva di legge a favore

l’effetto di far venire meno le conseguenze della violazione del regolamento contrattuale
condominiale commessa dai condomini Castellano-Morlacchi con le immutazioni effettuate nella
zona di sottotetto acquistata, provocando la caducazione del diritto spettante agli odierni ricorrenti
di pretendere la puntuale osservanza di detto regolamento, si pone in patente contrasto con il

Le conseguenze delle violazioni edilizie si sviluppano, infatti, su due piani ben distinti di rapporti
giuridici, uno, pubblicistico, tra il soggetto costruttore e gli organi pubblici amministrativi preposti
alla prevenzione e repressione degli illeciti, l’altro, privatistico, tra lo stesso soggetto e i titolari di
diritti soggettivi che possono rimanere lesi dall’attività edificatrice del primo; pertanto, non
interferendo tra loro i due ordini di rapporti, la previsione di attività di regolarizzazione delle opere
attiene al punto di vista amministrativo, penale e fiscale, ovvero ai soli effetti dell’interesse
pubblico, ma non pure ai fini privatistici, cosicché nelle controversie tra i privati, detta
regolarizzazione non può incidere negativamente sui diritti dei terzi direttamente pregiudicati dalla
attività edilizia in questione.
Erroneo quindi risulta il convincimento espresso nella sentenza impugnata dal giudice
distrettuale, e, perciò, la relativa statuizione va ravvisata meritevole di cassazione.
Con il terzo motivo è dedotta la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in
ordine alla domanda di danno temuto, in tema di violazione del compossesso da parte dei
resistenti sulle parti comuni, spettanti a tutti i condomini, avendo la corte di merito del tutto
confuso la tutela dello stato di fatto, propria delle azioni possessorie e nunciative, con la tutela
propria delle azioni petitorie in tema di servitù, non pronunciando sull’eccepito spoglio o turbativa,
nonostante fosse stata acquisita agli atti la concreta prova dello spoglio e/o turbativa, comunque
non contestata. Prosegue la censura riportando le dichiarazioni dei Castellano-Morlacchi e delle
ipotesi in cui si sono resi necessari interventi di recupero del sottotetto.

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principio più sopra enunciato.

La censura è da disattendere, in quanto la corte di appello ha correttamente spiegato le ragioni
per le quali l’azione intrapresa dai condomini, da qualificarsi come petitoria, non meritava
considerazione, affermando che dall’istruttoria espletata era emerso il difetto nella fattispecie di
‘segni’ idonei a dimostrare l’asservimento della zona solaio alle necessità del Condominio, quale

il relativo possesso.
Tale affermazione appare idonea e sufficiente a spiegare il rigetto della domanda attorea sotto il
profilo dell’eccepito spoglio o turbativa dell’asserito diritto reale ed è stata confutata solo
genericamente dai ricorrenti, senza indicare, al fine di consentire il controllo del Collegio
sull’operato del giudice di merito, gli elementi risultanti dagli atti e non considerati dal giudicante,
idonei a contrastarla sul piano logico-fattuale.
Il quarto motivo, con il quale è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 669
septies c.p.c. con riferimento agli artt. 91 e 92 c.p.c., nonché omessa motivazione sulla mancata
liquidazione delle spese di soccombenza relative alla procedura cautelare d’urgenza in sede di
reclamo (e che culmina nel seguente quesito di diritto: “Nella liquidazione delle spese di

soccombenza, di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c., il giudice deve tenere conto, oltre che di altre
soccombenze parziali, anche delle spese di soccombenza relative ai connessi procedimenti
cautelari di urgenza, non liquidate dal giudice della cautela?’), risulta assorbito dal parziale
accoglimento delle questioni di merito poste con i primi due mezzi.

ente di gestione, e pertanto andava esclusa l’esistenza del diritto di servitù e conseguentemente

L’accoglimento del ricorso esclude, inoltre, una qualsivoglia responsabilità dei condomini per
avere agito in giudizio e pertanto deve essere rigettata la domanda dei controricorrenti di
condanna dei ricorrenti al risarcimento per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., peraltro
proposta solo in sede di discussione in pubblica udienza.
Per quanto sopra, in accoglimento dei primi due motivi di ricorso, rigettato il terzo ed assorbito il
quarto, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Corte di

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sikp)

appello di Milano, che deciderà la causa attenendosi ai principi anzi detti, provvedendo, altresì, a
regolare le spese del presente giudizio di cassazione.

La Corte, accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso, rigettato il terzo, assorbito il
quarto;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del
giudizio di Cassazione, ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 4 giugno 2013.

P.Q.M.

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