Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2412 del 04/02/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 2412 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: CIRILLO FRANCESCO MARIA

SENTENZA

sul ricorso 7019-2010 proposto da:
VECCHIO

GIUSEPPE

VCCGPP26L21H558Y,

elettivamente

domiciliato in ROMA, LARGO DELLA GANCIA l, presso lo
studio dell’avvocato PALERMO GIUSEPPE, rappresentato e
difeso dall’avvocato AGRESTA DOMENICO giusta delega in
atti;
– ricorrente –

2013

contro

2159

BARBALACE PASQUALE BRBPQL52B19H558A;
– intimato –

Nonché da:

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Data pubblicazione: 04/02/2014

BARBALACE PASQUALE BRBPQL52B19H558A, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA ADDA 87, presso lo studio
dell’avvocato ALBANO MARIO, rappresentato e difeso
dagli avvocati GANGEMI ANTONINO, DATTOLA SILVIO giusta
delega in atti;

contro

VECCHIO GIUSEPPE VCCGPP26L21H558Y;
– intimato –

avverso la sentenza n. 308/2009 della CORTE D’APPELLO

di REGGIO CALABRIA,

depositata il 01/10/2009, R.G.N.

41/996;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/11/2013 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato DOMENICO AGRESTA;
udito l’Avvocato ANTONINO GANGEMI;
udito l’Avvocato SILVIO DATTOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IGNAZIO PATRONE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso principale e del ricorso
incidentale entrambi per quanto di ragione;

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– ricorrente incidentale –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Giuseppe Vecchio citava in giudizio Pasquale Barbalace
davanti al Tribunale di Palmi e, premettendo di essere
proprietario di un fabbricato il cui piano terreno era condotto
in locazione dal convenuto, chiedeva che il medesimo venisse

cod. civ., conseguenti ad un incendio che, sviluppatosi al piano
terreno, aveva poi causato danni all’intero fabbricato.
Si costituiva il convenuto, eccependo in via preliminare il
difetto di legittimazione attiva del Vecchio e chiedendo, nel
merito, il rigetto della domanda; proponeva, a sua volta,
domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni subiti.
Il Tribunale accoglieva la domanda dell’attore e condannava
il convenuto al pagamento della somma di lire 357.000.170, con
rivalutazione ed interessi.
2. La pronuncia veniva appellata dal Barbalace e la Corte
d’appello di Reggio Calabria, con sentenza del l ° ottobre 2009,
in accoglimento parziale del gravame, dichiarava il difetto di
legittimazione attiva del Vecchio e rigettava le domande
riconvenzionali proposte dal Barbalace,

con compensazione

integrale delle spese del doppio grado.
Osservava la Corte territoriale che – pacifico dovendo
ritenersi che l’immobile locato era di proprietà del Vecchio tuttavia dalla copia del contratto di locazione prodotta
dall’appellante risultava che il medesimo era stato stipulato
tra il Barbalace e la s.r.l. Concordia, della quale il Vecchio
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condannato al risarcimento dei danni, ai sensi dell’art. 1588

era amministratore unico. D’altra parte il locatore aveva
dichiarato di agire ai sensi dell’art. 1588 cod. civ., ossia in
qualità di locatore e non di proprietario. Pertanto, in base
alla copia del contratto di locazione prodotta «nel presente
grado di giudizio (vedasi comparsa conclusionale dell’appellante

alla quale l’appellato nulla aveva eccepito – doveva ritenersi
dimostrato il difetto di legittimazione attiva dell’originario
attore. Da tale difetto di legittimazione derivava anche,
contrarlo, il

a

rigetto delle domande avanzate in via

riconvenzionale dal Barbalace.
3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Reggio
Calabria propone ricorso Giuseppe Vecchio, con atto affidato a
due motivi.
Resiste Pasquale Barbalace con controricorso, contenente
ricorso incidentale subordinato affidato a quattro motivi e
supportato da memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta, in
riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ.,
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione.
Rileva il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe errato
nel considerare prodotto, nel corso del giudizio di secondo
grado, il contratto di locazione stipulato tra la s.r.l.
Concordia, di cui il Vecchio era amministratore, ed il
Barbalace. Tale documento, in realtà, non è stato allegato ad
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depositata in data 6 febbraio 2004)» – produzione in relazione

alcuna delle comparse conclusionali o memorie di replica
depositate dal conduttore, né prodotto in corso di causa. Né il
Barbalace ha provato o chiesto di provare la causa per la quale
tale contratto non è stato prodotto nel corso del giudizio di
primo grado. In realtà – rileva il ricorrente – il contratto è

proposto con separata istanza, quando il giudizio di merito era
già stato rinviato all’udienza collegiale; e, d’altra parte,
nella fase della inibitoria il Vecchio aveva addirittura
disconosciuto la firma apposta in calce al contratto stesso.
Il contratto in questione, quindi, non sarebbe stato mai
prodotto; e la sentenza impugnata ha dimenticato che, nell’unica
fase in cui esso è stato esibito, il Vecchio si era opposto alla
produzione.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Nel caso in esame, infatti, la Corte d’appello ha dato conto,
nella propria motivazione (v. p. 11 della sentenza), delle
ragioni per le quali la produzione del documento contestato
doveva considerarsi rituale. Da tanto consegue che la censura
che il ricorrente muove non potrebbe, comunque, essere
prospettata in termini di vizio di motivazione, quanto, invece,
di violazione di legge o di vizio revocatorio. Ove, infatti, la
Corte territoriale avesse errato nel ritenere legittima tale
produzione, la censura si sarebbe dovuta rivolgere come
violazione di legge; qualora, invece, la Corte avesse compiuto,
in ipotesi, un errore di percezione, ritenendo presente in atti

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stato esibito solo nel corso del procedimento di inibitoria

un documento che non era stato prodotto, ciò configurerebbe,
semmai, un vizio revocatorio.
Questa Corte ha affermato che, qualora una parte assuma che
la sentenza, impugnata con ricorso ordinario per cassazione, è
viziata a causa della erronea interpretazione di un fatto da

sulla esistenza di un fatto risultante chiaramente inesistente
dagli atti o documenti processuali, il ricorso deve ritenersi
inammissibile in quanto trattasi di errore revocatorio, da
rimuovere a mezzo dello specifico strumento di impugnazione
disciplinato dall’art. 395 cod. proc. civ. (così la sentenza 25
maggio 2004, n. 10027).
Si è anche detto, in termini per così dire speculari, che il
vizio di motivazione su un punto decisivo, denunziabile per
cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod.
proc. civ., postula che il giudice di merito abbia formulato un
apprezzamento, nel senso che, dopo aver percepito un fatto di
causa negli esatti termini materiali in cui è stato prospettato
dalla parte, abbia omesso di valutarlo in modo che l’omissione
venga a risolversi in un implicito apprezzamento negativo sulla
rilevanza del fatto stesso, ovvero lo abbia valutato in modo
insufficiente o illogico. Qualora, invece, l’omessa valutazione
dipenda da una falsa percezione della realtà, nel senso che il
giudice ritiene, per una svista obiettivamente ed immediatamente
rilevabile, inesistente un fatto o un documento, la cui
esistenza risulti incontestabilmente accertata dagli stessi atti
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parte del giudice di merito, che ha fondato la sua decisione

configurabile un errore di fatto deducibile

di causa,

esclusivamente con l’impugnazione per revocazione ai sensi
dell’art. 395, n. 4), cod. proc. civ. (sentenza 27 luglio 2005,
n. 15672).
Ora, il motivo in esame è costruito sul presupposto che il

dimostrazione del difetto di legittimazione attiva da parte del
Vecchio – ossia il contratto di locazione – non sarebbe stato
mai effettivamente prodotto in giudizio; il giudice di merito,
cioè, avrebbe deciso sulla base di un documento che era stato
soltanto

esibito

dalla controparte nella fase dell’inibitoria

davanti alla Corte d’appello. Alla luce della richiamata
giurisprudenza, che va confermata nella sede odierna, deriva che
il ricorrente ha fatto valere come vizio di motivazione una
censura che doveva essere prospettata, semmai, con
l’impugnazione

per

revocazione,

il

che

comporta

l’inammissibilità del primo motivo di ricorso.
2. Con il secondo motivo del ricorso principale si lamenta,
in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc.
civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 345, terzo
comma, cod. proc. civ., nel testo novellato dalla legge 18
giugno 2009, n. 69.
Con la modifica del 2009, infatti, è stato consacrato in
legge un principio che era già pacifico nella giurisprudenza di
legittimità, ossia che nel giudizio di appello è inammissibile
la produzione di nuovi documenti. D’altra parte, non vi è stata
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documento ritenuto decisivo dal giudice di merito ai fini della

alcuna dimostrazione attestante l’impossibilità di produrre il
contratto in questione, e la Corte territoriale non si è mai
pronunciata in ordine alla indispensabilità del documento
stesso.
2.1. Il motivo non è fondato.

prospettabile in relazione al caso in esame, poiché, trattandosi
di un giudizio introdotto con citazione del 16 marzo 1988, al
medesimo non è applicabile né il testo dell’art. 345 cod. proc.
civ. introdotto dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, né quello di
cui alla legge 26 novembre 1990, n. 353; nel caso in esame,
semmai, sarebbe applicabile il vecchio testo dell’art. 345, che
conteneva, com’è noto, un sistema assai più elastico in materia
di preclusioni relative alla produzione dei documenti nel
giudizio di appello. E la giurisprudenza di questa Corte
stabiliva, in relazione a quella norma, che le parti potessero,
anche in appello, proporre nuove eccezioni, produrre nuovi
documenti e chiedere l’ammissione di nuovi mezzi di prova, con
la sola previsione che, se la deduzione poteva essere proposta
in primo grado, si sarebbe dovuto applicare l’art. 92 cod. proc.
civ. in relazione alle spese del grado di appello (sentenza 27
luglio 2001, n. 10278).
Ma, anche senza considerare tale decisivo aspetto, il motivo
in esame è prospettato in maniera intimamente contraddittoria,
perché, mentre da un lato continua a ribadire che il documento
in questione non sarebbe stato affatto prodotto, dall’altro
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Il ricorrente lamenta una violazione di legge che non è

censura la presunta tardività della produzione, rilevando che il
Barbalace non ha dimostrato in alcun modo di essere stato
nell’impossibilità di effettuare tempestivamente tale
produzione. Ed è evidente che le due tesi sono fra loro
incompatibili.

censurata determinano l’infondatezza del motivo di ricorso in
esame.
3. Il ricorso principale, pertanto, è rigettato.
Da ciò consegue l’assorbimento del ricorso incidentale,
prospettato dal Barbalace su quattro motivi, trattandosi di
ricorso evidentemente condizionato.
A tale esito segue la condanna del ricorrente principale alla
rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in
conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale
20 luglio 2012, n. 140, sopravvenuto a disciplinare i compensi
professionali.
PER QUESTI MOTIVI

La Corte

rigetta

il ricorso principale con assorbimento di

quello incidentale, e condanna il ricorrente principale al
pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in
complessivi euro 12.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre
accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza
Sezione Civile, il 20 novembre 2013.

La contraddittorietà e l’erronea individuazione della norma

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