Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24118 del 24/10/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 24118 Anno 2013
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: ROSSETTI MARCO

SENTENZA

sul ricorso 31759-2007 proposto da:
FAVERO

FAUSTO

FVRFST54B14A479M,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA MONTE DELLE GIOIE 13, presso
lo studio dell’avvocato VALENSISE CAROLINA, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato
BERTELLO UGO giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

1696

GENOVA

SILVIA

GNVSLV74P7OL219V,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA P.L. DA PALESTRINA 47,
presso lo studio dell’avvocato IOSSA FRANCESCO PAOLO,

1

Data pubblicazione: 24/10/2013

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
DE GUGLIELMI ROBERTO giusta delega in atti;

controricorrente

avverso la sentenza n. 1382/2007 della CORTE
D’APPELLO di TORINO, depositata il 13/09/2007, R.G.N.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/09/2013 dal Consigliere Dott. MARCO
ROSSETTI;
udito l’Avvocato CAROLINA VALENSISE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto;

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2157/2005;

R.G.N. 31759/07
Ud. del 20.9.2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Nel 2003 il sig. Fausto Favero convenne in giudizio la sig.a Silvia Genova,
imprenditrice, allegando di avere con essa stipulato nel luglio e nel
novembre del 2000 due contratti di prestazione d’opera professionale,
aventi ad oggetto l’assistenza e la consulenza finalizzate alla redazione ed

svolta dalla controparte, istanze rivolte a pubbliche amministrazioni od
organi di queste. Aggiungeva che, nonostante il puntuale adempimento a
parte propria delle obbligazioni assunte con quei contratti, la convenuta non
gli aveva pagato il corrispettivo promesso, e ne chiedeva pertanto la
condanna all’adempimento.

2. La sig.a Silvia Genova si costituì eccependo che l’attività per la quale
l’attore aveva richiesto il pagamento del compenso era consistita in una
mediazione creditizia, consentita soltanto ai soggetti iscritti nel ruolo dei
mediatori previsto dalla I. 3 febbraio 1989 n. 39 e, in seguito, dal d.p.r. 28
luglio 2000 n. 287. E poiché l’attore non era iscritto, all’epoca dei fatti, in
alcuno dei due suddetti albi o ruoli, i contratti con lui stipulati dovevano
ritenersi nulli, ai sensi dell’art. 1418 c.c..

3. Il Tribunale di Pinerolo accolse la domanda con sentenza 4 maggio 2005
n. 279, ritenendo che l’attività svolta dall’attore fosse consistita in una
consulenza, e non in una mediazione: di questa, secondo il Tribunale,
sarebbe mancato infatti l’elemento principale, ravvisato nella “interposizione
neutra ed imparziale” del mediatore.

4. La Corte d’appello di Torino, decidendo l’appello proposto dalla sig.a
Silvia Genova, riformò tuttavia tale decisione, ritenendo che l’attività svolta
dal sig. Fausto Favero dovesse qualificarsi come “mediazione creditizia”,
non consentita ai soggetti non iscritti all’apposito albo.
Per pervenire a tale conclusione la Corte d’appello ha ritenuto che l’attività
di mediazione non sia esclusa:

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alla presentazione di due istanze di finanziamento dell’attività commerciale

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Ud. del 20.9.2013

– né dalla circostanza che una delle parti abbia conferito un apposito
incarico al mediatore;
– né dalla previsione che al mediatore sia dovuto un compenso in ogni caso,
quand’anche l’affare non fosse concluso;
– né dalla circostanza che il mediatore, dopo avere messo in contatto le

Elemento indefettibile della mediazione, secondo il giudice d’appello, è
invece la messa in relazione delle parti: e poiché nel caso di specie era stato
il sig. Fausto Favero a mettere in contatto la sig.a Silvia Genova con gli enti
finanziatori, egli andava qualificato come mediatore.
Così qualificata l’attività svolta dall’appellato, la Corte la ritenne a lui inibita:
(a) all’epoca del primo contratto (luglio 2000) dalla I. 39/89, cit., la quale
imponeva anche ai mediatori creditizi l’iscrizione nel ruolo ivi previsto;
(b) all’epoca del secondo contratto (novembre 2000) dal combinato disposto
della I. 7 marzo 1996 n. 108 e del relativo regolamento di attuazione (d.p.r.
28 luglio 2000 n. 287), norme che, nel creare il nuovo albo dei mediatori
creditizia, avevano sussunto nell’ambito di tale attività anche la mera
consulenza finalizzata alla concessione di finanziamenti.

5. La decisione della Corte d’appello è stata impugnata per cassazione dal
sig. Fausto Favero, sulla base di quattro motivi.
La sig.a Silvia Genova ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso il sig. Fausto Favero lamenta, ai sensi

dell’art. 360, n. 3, c.p.c., che la sentenza impugnata avrebbe violato gli
artt. 1754 e ss. c.c.; gli artt. 1 e ss. della legge 3 febbraio 1989 n. 38, ed il
relativo regolamento di attuazione, approvato con d.m. 21 dicembre 1990
n. 452.

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parti, non si attivi per appianare eventuali divergenze tra esse.

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L’errore commesso dalla Corte d’appello, secondo il ricorrente, sarebbe
consistito nel qualificare come “mediazione” il contratto stipulato tra le parti
nel luglio 2000.
Quel rapporto, invece, secondo il ricorrente non poteva essere ritenuto una
mediazione, perché:
il sig. Fausto Favero non aveva messo in contatto due parti che

intendevano concludere un affare, ma aveva assistito la sig.a Silvia Genova
nella preparazione e nell’inoltro di una domanda di finanziamento indirizzata
ad una società in mano pubblica, la Finpiemonte s.p.a.;
(b) l’attività di finanziamento delle imprese, alle condizioni stabilite dalla
legge, svolta dalla Finpiemonte s.p.a. non può essere assimilata ad un
“affare” commerciale, sicché mancando la configurabilità di quest’ultimo,
nemmeno poteva ritenersi sussistere un rapporto di mediazione;
(c) l’attività di finanziamento svolta dalla Finpiemonte s.p.a. è resa pubblica
attraverso forme di pubblicità legale, e dunque le persone interessate ad
ottenere quei finanziamenti non hanno alcuna necessità di essere “messe in
contatto” con la finanziaria pubblica, ma solo quella di essere assistite per
preparare istanze di finanziamento corrette ed ammissibili.

1.2. Gli elementi di fatto essenziali, posti dalla sentenza d’appello a
fondamento della propria decisione, non sono in contestazione tra le parti.
E’ pacifico, in particolare, che:
(a) nel luglio 2000 il sig. Fausto Favero e la sig.a Silvia Genova hanno
stipulato un contratto formalmente qualificato “lettera d’incarico
professionale”;
(b)

tale contratto ha previsto l’obbligo del sig. Fausto Favero di

“(presentare] richiesta di finanziamento a valere sulla legge regionale 28/99
per un importo di lire 116.000.000”;
(c) l’attività svolta dal sig. Fausto Favero è stata qualificata dal giudice di
primo grado e da quello d’appello, con accertamento in fatto ormai coperto
da giudicato interno, in termini di “consulenza in materia di possibilità di
accesso a pubbliche sovvenzioni e contributi” (così la sentenza di primo
grado, pag. 7), ovvero di “predisposizione della domanda di finanziamento e

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(a)

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presentazione alla Finpiemonte” (così la sentenza d’appello, pag. 12, §
2.2.2);
(d) in cambio di tale prestazione, la sig.a Silvia Genova si è obbligata a
pagare al sig. Fausto Favero una somma di denaro (definita “retribuzione
professionale”) divisa in tre parti: la prima da pagarsi per il solo fatto di

sarebbe stata accolta, ovvero quando il finanziamento sarebbe stato
incassato;
(e) il sig. Fausto Favero non ha ricevuto alcun incarico dall’ente finanziatore,
né ha percepito da questo provvigioni di sorta;
(f) la domanda di finanziamento sottoscritta dalla sig.a Silvia Genova è
stata effettivamente presentata alla società Finpiemonte.
Sulla base di questi elementi di fatto la Corte d’appello ha ritenuto di
qualificare il contratto stipulato tra le parti come “mediazione”, e l’ha di
conseguenza dichiarato nullo, per non essere il mediatore iscritto al ruolo
previsto dalla legge n. 39 del 1989.
Tale qualificazione non applica correttamente le previsioni di cui agli artt.
1754 e ss. c.c.: sia dal punto di vista letterale, sia dal punto di vista logico.

1.3. Sul piano dell’interpretazione letterale, sia la dottrina, sia la
giurisprudenza di questa Corte hanno da tempo individuato gli elementi
essenziali della attività di mediazione come delineata dal codice civile. Essi
sono:
(a) sul piano strutturale: l’onerosità, la subordinazione della provvigione alla
conclusione dell’affare (art. 1755 c.c.); la libertà per il mediatore di attivarsi
o meno; l’autonomia e l’indipendenza del mediatore (art. 1754 c.c.);
(b) sul piano funzionale: lo svolgimento di un’attività mirante a mettere due
o più parti in relazione, al fine di concludere un affare (art. 1754 c.c.).
Il contratto stipulato tra le parti del presente giudizio è privo in parte di
questi requisiti.

1.3.1. In primo luogo, il sig. Fausto Favero aveva l’obbligo, e non la facoltà
.

di prestare l’assistenza e la consulenza promesse alla controparte, e

presentazione della domanda, le altre due da pagarsi quando l’istanza

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finalizzate alla presentazione della domanda di finanziamento. Mancava,
dunque, il requisito della autonomia del mediatore.

1.3.2. In secondo luogo, il compenso promesso dalla sig.a Silvia Genova alla
controparte contrattuale era subordinato solo in parte alla effettiva

comunque dovuto. Mancava, dunque, al rapporto in esame il requisito della
subordinazione della provvigione alla conclusione dell’affare.

1.3.3. In terzo luogo, quel che maggiormente rileva, mancava nel caso di
specie il più importante degli elementi caratterizzanti l’attività di
mediazione: e cioè lo svolgimento di un’attività finalizzata alla messa in
relazione delle parti interessate alla conclusione di un affare (ex permultis,
in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 1233 del 04/02/2000, Rv. 533465).
La “messa in relazione” di cui all’art. 1754 c.c., infatti, pur potendo
assumere in concreto le forme più disparate, concettualmente non può che
ridursi a due attività principali: individuare o la persona con cui contrattare,
o l’oggetto della contrattazione.
L’individuazione della persona con cui contrattare, a sua volta, è attività che
può teoricamente avvenire con due modalità diverse: l’avvicinamento od il
reperimento.
Si ha la prima quando il mediatore favorisce la conoscenza di due persone
che in precedenza erano ignote l’una all’altra; si ha la seconda quando il
mediatore appiana le divergenze esistenti tra due intermediati che già si
conoscevano, e che avevano fino ad allora impedito la conclusione
dell’affare.

1.3.4. Nel nostro caso l’attività svolta dal sig. Fausto Favero non è stata
finalizzata né ad un reperimento della controparte, né ad un avvicinamento
tra contraenti noti l’uno all’altro, ma in disaccordo.
Non è stata finalizzata al primo, perché il contratto stipulato inter partes
prevedeva espressamente che compito dell’odierno ricorrente fosse quello di

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erogazione del finanziamento, mentre per altra parte sarebbe stato

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“presentare una richiesta di finanziamento” ai sensi della legge regionale
Piemonte 12 novembre 1999 n. 28.
L’art. 18 di questa legge – nel testo vigente ratione temporis – affidava alla
regione il compito di agevolare “l’accesso al credito delle imprese operanti
nel settore del commercio” ed i “programmi di sviluppo delle imprese

La Regione Piemonte provvede all’attuazione del piano di sviluppo
economico regionale, ai sensi dell’art. 2 della I. reg. Piemonte 26 gennaio
1976 n. 8, attraverso l’Istituto Finanziario Regionale Piemontese FINPIEMONTE s.p.a.; e comunque è incontroverso, nel caso di specie, che il
finanziamento richiesto dalla sig.a Silvia Genova non potesse che essere
concesso previa approvazione da parte della suddetta società a
partecipazione pubblica.
Ora, se al momento della conclusione del contratto di cui è causa era già
nota alle parti l’identità del soggetto cui indirizzare la richiesta di
finanziamento, l’attività demandata al sig. Fausto Favero non poteva essere
qualificata come “mediazione” finalizzata al reperimento di un

partner

commerciale, per la ovvia ragione che questi era già ben noto ed
individuato.

1.3.5. Nemmeno può dirsi che il contratto del luglio 2000 avesse per
oggetto l’incarico di avvicinare le posizioni di due potenziali contraenti, che
fossero in disaccordo tra loro su un qualche punto dell’affare da concludere.
Non è stato infatti mai in discussione tra le parti che, per accedere ai
finanziamenti previsti dall’art. 18 della I. reg. Piemonte n. 28/99 l’istante
dovesse rimuovere resistenze, ostacoli o diffidenze da parte dell’ente
preposto ad autorizzarne l’erogazione.

1.3.6. In definitiva, poiché il contratto stipulato tra le parti non affidava
all’odierno ricorrente alcun compito di “mettere in contatto” l’imprenditore
ed il potenziale finanziatore, ma solo quello di assistere il primo nella
“predisposizione e presentazione” della domanda (così la sentenza
impugnata, pag. 12), esso non poteva essere qualificato come

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inerenti l’innovazione gestionale e tecnologica”.

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“mediazione”, per la mancanza del primo e più importante elemento di
questa.

1.4. Sul piano dell’interpretazione logico-sistematica, la sentenza impugnata
incorre poi in un secondo errore: quello di dilatare a dismisura il concetto di

norma a fattispecie concrete che le sono estranee.
La Corte d’appello infatti, dopo avere accertato in facto che il sig. Fausto
Favero assunse l’obbligo contrattuale di assistere la sig. Silvia Genova nella
“predisposizione e presentazione” della domanda di finanziamento all’ente a
ciò preposto dalla normativa regionale, ne ha tratto la conseguenza che in
tal modo il ricorrente avesse “posto in contatto” la persona finanziata e
l’ente finanziatore.
In tal modo la Corte ha adottato una nozione amplissima di “messa in
contatto”, che non trova riscontro nella lettera della legge.
E’ insegnamento risalente e ricevuto, nella giurisprudenza di legittimità e
nella dottrina unanime, che due parti possono dirsi “messe in contatto”
dall’intervento del mediatore quando, senza l’opera di quest’ultimo, l’affare
non si sarebbe concluso.
L’attività del mediatore, dunque, deve essere “causa determinante” della
conclusione dell’affare: se fosse mancata la prima, non vi sarebbe stata la
seconda.
E’ noto tuttavia che il concetto giuridico di causalità non coincide con quello
naturalistico, e che la sua funzione è in primo luogo quella di delimitare
l’ambito delle fattispecie giuridicamente rilevanti (funzione “strutturale”,
secondo la definizione della recente sentenza pronunciata da Sez. 3,
17.9.2013 n. 21255).
Pertanto dire che si ha attività di mediazione solo quando l’intervento del
mediatore sia stato la causa della conclusione dell’affare non significa
elevare al rango di attività mediatoria qualsiasi antecedente causale che ha
condotto alla conclusione di quello. Se così non fosse, si dovrebbe pervenire
all’irrazionale conclusione di qualificare come “mediatore” ex art. 1754 c.c.
sinanche il tassista che accompagni il contraente nel luogo scelto per le

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“messa in relazione” di cui all’art. 1754 c.c., finendo così per applicare la

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trattative, o il cartolaio che fornisca ai contraenti i fogli per la stesura della
minuta contrattuale.
Questa evidente reductio ad absurdum dimostra l’erroneità della premessa,
e cioè che qualunque collaborazione prestata ad uno dei potenziali
contraenti possa essere qualificata come “causa” della conclusione

mediatore (secondo la previsione dell’art. 1755 c.c.) non quando questi
abbia svolto un generico ruolo di assistenza, consiglio o consulenza di una
delle parti, ma quando abbia svolto un’opera di reperimento od
avvicinamento tra queste, nel senso sopra indicato. E’ necessario, quindi,
che “tra l’attività del mediatore ed il negozio giuridico ai fini del quale egli
ha prestato la sua opera vi sia un rapporto di causalità per cui il contratto
principale, nel suo contenuto essenziale, appaia come il risultato utile
dell’attività dell’intermediario, [e che] questa possa ritenersi conseguenza
(…) dell’opera dell’intermediario (…), tale che senza di essa, secondo
l’ordine normale delle cose, il contratto non si sarebbe concluso” (così Sez.
3, Sentenza n. 3071 del 26/10/1962, Rv. 254531).
Tale conclusione, oltre che dalla lettera della legge e dalla dottrina
prevalente, è corroborata dalla stessa Relazione ministeriale al progetto di
libro delle obbligazioni del codice civile, la quale al Cap. 52, § 193,
espressamente nega la qualità di mediatore a chi abbia svolto l’attività di
“locatore d’opere” (diremmo oggi: prestatore d’opera) a favore di uno dei
contraenti.
Da quanto esposto discende che la circostanza in fatto accertata dalla Corte
d’appello, ovvero la presentazione all’ente regionale della domanda
sottoscritta dalla sig.a Silvia Genova, non era di per sé idonea a qualificare
il contratto come mediazione, dovendosi piuttosto parificare tale attività a
quella del prestatore d’opera, del mandatario o del nuncius.

1.5. Sulle conclusioni appena esposte non incide il tormentato tema
(4)
concernente la che un rapporto di mediazione abbia fonte negoziale, né
quello della ammissibilità di una mediazione svolta su incarico di uno solo

dei potenziali contraenti (c.d. mediazione unilaterale).

.
10

dell’affare. Un affare può dirsi concluso “per effetto” dell’intervento del

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E’ noto infatti come sia la dottrina, sia – in misura minore – la
giurisprudenza di legittimità non siano unanimi nell’ammettere l’esistenza
della c.d. mediazione contrattuale.
Taluni, infatti, muovendo dal rilievo che la legge accordi al mediatore il
diritto alla provvigione per il solo fatto di avere messo in relazione le parti,

fatto, scaturente dalla mera conclusione dell’affare per opera del mediatore,
e non da un previo accordo tra le parti intermediate ed il mediatore.
Secondo questo orientamento, pertanto, la mera circostanza che il
mediatore abbia ricevuto incarico da una delle parti sarebbe di per sé
sufficiente ad escludere la sussistenza d’una mediazione tipica (così si è
espressa, isolatamente, Sez. 3, Sentenza n. 16382 del 14/07/2009, Rv.
609184).
Altri, all’opposto, ritengono – ma con molte sfumature diverse – che accanto
alla mediazione non negoziale (od “anegoziale”) prevista dal codice civile,
sia ammissibile e lecita una mediazione preceduta da un accordo tra il
mediatore ed una o tutte le parti interessate all’affare: e tale è
l’orientamento prevalente di questa Corte (ex plurimis, in tal senso, Sez. 3,
Sentenza n. 9547 del 22/04/2009 (Rv. 608335; Sez. 3, Sentenza n. 24333
del 30/09/2008, Rv. 604883; Sez. 3, Sentenza n. 19066 del 05/09/2006,
Rv. 592043; Sez. 3, Sentenza n. 7252 del 07/04/2005, Rv. 581339; Sez. 3,
Sentenza n. 7251 del 07/04/2005, Rv. 581454; Sez. 3, Sentenza n. 5952
del 18/03/2005, Rv. 580839; Sez. 2, Sentenza n. 9380 del 27/06/2002, Rv.
555412).
Tali problemi tuttavia non vengono in rilievo nel presente giudizio: ed
infatti, anche ove si volesse restare fedeli alla tesi maggioritaria che
ammette la mediazione unilaterale e negoziale, comunque tale rapporto
atipico, per essere soggetto alle norme sulle mediazione, dovrebbe
presentare l’elemento tipico di questo, e cioè la “messa in contatto” nel
senso sopra indicato. Elemento la cui sussistenza, per quanto già detto,
doveva escludersi sulla base degli stessi accertamenti in fatto compiuti dal
giudice di merito.

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ne traggono la conclusione che la mediazione sia un rapporto giuridico di

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1.6. A conclusioni analoghe a quelle che precedono questa Corte è già
pervenuta in passato.
Fu dapprima Sez. 1, Sentenza n. 2721 del 25/06/1977, Rv. 386375, a
qualificare come contratto d’opera, e non mediazione, quello con cui una
persona si era obbligata, dietro compenso, ad assistere la controparte nella

In seguito, chiamata a stabilire se potesse qualificarsi come “mediazione”
l’attività di consulenza ed assistenza finalizzata all’individuazione di forme di
investimento od al reperimento di soggetti cui domandare un
finanziamento, la Corte l’ha ripetutamente negato: dapprima con la
sentenza pronunciata da Sez. 1, Sentenza n. 6956 del 06/07/1999, Rv.
528303, e quindi con la decisione pronunciata da Sez. 3, Sentenza n. 15200
del 06/08/2004 (la cui massima non è del tutto corrispondente alla
motivazione).
In quest’ultima decisione la Corte, chiamata a qualificare un contratto in
virtù del quale una società commerciale aveva assunto l’obbligo, dietro
compenso, di prestare “consulenza e di assistenza” in favore di un
imprenditore affinché questi ottenesse un contributo pubblico, ritenne
“assolutamente pacifico” che quel contratto prevedesse una “prestazione
d’opera professionale (attività di consulenza e assistenza), secondo lo
schema di cui all’art. 2230 c.c.” (Cass. 15200/04, cit., § 5.4 dei “Motivi della
decisione”).

1.7. Il primo motivo di ricorso deve dunque essere accolto in base al
seguente principio di diritto: “L’attività di mera assistenza e consulenza
finalizzata alla preparazione ed alla presentazione di una domanda rivolta
alla concessione di finanziamenti pubblici, da presentare ad un organo già
determinato direttamente dalla legge, non costituisce mediazione tipica né
atipica, ma va qualificata come prestazione d’opera professionale”.

2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo di ricorso il sig. Fausto Favero lamenta, ai sensi
dell’art. 360, n. 3, c.p.c., che la sentenza impugnata avrebbe violato gli

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richiesta di un finanziamento.

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artt. 16 della legge 7 marzo 1996 n. 108 (c.d. legge antiusura), e 2 del
relativo regolamento di esecuzione (d.p.r. 28 luglio 2000 n. 287).
L’errore commesso dalla Corte d’appello, secondo il ricorrente, sarebbe
consistito anche in questo caso nel qualificare come “mediazione” il secondo
contratto stipulato tra le parti, quello del novembre 2000.

mediazione, sia per le ragioni già indicate con riferimento al primo motivo di
ricorso (l’attività del ricorrente essendo consistito nella mera assistenza e
consulenza finalizzate alla presentazione di una domanda di
finanziamento); sia perché in questo caso il finanziamento in questione era
“a fondo perduto”.

2.2. Il contratto stipulato inter partes nel novembre 2000, secondo quanto
accertato nella fase di merito e non contestato in questa sede, aveva ad
oggetto l’incarico di “eseguire la prestazione professionale [consistente
nella] presentazione di richiesta di finanziamento a valere sulla legge D. M.
(sic] 225/98 per un importo di lire 104.215,70”.
Anche in questo caso era previsto l’obbligo, e non la facoltà dell’incaricato
(Fausto Favero) di attivarsi per conseguire il risultato suddetto; e l’obbligo
dell’incaricante (Silvia Genova) di corrispondere un corrispettivo in parte
fisso, e in parte subordinato alla effettiva concessione del finanziamento.
Il Tribunale ha qualificato anche tale rapporto come “mediazione”,
adottando le medesime ragioni riassunte nello “Svolgimento del processo”
della presente motivazione, al § 4. Ha tuttavia soggiunto, con riferimento a
questo secondo contratto, che all’epoca della conclusione di esso era già
entrato in vigore il d.p.r. 28.7.2000 n. 287, ai sensi del quale nell’attività di
mediazione “rientra anche la sola attività di consulenza”. Sicché – è la
conclusione implicita, ma chiara della sentenza – anche a voler qualificare in
os
termini di “consulenza4 l’attivita svolta dal ricorrente, essa comunque non
poteva essere svolta se non previa iscrizione all’albo dei mediatori creditizi
di cui all’art. 2 d.p.r. 287/00.

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Quel rapporto, invece, secondo il ricorrente non poteva essere ritenuto una

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2.3. La motivazione della Corte d’appello, appena riassunta, non sembra
conforme a diritto, in quanto:
(a) il contratto stipulato tra le parti non presenta le caratteristiche d’una
mediazione unilaterale, e dunque vi è stata violazione dell’art. 1754 c.c.;
(b)

l’attività di consulenza che non sia strumentale ad una attività

mediatori creditizi, e dunque vi è stata violazione dell’art. 2 d.p.r. 287/00.

2.4. Sotto il primo profilo, si è già visto supra, § 1.3.3. e ss., come
l’assistenza nella preparazione di una domanda di finanziamento da
indirizzarsi alla pubblica amministrazione non costituisca una “mediazione”
ai sensi dell’art. 1754 c.c.: di essa manca infatti l’elemento centrale, ovvero
il “reperimento” dell’altro contraente.
Aggiungasi che il contratto stipulato a novembre del 2000, per quanto
accertato in fatto dai giudici di merito, aveva ad oggetto l’assistenza nella
presentazione d’Iuna domanda di finanziamento ai sensi del d.rn. 10 giugno
1998 n. 225.
Tale decreto (conoscibile in questa sede in virtù del principio jura novit
curia, trattandosi di atto normativo secondario, attuativo della delega
contenuta nell’art. 14 della I. 7 agosto 1997 n. 266) prevedeva agli artt. 4 e
5 la possibilità per le piccole imprese che avessero formulato progetti di
sviluppo in aree di degrado urbano di domandare l’erogazione di un
finanziamento all’amministrazione comunale. Il regolamento stabiliva le
competenze per l’erogazione, le valutazioni demandate al Comune ed i
termini per la presentazione dei progetti.
Anche sotto questo profilo deve pertanto escludersi che l’attività demandata
al sig. Fausto Favero sia consistita nel “reperimento” d’un contraente, in
quanto l’ente erogatore del finanziamento era già individuato dalla legge e
dal relativo regolamento di esecuzione nell’amministrazione comunale; né
risulta che l’opera del sig. Fausto Favero abbia avuto lo scopo o l’effetto di
appianare divergenze tra la sig.a Silvia Genova e l’amministrazione
comunale.

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mediatoria non richiedeva (all’epoca dei fatti) l’iscrizione all’albo dei

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2.5. Escluso dunque che il contratto del novembre 2000 potesse essere
qualificato come “mediazione” ai sensi dell’art. 1754 c.c., resta da
esaminare se esso ricadesse comunque nelle previsioni del blocco normativo
composto dalla legge antiusura (l. 108/96) e dal relativo regolamento di
esecuzione (d.p.r. 287/00), come ha ritenuto la Corte d’appello.

2.5.1. L’art. 16 della legge 108/96 (oggi abrogato e rifluito nell’art. 128
sexies del Testo Unico Bancario, approvato con d. Igs. 1° settembre 1993 n.
385, a sua volta modificato dall’art. 11, comma 1, d. Igs. 13 agosto 2010 n.
141), al fine di contenere il fenomeno dell’usura, istituì l’albo dei mediatori
creditizi, al quale dovevano essere obbligatoriamente iscritti colo che
intendessero svolgere l’attività di

“mediazione o di consulenza nella

concessione di finanziamenti da parte di banche o di intermediari finanziari”.
La legge tuttavia non definì la nozione di “mediazione creditizia”,
delegandone espressamente la delimitazione ad un futuro regolamento
d’esecuzione (art. 16, comma 2, I. 108/96).
Tale regolamento, emanato quattro anni dopo [d.p.r. 287/00, oggi
anch’esso abrogato per effetto dell’art. 28, comma 1, lettera (b), del d. Igs.
13 agosto 2010, n. 141] definì mediatore creditizio “colui che (…) mette in
relazione, anche attraverso attività di consulenza, banche o intermediari
finanziari determinati con la potenziale clientela al fine della concessione di
finanziamenti sotto qualsiasi forma”.
Questa previsione non ha equiparato affatto, nel settore del credito,
l’attività di mediazione a quella di consulenza, come ha invece ritenuto la
Corte d’appello. Ciò per quattro ragioni.

2.5.2. La prima ragione è l’interpretazione letterale. La chiara sintassi
dell’art. 2 d.p.r. 287/00 rende evidente che l’attività di mediazione creditizia
consiste nel “mettere in relazione” finanziato e finanziatore. Questa “messa
in relazione”, soggiunge la norma, può avvenire “anche” mediante una
attività di consulenza.

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A tale quesito deve darsi risposta negativa.

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Non, dunque, la consulenza tout court costituisce una mediazione creditizia
ai sensi del d.p.r. 287/00, ma solo quella consulenza che sia finalizzata alla
messa in contatto delle parti: e dunque, per quanto detto sopra, la
consulenza il cui scopo sia quello di reperire un partner contrattuale per
l’avanti ignorato, ovvero di appianare divergenze con un

partner

Ma nel caso di specie né l’una né l’altra di tali condizioni si sono verificate:
come già visto, infatti, la consulenza richiesta al sig. Fausto Favero col
contratto del novembre 2000 non aveva lo scopo di individuare un
finanziatore (che era già individuato dalla legge nell’amministrazione
comunale); né aveva lo scopo di appianare divergenze tra le parti o di
comporre in un punto di equilibrio le contrapposte pretese (in quanto anche
in questo caso era la legge stabilire a quali condizioni e su quali presupposti
gli imprenditori interessati potevano accedere al finanziamento pubblico).

2.5.3. La seconda ragione per la quale deve escludersi che l’attività di mera
consulenza in materia creditizia fosse, all’epoca dei fatti, riservata agli
iscritti all’albo dei mediatori creditizi è di ordine sistematico.
L’attività finanziaria in senso lato è tradizionalmente divisa nei tre settori del
credito, dell’intermediazione finanziaria e dell’assicurazione. Ciascuno di
questi tre settori è disciplinato da un

corpus

organico di norme,

rappresentato rispettivamente dal testo unico bancario (d. Igs. 1°.9.1993 n.
385), da testo unico sull’intermediazione finanziaria (d. Igs. 24.2.1998 n.
58) e dal codice delle assicurazioni (d. Igs. 7.9.2005 n. 209).
Anche il testo unico sull’intermediazione finanziaria (d. Igs. 58/98) ed il
codice delle assicurazioni (d. Igs. 209/05) disciplinano la figura del
mediatore nei rispettivi ambiti, e tanto l’una quanto l’altra fonte normativa
distinguono anch’essi la consulenza meramente “illustrativa” od in senso
stretto, vòlta a facilitare la parte nelle sue scelte, da quella “accessoria” o
strumentale, e cioè resa nell’ambito di una attività di intermediazione.
Così, l’art. 18 bis del d. Igs. 58/98 consente l’attività di consulenza in
materia di investimenti anche a persone diverse dai soggetti abilitati
all’intermediazione finanziaria.

contrattuale noto ma in disaccordo.

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Ancora più esplicitamente, ai fini che qui rilevano, l’art. 106 cod. ass.
stabilisce che la consulenza in materia assicurativa rientra nel concetto di
“intermediazione assicurativa” soltanto quando sia

finalizzata

alla

“presentazione o proposta” di contratti assicurativi e riassicurativi.
Or bene, evidenti ragioni di coerenza sistematica dell’ordinamento inducono

voluto distinguere la consulenza pura da quella finalizzata ad una
mediazione, e soltanto in materia bancaria e creditizia le abbia volute
assimilare.
Tale conclusione è corroborata dal rilievo che anche nel regolamento
emanato
C dall’autorità di vigilanza competente

ratione temporis

(Provvedimento

Ufficio Italiano Cambi 29 aprile 2005, in Gazz. Uff., 20 maggio 2005, n.
116), nel dettare le “Istruzioni per i mediatori creditizi”, al § 4.2.1. stabilisce
che costoro debbano informare la clientela che

“l’attività di consulenza

costituisce parte integrante del servizio di mediazione per la quale non può
essere richiesto un autonomo compenso”. Da tanto si ricava la conferma
che, sinanche per l’autorità di vigilanza, l’attività di consulenza in quanto
tale non costituisce di per sé “mediazione creditizia”, ma lo diventa solo se
si inserisce come attività accessoria del servizio di mediazione.

2.5.4. La terza ragione per la quale deve escludersi che l’attività di mera
consulenza in materia creditizia fosse, all’epoca dei fatti, riservata agli
iscritti all’albo dei mediatori creditizi discende dall’interpretazione finalistica.
La legge 108 del 1996, come si ricava dai lavori parlamentari, venne
promulgata al fine di contenere il fenomeno dell’usura. A tal fine il
legislatore concepì un quadro organico di norme concernenti sia i contratti
(fissazione del tasso soglia, previsione di nullità); sia l’attività d’impresa
finalizzata alla concessione del credito. A questo secondo fine venne istituito
l’albo dei mediatori creditizi, il cui scopo era garantire la professionalità e la
correttezza di tale figura di mediatore.
Se dunque l’istituzione dell’albo dei mediatori creditizi fu voluto nel quadro
.

più generale di contrasto dell’usura, l’art. 16 I. 108/96 deve essere

y

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ad escludere che in materia finanziaria ed assicurativa il legislatore abbia

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interpretato in coerenza con tale scopo: e dunque nel senso che la mera
consulenza finalizzata alla concessione di un pubblico finanziamento non
rientri tra le attività di mediazione creditizia, in quanto per definizione la
concessione di un finanziamento prevista dalla legge (regionale o nazionale
non rileva) non può esporre il beneficiario al rischio di pagare interessi

2.6. Deve pertanto accogliersi anche il secondo motivo di ricorso, in base ad
un principio di diritto analogo a quello già esposto al § 1.7..

3. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso restano assorbiti.

4. La sentenza va dunque cassata con rinvio ad altra sezione della Corte
d’appello di Torino la quale, sulla base dei princìpi che precedono, procederà
ad una diversa qualificazione del contratto stipulato tra le parti.

P.q.m.
la Corte di cassazione, visto l’art. 383, comma primo, c.p.c.:
– ) cassa con rinvio la sentenza impugnata;
– ) visto l’art. 385, comma terzo, c.p.c., rimette al giudice del rinvio la
decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile
della Corte di cassazione, addì 20 settembre 2013.

usurari.

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