Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24117 del 30/10/2020

Cassazione civile sez. II, 30/10/2020, (ud. 07/07/2020, dep. 30/10/2020), n.24117

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5714-2016 proposto da:

L.A., rappresentato e difeso dall’avvocato GRAZIA PULVIRENTI,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

V.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI 187,

presso lo studio dell’avvocato MARCELLO MAGNANO DI SAN LIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato SANTO DI DIO giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

V.V., V.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 360/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 26/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/07/2020 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Catania, con sentenza pubblicata in data 26 febbraio 2015, ha accolto l’appello con il quale V.V., V.L. e V.S.S. avevano impugnato la sentenza non definitiva (pubblicata in data 11 maggio 2005) e la sentenza definitiva (pubblicata il 1 dicembre 2010) pronunciate dal Tribunale di Catania – sezione distaccata di Giarre, nel giudizio promosso da L.A. per la revocazione straordinaria della sentenza 14-24 settembre 1999 del medesimo Tribunale.

1.1. La sentenza oggetto di revocazione straordinaria aveva accolto la domanda proposta dai germani V. succeduti alla madre S.M. nel contratto di locazione avente ad oggetto l’immobile sito in Via (OMISSIS) – e dichiarato la risoluzione del contratto ed il rilascio dell’immobile, rigettando la domanda riconvenzionale di usucapione.

1.2. Nel 2001 L.A. aveva agito per la revocazione straordinaria della richiamata sentenza in quanto frutto del dolo processuale della controparte, assumendo di avere rinvenuto “le ricevute di pagamento della tassa di proprietà relative al detto immobile da parte del suo dante causa L.A., dal 1964 al 1973”, e che tale documentazione dimostrasse l’inesistenza del rapporto di locazione e la falsità delle dichiarazioni testimoniali rese nel giudizio di convalida di sfratto.

1.3. Il Tribunale aveva accolto la domanda di revocazione straordinaria, e quindi dichiarato l’acquisto della proprietà dell’immobile in capo al L. per intervenuta usucapione.

2. La Corte d’appello ha riformato la decisione sul rilievo che i documenti rinvenuti dal L. non possedessero la necessaria efficacia probatoria diretta, essendo al più idonei a fondare, unitamente ad altri elementi, un giudizio presuntivo in ordine alla prova dell’usucapione in capo al dante causa del L. e, quindi, al L. stesso. Ai fini del perfezionamento della fattispecie acquisitiva della proprietà sarebbe occorsa la prova rigorosa del possesso prolungato nel tempo, continuo, pacifico e non clandestino. La circostanza di fatto rappresentata dai documenti non risultava, pertanto, neppure in astratto idonea a formare direttamente un diverso convincimento del giudice della causa di sfratto.

3. Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso L.A., sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso V.S.S.. Non hanno svolto difese in questa sede V.V. e V.L.. Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380-bis.l. c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, che denuncia violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 3, nonchè insufficienza ed illogicità della motivazione su un punto decisivo della controversia, il ricorrente contesta il giudizio di non decisività dei documenti rinvenuti.

Diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello, si trattava di documenti che direttamente incrinavano l’attendibilità del teste L.M., le cui dichiarazioni avevano costituito la base della decisione favorevole ai V. nel giudizio di convalida dello sfratto.

2. La doglianza è inammissibile nella parte in cui denuncia vizio di motivazione al di fuori del paradigma enucleato dalla giurisprudenza di questa Corte con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5 nel testo risultante dalla modifica apportata con il D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis al presente ricorso (ex plurimis, Cass. Sez. U 07/04/2014, n. 8053), ed è infondata nella parte in cui denuncia violazione di legge.

2.1. E’ opinione pacifica in giurisprudenza che “la decisività del documento, ai fini della proponibilità della domanda di revocazione a norma dell’art. 395 c.p.c., n. 3, postula che esso sia idoneo, mediante la prova diretta dei fatti di causa, a provocare una statuizione diversa, evidenziando che il giudice della sentenza revocanda avrebbe adottato una pronuncia di segno opposto ove ne avesse avuto conoscenza. Ne consegue che una siffatta decisività va negata non soltanto quando l’atto ritrovato possa offrire semplici elementi indiziari, utilizzabili per dimostrare quei fatti esclusivamente nel concorso con altri dati, ma anche quando dia la prova diretta di un fatto che non sia stato ritenuto determinante per la definizione della contesa, e che potrebbe palesarsi risolutivo solo in esito ad una revisione dell’apprezzamento della sua irrilevanza” (ex plurimis, Cass., 28/12/2011, n. 29385; Cass. 22/07/2004, n. 13650).

Conformemente al principio richiamato, la Corte d’appello ha escluso la decisività dei documenti rinvenuti dal L. in quanto inidonei di per sè a provocare una decisione diversa.

3. Con il secondo motivo è denunciata violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 3, e si contesta nuovamente il giudizio di non decisività dei documenti rinvenuti dopo il passaggio in giudicato della sentenza oggetto di revocazione.

Il ricorrente assume che se i suddetti documenti fossero stati prodotti nel giudizio di convalida di sfratto, il teste L.M. sarebbe stato rinviato a giudizio per falsa testimonianza, e che vi era prova della fattispecie acquisitiva della proprietà, posto che Lo.Au. aveva abitato continuativamente l’immobile per oltre un ventennio, aveva effettuato anche opere di straordinaria manutenzione, esercitando per tutto I tempo richiesto dalla legge ai fini dell’usucapione un potere di fatto sull’immobile corrispondente a quello del proprietario o del titolare di ius in re aliena.

3.1. La doglianza è inammissibile in quanto non attinge la ratio decidendi della sentenza impugnata.

I documenti rinvenuti dal L. non potevano da soli dimostrare l’avvenuta usucapione dell’immobile, stante la valenza solo indiziaria degli stessi e la necessità di una valutazione più ampia, estesa agli altri elementi richiesti dall’art. 1158 c.c.

4. Con il terzo motivo, che denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1158 e 2697 c.c., il ricorrente lamenta che la Corte d’appello non avrebbe considerato adeguatamente i fatti pregressi alla sentenza oggetto di revocatoria nè le prove assunte nel giudizio di convalida dello sfratto, sia prove testimoniali, che avrebbero confermato il possesso dell’immobile in capo al L. padre, sia la mancata risposta dei V. all’interrogatorio formale.

Ulteriormente il ricorrente evidenzia che il rinvenimento dei documenti era stato occasionale e successivo al passaggio in giudicato della sentenza oggetto di revocazione.

4.1. La doglianza è inammissibile sotto tutti i profili prospettati.

La Corte d’appello ha chiarito che nel giudizio di revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 3, la decisività del documento rinvenuto deve essere accertata con valutazione ex ante, mentre nella specie, come emerge anche dall’illustrazione del motivo, la prova del possesso ad usucapionem sarebbe stata raggiunta dopo la pronuncia rescindente.

Il rilievo che precede, che costituisce – si ripete – la ratio decidendi della sentenza impugnata, rende irrilevante ogni questione concernente il rinvenimento dei documenti.

5. Il ricorso è rigettato e le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2020

 

 

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