Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24113 del 28/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 28/11/2016, (ud. 05/07/2016, dep. 28/11/2016), n.24113

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15918-2015 proposto da:

FARNESE PNEUMATICI S.P.A., c.f. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

ANGELICO 205, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA TULANTI,

rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI SINI, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

M.A., MNGRND57703L814A, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA ANASTASIO II 75, presso lo studio dell’avvocato DANIELA SPINACI

rappresentato e difeso dall’avvocato ANNA PARADISO, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9139/2314 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/12/2014 R.G.N. 9757/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE BRONZINI;

udite l’Avvocato SINI LUIGI;

udito l’Avvocato NISI GIULIANO per delega Avvocato PARADISO ANNA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CEIENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Viterbo con sentenza del 9.6.2010 rigettava la domanda di M.A. nei confronti di Farnese Pneumatici spa diretta all’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti dal 1.4.1993 al 30.6.2000 con orario dalle 6 alle 20 dal lunedì al venerdì e dalle 8 alle 13 il sabato con mansioni di autotrasportatore e diritto all’inquadramento al 5 livello del CCNL commercio, ed alla condanna di parte resistente al pagamento per lavoro straordinario della somma di Euro 48.927,53 a titolo di compensi per lavoro straordinario. Il Tribunale rilevava che non era stata offerta la prova dell’effettuazione del lavoro straordinario dedotto stante il contrasto tra le deposizioni rese dai testi. La Corte di appello di Roma con sentenza dell’11.11.2014 accoglieva l’appello del lavoratore e per l’effetto condannava la Farnese Pneumatici al pagamento della somma di Euro 40.763,05 per lavoro straordinario alla luce della consulenza contabile disposta. La Corte territoriale osservava che le testimonianze dei testi di parte resistente che avevano dato conto di una sostanziale promiscuità delle mansioni del lavoratore adibito talvolta a compiti di carico e scarico e a volte (ma non prevalentemente) a compiti di autista apparivano poco attendibili perchè contrastanti con la documentazione prodotta dalla stessa parte appellata costituita da numerosissime bolle dalle quali risultava che colui che aveva effettuato la consegna con l’automezzo era il M.. Anche le buste paga prodotte documentavano che l’appellante aveva svolto attività di autotrasporto a distanza: pertanto apparivano più attendibili le dichiarazioni rese dai tre testi che avevano confermato le mansioni di autista in quanto coerenti con la documentazione. I testi da ultimo indicatè avevano confermato lo svolgimento di attività di autista con l’orario indicato (salvo qualche trascurabile contraddizione spiegabile con il fatto che erano stati sentiti dopo 9 anni dai fatti): pertanto tenuto conto del 5^ livello del CCNL spettavano le somme indicate nel dispositivo come accertato dal CTU.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la società Farnese Pneumatici con tre motivi; resiste controparte con controricorso. Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si allega la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 2697 e 2730 c.c. Era stato affidato al CTU un quesito basato su presupposti non provati. Il teste Laizza aveva riferito circostanze relative ad anni precedenti quelli di accertamento.

Il motivo appare inammissibile in quanto in sostanza si muovono censure di fatto alla motivazione della sentenza impugnata non coerenti con la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 Peraltro la motivazione della sentenza è fondata non solo sulle dichiarazioni del teste L., ma di altri due testi e sulla documentazione prodotta dalla stessa parte intimata e dalle buste paga che conferma la complessiva attendibilità delle dichiarazioni dei tre testi citati in sentenza. Inconferente è pertanto la doglianza che la Corte di appello abbia affidato un accertamento basato su presupposti non provati in quanto la consulenza riguardava solo un profilo contabile e la Corte di appello ha in sentenza spiegato perchè i presupposti fattuali dell’accertamento dovevano ritenersi provati. Diversamente opinando i Giudici di merito dovrebbero, prima di disporre una consulenza anche contabile, emettere una sentenza non definitiva sui punti di fatto a base della consulenza, il che appare in contrasto con il principio costituzionale, convenzionale e sovranazionale del ” giusto processo” (rispettivamente art. 111 Cost. art. 6 Cedu, art. 47 Carta dei diritti dell’Ue).

Con il secondo motivo si allega la violazione dell’art. 132 c.p.c. per mancanza di motivazione e in ordine al riconoscimento del lavoro straordinario. I testi non avevano confermato lo svolgimento del lavoro straordinario dedotto in ricorso.

Il motivo è inammissibile in quanto in sostanza si muovono censure di fatto alla motivazione della sentenza impugnata non coerenti con la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Va ricordato sul punto l’orientamento di questa Corte che si condivide e cui si intende dare continuità secondo il quale “l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass SSUU n. 8053/2014). Il ” fatto” di cui si discute è già stato ampiamente esaminato dai Giudici di appello che hanno ritenuto di dover privilegiare le dichiarazioni rese dai tre testi indotti da parte ricorrente in quanto coerenti con la prova documentale indicata e con le buste paga prodotte.

Con il terzo motivo si allega l’omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione con riferimento alla documentazione allegata dalla resistente (bolle di consegna).

Anche l’ultimo motivo appare infondato in quanto emerge dalla sentenza impugnata che la documentazione prodotta è stata esaminata dalla Corte di appello e quindi non vi è stata alcuna omissione di un ” fatto” decisivo: le bolle di consegna specificamente citate al motivo che attesterebbero la presenza della parte oggi intimata in azienda non sono peraltro più di dieci mentre la Corte di appello riferisce di numerosissime bolle di consegna nelle quali il vettore e cioè colui che effettuava la consegna era indicato proprio nel M.. La Corte di appello ha, quindi, privilegiato tali documenti anche perchè coerenti con quanto indicato nelle buste paga, circostanza questa ignorata nel motivo, il che priverebbe la stessa doglianza di decisività perchè la ragione dell’attendibilità dei testi indotti dalla parte ricorrente(rispetto a quelli indotti da controparte) in primo grado è stata indicata anche nella coerenza con quanto attestato dalle buste paga.

Va quindi rigettato il proposto ricorso; le spese di lite del giudizio di legittimità, liquidate come al dispositivo, seguono la soccombenza.

La Corte ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.100,00 di cui Euro 5.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% nonchè accessori come per legge.

La Corte ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2016

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