Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24113 del 07/09/2021

Cassazione civile sez. III, 07/09/2021, (ud. 17/03/2021, dep. 07/09/2021), n.24113

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 33759/19 proposto da:

-) K.M., elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC

del proprio difensore (lisodoredana.avvocatibaridegalmail.it),

Loredana Liso, che lo difende in virtù di procura speciale apposta

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari 12.7.2019 n. 1595;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17.3.2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. K.M., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2, A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese “a causa dei problemi avuti con lo zio che si opponeva al suo rapporto con una ragazza del clan (OMISSIS), ritenuti di categoria inferiore” (così il ricorso, pagina 4).

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento K.M. propose, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Bari, che la rigettò con ordinanza 13.12.2017.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Bari con sentenza 12.7.2019.

Quest’ultima ritenne che:

-) in grado di appello il richiedente aveva ristretto le proprie pretese solo la concessione della protezione sussidiaria, in subordine, di quella umanitaria;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) o b) non potesse essere concessa, in quanto i fatti narrati dal richiedente “non erano chiari e verosimili”;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) non potesse essere concessa, perché nel Paese d’origine del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 non potesse essere concessa in quanto il richiedente non aveva allegato, prima ancora che dimostrato, specifiche circostanze idonee a qualificarlo come “persona vulnerabile”.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da K.M. con ricorso fondato su cinque motivi.

Il Ministero dell’interno non ha notificato controricorso, ma solo chiesto di partecipare all’eventuale discussione in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 7 ed 8.

L’illustrazione del motivo ha la seguente struttura: esordisce affermando che l’onere della prova nei giudizi di protezione internazionale è attenuato; prosegue riassumendo i fatti narrati dinanzi alla Commissione Territoriale; conclude sostenendo che “non vi è ragione per ritenere che il signor K.M. non sia vittima di atti persecutori e che realmente ha rischiato la propria vita”.

Da questo punto (p. 6, fine del primo capoverso) inizia una lunga esposizione dei principi generali ed astratti che presiedono alla concessione della protezione internazionale, la quale si conclude a p. 11 del ricorso.

Dopo tale esposizione totalmente astratta, teoricamente riferibile ai più disparati tipi di decisione, il motivo si conclude con le seguenti parole: “non può che ribadirsi, quindi, che nelle dichiarazioni rese da K.M. emerge in maniera evidente ed incontestabile la situazione persecutoria cui (sic) era vittima. Nella valutazione complessiva della storia del ricorrente non viene considerata tale situazione. Sia il Tribunale che la Corte conferma (sic) quanto affermato dalla commissione senza un approfondimento”.

1.1. Il motivo, anche a prescindere dal rilievo che esso risulta ricopiato quasi integralmente da un contributo dottrinario apparso su una rivista giuridica on-line, è inammissibile per più ragioni.

In primo luogo il motivo è inammissibile perché non contiene alcuna ragionata censura alla sentenza impugnata, ma solo l’affermazione di principi astratti. Un motivo di impugnazione, dunque, che prescinde totalmente dal contenuto effettivo del provvedimento impugnato.

1.2. In secondo luogo il motivo è inammissibile perché la Corte d’appello a pagina 2, ultimo capoverso, ed a p. 3, primi due capoversi, della propria decisione, riferisce che a fondamento dell’appello l’odierno ricorrente dedusse unicamente “una situazione di instabilità sociopolitica” del proprio paese.

Pertanto tutte le questioni inerenti il rischio di persecuzioni, ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), , secondo il giudice d’appello erano state abbandonate.

Se questa circostanza fosse stata erroneamente percepita dalla Corte d’appello, l’odierno ricorrente avrebbe dovuto impugnare con un motivo ad hoc questa parte della sentenza d’appello, e comunque avrebbe avuto l’onere, prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 6, di indicare in quali termini ed in quale atto abbia riproposto in secondo grado il tema della persecuzione.

1.3. Infine, quand’anche si volesse supporre che, col motivo in esame, al netto di tutte le prolisse citazioni di principi giuridici astratti, il ricorrente avesse inteso (implicitamente) sostenere che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto non dimostrata la sussistenza di una persecuzione in suo danno, il motivo non cesserebbe d’essere inammissibile.

Infatti, a prescindere dal rilievo che lo stabilire se un racconto sia vero, verosimile o falso costituisce un accertamento di fatto non censurabile in questa sede, quel che più rileva è che il ricorrente, a fondamento della domanda di asilo e di quella di protezione sussidiaria per le ipotesi di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), ha allegato unicamente di voler sposare una donna contro il volere del proprio zio: una vicenda privata, dunque, la quale non rientra tra le ipotesi di “persecuzione” che, ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 4, 7 ed 8, giustificano la concessione della protezione internazionale.

2. Col secondo motivo il ricorrente prospetta formalmente la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2 e 14.

Nell’illustrazione del motivo il ricorrente sostiene che avrebbe errato la Corte d’appello nel ritenere inesistente, in (OMISSIS), una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato.

Dopo avere esordito affermando che in (OMISSIS) “la situazione di emergenza costituisce una grave violazione della dignità e della personalità, tale da ritenere sussistente quella fattispecie di trattamento degradante che integra il danno grave richiesto ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria”, il ricorrente aggiunge che “a nulla vale che la minaccia possa provenire dai privati nel momento in cui, come nel caso de quo in cui le minacce provenivano da autorità pubbliche e da organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente non possono o non vogliono fornire protezione adeguata”.

2.1. Anche questo motivo è inammissibile per più ragioni.

In primo luogo è inammissibile perché il ricorrente indica a quale forma di protezione sussidiaria il motivo si riferisce. Se, infatti, avesse inteso riferire la censura al rigetto della domanda di protezione sussidiaria per le ipotesi di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), assumerebbe rilievo dirimente il fatto che la sentenza ha escluso che vi fosse stata impugnazione della decisione di primo grado nella parte in cui aveva rigettato la domanda di protezione fondata sulle suddette ipotesi.

2.2. In secondo luogo il motivo è inammissibile perché lo stabilire se in un determinato paese ci sia o non ci sia la guerra o una situazione di violenza indiscriminata derivante da un armato è un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità quando il giudice di merito abbia compiuto avvalendosi, come nel caso di specie, di fonti attendibili ed aggiornate.

2.3. In terzo luogo, il motivo è inammissibile per la sua totale inintelligibilità. Non è dato, infatti, comprendere qual senso possa mai avere l’affermazione secondo cui “nel caso de quo le minacce provenivano da autorità pubbliche”: affermazione, quest’ultima, contrastante con quanto riferito nella parte del ricorso dedicata allo svolgimento del processo, nella quale l’odierno ricorrente ha riferito di avere lasciato il paese a causa dei contrasti col proprio zio.

3. Col terzo motivo il ricorrente prospetta il vizio di violazione di legge con riferimento al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 8.

Il motivo non contiene alcuna censura, ma solo due affermazioni di diritto, ed è come tale è manifestamente inammissibile.

4. Col quarto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3.

Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non credibile il suo racconto.

4.1. Il motivo è manifestamente inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.

La Corte d’appello, infatti, ha rigettato la domanda per una ragione di diritto, e cioè che i fatti riferiti dal richiedente non dimostravano l’esistenza di una persecuzione, e non perché il richiedente fosse inattendibile.

5. Col quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3.

L’illustrazione del motivo si compendia nella unica affermazione secondo cui “appare evidente che se il richiedente tornasse nel suo paese si troverebbero in una condizione di specifica ed estrema vulnerabilità”.

5.1. Anche questo motivo è inammissibile per la mancanza di una censura degna di tale nome.

In ogni caso è pacifico il principio secondo cui non la semplice sproporzione o differenza del tenore di vita tra quello del Paese ospitante e quello del Paese di origine può costituire giusta causa per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ma solo la eventuale sussistenza, nel paese di origine, di una situazione di carestia tale da mettere in pericolo la stessa sopravvivenza del richiedente asilo (ex multis, Sez. 3 -, Ordinanza n. 20334 del 25/09/2020, Rv. 658988 – 01).

6. Non occorre provvedere sulle spese del presente giudizio, non essendovi stata difesa delle parti intimate.

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2021

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