Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24112 del 03/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 03/10/2018, (ud. 13/04/2018, dep. 03/10/2018), n.24112

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20019-2013 proposto da:

C.E., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CRESCENZIO 107, presso lo studio dell’avvocato OSVALDO VERRECCHIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato DAVIDE TROIANO, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

DECO S.C.A.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA T. MONTICELLI 12, presso lo

studio dell’avvocato CORRADO MATERA, che la rappresenta e difende

giusta delega in atti;

SCALA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA T. MONTICELLI 12, presso lo

studio dell’avvocato CORRADO MATERA, che la rappresenta e difende

giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 283/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/03/2013, R.G.N. 5991/2008.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 5 marzo 2013, la Corte d’appello di Roma dichiarava l’estinzione del giudizio, sul presupposto dell’intervenuta conciliazione giudiziale della controversia, tra tutti i lavoratori appellanti (salvo quello in appresso indicato) e Scala s.p.a. in a.s. e DE.CO. s.c.ar.l. e rigettava l’appello proposto da C.E. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto le domande di accertamento del diritto ad essere trasferito alle dipendenze della Cooperativa e dell’esistenza di un rapporto di lavoro con essa dal 1 gennaio 2003 e della sua condanna ad iscriverlo nei libri paga e matricola e a reintegrarlo nelle mansioni svolte alle dipendenze di Scala s.p.a. in a.s., cedente il ramo d’azienda, cui era stato addetto, nonchè al pagamento delle retribuzioni maturate dalla suddetta data all’effettiva riammissione;

che avverso tale sentenza il lavoratore ricorreva per cassazione con tre motivi, cui resistevano le due società con distinti controricorsi;

che le due società hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorrente deduce, con trattazione “globale o per grandi linee connesse”, violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per erronea ed omessa valutazione delle risultanze istruttorie e vizi motivi, anche di illogicità, nella considerazione, quale unico criterio oggettivo di selezione del personale da trasferire con il ramo d’azienda, delle mansioni a prescindere dal livello di inquadramento, senza neppure una spiegazione della differenza tra le mansioni di “conduttore linea liquidi” e di “conduttore pallettizzatore”, nè illustrazione dell’iter logico-giuridico in base al quale sia stata raggiunta la conclusione di infondatezza dell’appello; nell’irrilevanza infine della condizione medica accertata, a carico del lavoratore, in quanto criterio non inserito nell’accordo sindacale ai fini del reimpiego dei lavoratori;

che il collegio ritiene che essi siano inammissibili;

che, al di là dell’enunciazione formale della rubrica in tre motivi distinti, ma trattati congiuntamente, la formulata articolazione è tale da ridursi ad una mera sollecitazione di una rivisitazione del merito, attraverso una rivalutazione dell’apprezzamento probatorio e dell’accertamento in fatto operati dalla Corte territoriale, pure con esauriente ancorchè succinta motivazione (per le ragioni illustrate ai punti da 3.1. a 3.6. a pgg. da 5 a 7 della sentenza);

che ciò esorbita dal controllo di logicità del giudizio del giudice di merito demandato al giudizio di legittimità, non equivalente alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto tale giudice ad una determinata soluzione della questione esaminata: posto che ciò si tradurrebbe, pur a fronte di un possibile diverso inquadramento degli elementi probatori valutati, in una nuova formulazione del giudizio di fatto (Cass. 5 agosto 20165, n. 16526; Cass. 5 marzo 2007, n. 5066);

che certamente non sussiste alcun vizio di nullità, neppure correttamente denunciato quale error in procedendo, per totale omissione di motivazione (Cass. 14 ottobre 2015, n. 20648; Cass. s.u. 3 novembre 2016, n. 22232), nè sono più denunciabili i vizi motivi prospettati, alla luce del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), applicabile ratione temporis;

che dalle superiori argomentazioni discende l’inammissibilità del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna C.E. alla rifusione, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio, che liquida per ciascuna in Euro 200,00 per esborsi e Euro 3.000,00, per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 13 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2018

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