Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24111 del 28/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 28/11/2016, (ud. 21/06/2016, dep. 28/11/2016), n.24111

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

ricorso 5183-2015 proposto da:

B.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso lo stadio dell’avvocato

ANTONIO ARMENTANO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO DI BONIFICA VELIA, (GIA’ CONSORZIO VELIA PER LA BONIFICA

DEL BACINO DELL’ALENTO) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ANTONIO GRAMSCI 9, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO

MARTINO, che Io rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

M.W., + ALTRI OMESSI

– intimati –

sul ricorso 5186-2015 proposto da:

MO.EM., C.f. (OMISSIS), I.L. (OMISSIS),

V.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA AUGUSTO AUBRY

1, presso LO STUDIO DELL’AVVOCATO FRANCESCO MALDONATO, che li

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

CONSORZIO DI BONIFICA VELIA (GIA’ CONSORZIO VELIA PER LA BONIFICA DEL

BACINO DELL’ALENTO) C.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ANTONIO GRAMSCI 9, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO

MARTINO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 136/2014 della CORTE D’APPETLO di SALERNO,

depositata il 12/02/2014 R.G.N. 363/11;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/06/2016 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito l’Avvocato ANTONIO ARMENTANO;

udito l’Avvocato FRANCESCO MALDONATO;

udito l’Avvocato CLAUDIO MARTINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte di appello di Salerno, con sentenza n. 136 del 2014, accoglieva l’appello proposto dal Consorzio Velia per la Bonifica del Bacino dell’Alento e rigettava le domande proposte – tra gli altri – dagli odierni ricorrenti, aventi ad oggetto il licenziamento collettivo ex L. n. 223 del 1991.

2. La Corte territoriale, innanzitutto, riteneva che l’argomento del carattere discriminatorio fosse stato introdotto tardivamente nel giudizio di primo grado e soltanto da due dei ricorrenti, per cui il Tribunale erroneamente lo aveva preso in esame ai fini del decidere e per tutti i lavoratori.

2.1. In ogni caso, sussisteva un motivo lecito, quello di ridurre i costi di gestione a causa di uno stato di dissesto del Consorzio. La c.t.u. espletata in corso di giudizio aveva evidenziato l’andamento della situazione economico-finanziaria dell’Ente nel periodo precedente il commissariamento, durante tale fase e nel periodo successivo. L’attivazione della procedura sindacale mediante riduzione del personale era stata l’unica strada percorribile per ottenere il risanamento, anche perchè la spesa relativa al personale appariva una delle voci di uscita più consistenti. La procedura era stata espletata correttamente e le ragioni del ricorso alla mobilità erano state diffusamente esplicitate dal Consorzio nel corso della fase di concertazione con i sindacati, durante la quale erano state altresì manifestate alternative rispetto all’ipotesi della risoluzione dei rapporti di lavoro (alternative tutte rifiutate tanto dai Sindacati, quanto dai singoli lavoratori cui tali alternative erano state proposte).

3. In merito ai criteri di scelta dei lavoratori destinatari della procedura, le allegazioni del Consorzio erano state le seguenti:

a) il licenziamento collettivo aveva interessato tutti i dipendenti di 7^ fascia, tra i quali i ricorrenti Mo.Em. e B.G.; le sole due unità escluse dalla procedura avevano profili professionali ritenuti essenziali e non comparabili;

b) alcuni servizi occupati dai dipendenti di 5 fascia erano stati esternalizzati; tra questi, l’attività di gestione delle paghe, alla quale era adibita la ricorrente V.P.;

c) la 3 fascia professionale era stata soppressa, con il licenziamento di tutti i dipendenti aventi tale inquadramento, tra cui I.L..

3.1. Quanto al licenziamento dei dipendenti di 7^ fascia, osservava la Corte territoriale che era stata conservata solo la posizione del Capo Ufficio Ragioneria, che per la sua caratterizzazione non era comparabile con le qualificazioni possedute dagli altri impiegati aventi lo stesso inquadramento. Nessuno di tali impiegati aveva professionalità tali per svolgere mansioni di ragioneria, contabilità finanziaria, economato ed amministrazione del personale; tale circostanza, allegata dal Consorzio, non era stata specificamente smentita dai ricorrenti. Era stato altresì conservato (Addetto all’Ufficio Tecnico – Rapporti con Enti Finanziatori dei Lavori, in quanto posizione occupata da un quadro, ossia da un soggetto comunque non comparabile con gli impiegati di 7^ fascia.

3.2. Quanto alla esternalizzazione dei servizi occupati dai dipendenti di 5^ fascia, tra i quali quello relativo alla predisposizione dei prospetti paga, osservava la Corte territoriale che non operava (obbligo di repechage, trattandosi di un’ipotesi di licenziamento collettivo e non di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo.

3.3. Quanto ai dipendenti di 3^ fascia, adibiti a mansioni ausiliarie, la Corte osservava che i relativi posti di lavoro erano stati soppressi e le mansioni di fattorino, autista e centralinista erano state ripartire tra gli altri impiegati.

4. Infine, riteneva di compensare le spese di lite di primo e secondo grado, non applicandosi la disciplina di cui all’art. 92, come novellata dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 11, (che, per la compensazione delle spese, richiede la soccombenza reciproca o la ricorrente di “altre gravi ed eccezionali ragioni”) e ricorrendo giusti motivi per la complessità delle questioni trattate.

5. Per la cassazione di tale sentenza ricorrono il B. con il ricorso rubricato al n. 5183/2015; Mo., V. e I. con ricorso rubricato al n. 5186/2015. Resiste il Consorzio in entrambi i giudizi con controricorso. Tutte le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c. Il ricorso proposto dal B. è articolato in due motivi, quello proposto dagli altri lavoratori è articolato in sette motivi.

6. In udienza si è provveduto alla riunione dei ricorsi ex art. 335 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ricorso n. 5183/2015.

1. Con il primo motivo si denuncia violazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24 (art. 360 c.p.c., n. 3), nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 4) e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5). La scelta datoriale di procedere al licenziamento collettivo è stata giustificata con l’asserita necessità di risanamento, da realizzare mediante la riduzione dei costi di gestione. Tuttavia, la Corte di appello aveva omesso di rilevare che le scelte organizzative adottate in correlazione alla riduzione del personale (esternalizzazione di servizi, ricorso a consulenze esterne, concorso indetto per la copertura di un posto di responsabile di settore del’area tecnica, ricorso a nuove assunzioni) non avevano determinato una riduzione, ma un incremento dei costi. Era dunque insussistente il nesso causale tra la scelta dichiarata dal datore e le ragioni poste a suo fondamento.

2. Con il secondo motivo si censura la sentenza per violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5 nonchè violazione dell’art. 414 c.p.c. e art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 4) e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5), in ordine all’applicazione dei criteri di scelta dei dipendenti da licenziare, con specifico riferimento alla motivazione adottata per i lavoratori appartenenti al 7^ fascia e al mancato inserimento nella comparazione delle due posizioni escluse (addetto all’Ufficio Ragioneria e quadro appartenente all’Ufficio tecnico). Si trattava di professionalità equivalenti a quella posseduta dal ricorrente e il datore di lavoro non aveva provato il contrario.

3. Il primo motivo è inammissibile.

3.1. In merito alla denunciata violazione di legge, va ribadito il principio, più volte affermato da questa Corte, che il giudice di merito, investito della valutazione di legittimità di un licenziamento collettivo, non può sindacare le scelte imprenditoriali nel dimensionare il livello occupazionale in riferimento alla programmata ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale, mentre deve comunque accertare la sussistenza dell’imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento ed i singoli provvedimenti di recesso.

3.2. Il difetto di nesso causale è stato argomentato dall’odierno ricorrente in termini di mancato esame di una serie di elementi istruttori, che si assumono allegati in giudizio e che, ove debitamente apprezzati, avrebbero dovuto condurre il Giudice di appello a ritenere interrotto il suddetto nesso causale. La censura è prospettata promiscuamente in termini di nullità della sentenza per omesso esame di eccezioni difensive (art. 360 c.p.c., n. 4) e di omesso esame di elementi di fatto (art. 360 c.p.c., n. 5). La cumulativa censura di risolve in una sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, tra loro incompatibili, quali quella della omessa pronuncia, che suppone non esaminata una domanda (o un’eccezione) e quella del vizio di motivazione, che suppone che tale esame sia avvenuto, censurandone invece il relativo accertamento per avere il giudice di merito insufficientemente o erroneamente motivato l’apprezzamento dei fatti rilevanti.

3.3. Inoltre, la sentenza gravata è stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012. Trova dunque applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 2, n. 5, come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, il quale prevede che la sentenza può essere impugnata per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Nel sistema, l’intervento di modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5 come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte (S.U. n. 8053/2014), comporta un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto.

3.4. La citata sentenza n. 8053/14 delle S.0 di questa Corte ha chiarito i limiti della denuncia di omesso esame di una questio facti. Nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storicò, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

3.5. La denuncia di omesso esame contenuta nel motivo non corrisponde al modello risultante dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, risolvendosi in una critica al risultato interpretativo cui è pervenuto il giudice di appello.

4. Il secondo motivo è infondato.

4.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale, ed è onere del datore provare il fatto che determina l’oggettiva limitazione di queste esigenze, e giustificare il più ristretto spazio nel quale la scelta è stata effettuata (Cass. 23 giugno 2006, n. 14612). Da ciò deriva il principio enunciato, il cui limite è rappresentato dalla presenza di specifiche professionalità o comunque di situazioni oggettive che rendano impraticabile qualunque comparazione (Cass. sent. nn. 7169/03 e 2188/01; v. pure Cass. sent. 22825/09, Cass. n. 17177/2013). Pertanto, non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perchè impiegati nel reparto lavorativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative (Cass. n. 14612/06, n. 25353/09, n. 9711/11; v. pure Cass. n. 26376/08, n. 11034/06, n. 13783/06).

4.2. Tanto premesso, vale innanzitutto osservare che la Corte di appello ha svolto una valutazione di merito circa l’insussistenza di una situazione di fungibilità tra il personale della 7^ fascia, alla quale apparteneva il ricorrente, e le due professionalità conservate (delle quali peraltro solo una con il medesimo inquadramento professionale). In particolare, ha affermato che il posto di Capo Ufficio Ragioneria, per la sua caratterizzazione (ad esso erano demandate mansioni di ragioneria, contabilità finanziaria, economato ed amministrazione del personale, come indicato dal Consorzio “senza essere smentito sul punto”) era connotato da una professionalità che “non era in alcun modo comparabile con le qualificazioni possedute dagli altri impiegati inquadrati in 7^ fascia” (pag. 16 sent.). Ha poi ribadito in altro passaggio motivazionale (pag. 17 sent.) che le deduzioni all’uopo svolte dal Consorzio non erano state smentite sul punto. Quanto all’addetto all’Ufficio Tecnico – Rapporti con Enti Finanziatori dei Lavori, si trattava di un quadro, per cui la sentenza di primo grado non era condivisibile per avere trascurato di considerare “la differenza esistente tra un impiegato con funzioni direttive (ossia il quadro, appunto) ed un impiegato privo di tali funzioni”.

4.3 Tale motivazione è conforme a diritto, in quanto logicamente basata sul rilievo della non contestazione del difetto di fungibilità tra le diverse professionalità in esame. In ordine al principio di non contestazione, il sistema di preclusioni del processo civile tuttora vigente e di avanzamento nell’accertamento giudiziale dei fatti mediante il contraddittorio delle parti, comporta per queste ultime l’onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa, evidenziando con chiarezza gli elementi in contestazione; la parte che ha l’onere di allegare e provare i fatti è tenuta anzitutto a specificare le relative circostanze in modo dettagliato ed analitico, così che l’altra abbia il dovere di prendere posizione verso tali allegazioni puntuali e di contestarle ovvero di ammetterle, in mancanza di una risposta in ordine a ciascuna di esse (cfr. Cass. 21847 del 2014).

4.4. Il secondo motivo di ricorso, laddove prospetta la fungibilità tra la professionalità del ricorrente e quella posseduta dai due dipendenti esclusi dalla comparazione, omette di prendere in esame la regola di giudizio applicata dal giudice di appello, secondo cui i fatti da provare erano stati ritenuti dimostrati, in quanto la mancata risposta in ordine alle specifiche allegazioni della parte datoriale equivaleva ad ammissione dei fatti non contestati. Il motivo dunque non è specifico rispetto al decisum, muovendo dall’erroneo presupposto che il suddetto onere probatorio, gravante sulla parte datoriale, non fosse stato assolto.

Ricorso n. 5186/2015.

5. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 416 e 420 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). La Corte aveva affermato che era stata sollevata tardivamente in giudizio l’eccezione del carattere discriminatorio del licenziamento, mentre il ricorrente I.L. l’aveva proposta ritualmente ex art. 416 c.p.c.

6. Il secondo motivo denuncia violazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24 in relazione alla direttiva 75/129 CEE del 17 febbraio 1975 (modificata dalla direttiva 92/56 CEE del 24 giugno 1992 e dalla direttiva 95/59 del 20 luglio 1998). Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (riconoscimento della natura discriminatoria del licenziamento), Violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 416 e 437 c.p.c., art. 2697 c.c. in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 24 in connessione con il denunciato vizio motivazionale (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Violazione ed erronea applicazione degli artt. 1324, 1345 e 2119 c.c. con riferimento alla L. n. 604 del 1966, art. 4, L. n. 300 del 1970, art. 15, L. n. 108 del 1990, art. 3 (art. 360 c.p.c., n. 3). Si censura la sentenza per avere ritenuto che il giudice di merito fosse esonerato dal prendere posizione in ordine alla matrice discriminatoria del licenziamento in relazione ai dipendenti che l’avevano eccepita, in quanto l’effettività dello stato di dissesto economico dell’Ente rendeva tale accertamento ultroneo. Sostiene parte ricorrente che (eccezione formulata dai ricorrenti I. e Mo. avrebbe obbligato la Corte di appello ad esaminarla, essendo tale scrutinio pregiudiziale nell’ambito del controllo di legalità del profilo procedimentale del licenziamento collettivo.

7. Il terzo motivo denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), consistente nella acritica condivisione delle risultanze della c.t.u. e nella svalutazione dei rilievi mossi dal C.t. di parte alle risultante peritali. Ci si duole che la Corte di appello, dopo avere riportato ampi stralci della c.t.u. contabile, si sia limitata a condividerla, “sia pure dopo avere preso visione delle copiose osservazioni fatte dai consulenti di parte degli appellati…”, senza tuttavia analizzare tali rilievi critici.

8. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, (art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la Corte di appello omesso di motivare in ordine alla plausibilità dello strumento prescelto dal Consorzio, che aveva ritenuto di non potere ricorrere a strumenti alternativi alla riduzione del personale. La comunicazione di avvio della procedura era generica riguardo all’esistenza di “esuberi strutturali”.

9. Con il quinto motivo, relativo alla posizione del ricorrente Mo.Em., appartenente alla 7^ fascia, ci si duole del criterio di scelta adottato, consistente nell’individuare tutti gli appartenenti ad un reparto o settore, senza procedere alla comparazione con gli altri lavoratori dell’azienda, almeno con quelli aventi analoga specializzazione e professionalità. La sentenza aveva aderito alla prospettazione del Consorzio appellante ritenendo, erroneamente, che in assenza di una specifica contestazione da parte del lavoratore l’Ente non avesse l’onere di provare l’avvenuto rispetto dei criteri di selezione.

10. Il sesto motivo verte sulle posizioni dei lavoratori V.P. e I.L.. Si lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 e art. 5 anche in riferimento agli artt. 1175 e 1375 c.c.. Quanto alla prima, si sostiene che non può considerarsi legittima la scelta della lavoratrice solo perchè addetta ad un reparto soppresso, laddove sia possibile adibire la dipendente ad altri reparti o settori non soppressi. Analoghe considerazioni riguardano il secondo lavoratore, le cui mansioni vennero ripartite tra gli altri impiegati, stante la volontà aziendale di sopprimere le posizioni ausiliarie, con conseguente eliminazione dei relativi posti di lavoro.

11. Il settimo motivo lamenta omesso esame dell’appello incidentale di Mo.Em. vertente sul mancato riconoscimento, da parte del Giudice di primo grado, del risarcimento del danno non patrimoniale indotto dal licenziamento illegittimo.

12. I primi due motivi del ricorso involgono questioni connesse. Il primo, di ordine processuale, verte su questione priva di decisività, in quanto la Corte di appello ha motivato anche nel merito dell’eccezione, per cui l’infondatezza del secondo motivo (per le ragioni che verranno di seguito illustrate), vertente sulla seconda ratio decidendi, rende ultroneo l’esame del primo.

12.1. Tanto premesso, va osservato che, la L. n. 223 del 1991, nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato “ex post” nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale, concernente il ridimensionamento dell’impresa, devoluto “ex onte” alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda. I residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più, quindi, gli specifici motivi della riduzione del personale (a differenza di quanto accade in relazione ai licenziamenti per giustificato motivo obiettivo) ma la correttezza procedurale dell’operazione (ivi compresa la sussistenza dell’imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso), con la conseguenza che non possono trovare ingresso in sede giudiziaria tutte quelle censure con le quali, senza contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni trai lavoratori, si finisce per investire l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva (Cass. n. 21541/2006, n. 5089/2009).

12.2. Il secondo motivo ipotizza un intento discriminatorio senza indicare su quali elementi concreti, ritualmente introdotti in giudizio, sarebbero state operate, da parte datoriale, “maliziose elusioni” dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori. Il motivo si risolve in una generica doglianza che finisce per investire l’autorità giudiziaria di un’indagine sul merito delle scelte riorganizzative e non dei vizi del procedimento.

13. Il terzo motivo è inammissibile.

13.1. Nel motivo si richiamano le considerazioni svolte dal C.t. di parte ricorrente, circostanze che tuttavia il Giudice di appello ha ritenuto non rilevanti rispetto agli elementi evidenziati dal C.t.u., che avevano “incontrovertibilmente” dimostrato che “le trasformazioni contrattuali operate nel corso del commissariamento con la conversione di alcuni contratti a termine in rapporti a tempo indeterminato, promozioni e passaggi di qualifica, attribuzione di aumenti” avevano “comportato un aumento di costi di gestione della struttura con la determinazione di rilevante passività di bilancio” (pag. 13 sent.).

13.2. Le censure svolte con il terzo motivo non sono coerenti con la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, a seguito delle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, nei termini già in precedenza chiariti. La decisività sta a significare che il fatto omesso, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

13.3. L’effettività di una rilevante passività di bilancio e la necessità di avviare il risanamento economico del Consorzio di cui si discute è “fatto” già esaminato dai Giudici di appello e non può costituire quindi fatto storico omesso.

14. Il quarto motivo è infondato.

14.1. La procedura disciplinata dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, è volta sia a consentire una proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato, sia a rendere trasparente il processo decisionale datoriale, in funzione della tutela dell’interesse del lavoratore destinato potenzialmente ad essere estromesso dall’azienda.

14.2. Questa Corte ha sottolineato la necessità della conformazione della comunicazione ai requisiti prescritti dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, per consentire alle organizzazioni sindacali di verificare il nesso tra le ragioni che determinano l’esubero di personale e le unità che, in concreto, l’azienda intende espellere, di talchè sia evidenziabile la connessione tra le enunciate esigenze aziendali e l’individuazione del personale da licenziare e sia consentito all’interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale, valutando anche la possibilità di misure alternative al programma di esubero (Cass. 12 novembre 2013, n. 25394; Cass. 16 gennaio 2013, n. 880; Cass. 28 ottobre 2009, n. 22825; v. pure Cass. n. 10348 del 2016).

14.3. In proposito, è bene chiarire che – contrariamente a quanto prospettato in sede di ricorso – non si tratta di esercitare un controllo sulla legittimità della scelta imprenditoriale di adire una procedura di licenziamento collettivo, coerente con il principio di libertà dell’iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), e pertanto insindacabile in sede giudiziale, quanto piuttosto di verificare il rispetto della specificità degli oneri di comunicazione in sede di apertura e chiusura della procedura di mobilità, previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 3 e 9 (Cass. n. 22825/2009, n. 10348/2016).

14.4. Neppure è ipotizzabile l’ esistenza di un obbligo, in capo al datore di lavoro, di indicare l’impossibilità di adottare tutti i rimedi alternativi astrattamente ipotizzabili, giacchè questi, nella logica stessa ed alla luce delle finalità di intervento e controllo da parte delle organizzazioni sindacali cui la comunicazione è preordinata, non possono che avere come riferimento la situazione della singola azienda, di talchè è sufficiente esporre le ragioni per cui, nel preciso contesto aziendale, non siano praticabili le misure cui più frequentemente ed efficacemente si ricorre per evitare la dichiarazione di esubero dei personale.

14.5. Come esposto in narrativa, la Corte di appello ha verificato la completezza della comunicazione di avvio del procedimento, in relazione ai prescritti adempimenti, mentre non le era richiesto di condurre alcun accertamento circa la validità delle scelte organizzative adottate dall’Ente. La sentenza non è affetta dal denunciato error in iudicando, mentre l’accertamento del contenuto della comunicazione è indagine di fatto, riservata al giudice di merito.

15. Il quinto motivo è privo di specificità rispetto al decisum.

15.1 Come già rilevato in occasione dell’esame del ricorso proposto dal lavoratore B., la sentenza impugnata ha dato atto (pagg. 17 e 18) della non contestazione circa l’allegazione difensiva, svolta dal Consorzio, relativa al difetto di fungibilità tra le diverse professionalità in esame, quella degli appartenenti alla 7^ fascia rispetto a quella posseduta dai due dipendenti non interessati dalla procedura. A fronte di ciò, spettava all’altra parte prendere posizione avverso tali allegazioni puntuali e di contestarle ovvero di ammetterle, non fornendo alcuna risposta in ordine a ciascuna di esse.

16. Anche il sesto motivo è infondato.

16.1. Qualora il progetto di ristrutturazione si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva, ad un reparto o a un settore, le esigenze economico-produttive di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 5, comma 1, possono costituire criterio esclusivo nella determinazione della platea dei lavoratori da licenziare, ove il datore indichi nella comunicazione L. n. 223 citata, ex art. 4, comma 3, sia le ragioni che giustificano la scelta di limitare i licenziamenti ai dipendenti dell’unità o settore o reparto in questione e le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad altre unità produttive, settori o reparti, ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti (sul tema, cfr. Cass. 4678 del 2015).

16.2. Non risulta dal tenore del ricorso che vi sia stata una lacuna informativa nella comunicazione L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 3, e che si verta in un’ipotesi di violazione dell’obbligo di specifica indicazione delle oggettive esigenze aziendali. Il motivo è genericamente inteso a contestare la scelta datoriale di individuare come destinatari del provvedimento espulsivo tutti gli addetti alle attività esternalizzate o tutti i lavoratori occupanti posti di lavoro soppressi nella pianta organica, ma non si prospetta che ciò si sia tradotto in un vizio della comunicazione informativa ai sindacati.

17. il settimo motivo è infondato.

17.1. Del tutto correttamente la Corte di appello ha omesso di esaminare l’appello incidentale del Mo., atteso che l’esame della domanda risarcitoria presupponeva il rigetto dell’appello principale del Consorzio. Poichè l’impugnazione del Consorzio è stata accolta e il licenziamento è stato ritenuto legittimo, è rimasto assorbito l’esame di ogni questione dipendente dalla statuizione integralmente riformata.

18. In conclusione, entrambi i ricorsi vanno rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

19. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

P.Q.M.

La Corte, pronunciando sui ricorsi riuniti, li rigetta. Condanna B.G. al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi e in Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Condanna Mo.Em., I.L. e V.P. al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi e in Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il nella Camera di consiglio, il 21 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2016

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