Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2411 del 27/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 27/01/2022, (ud. 10/12/2021, dep. 27/01/2022), n.2411

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI MARZIO Mauro – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12486-2020 proposto da:

(OMISSIS) S.R.L., con sede in (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore T.A., rappresentata e

difesa, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso,

dall’Avvocato Amedeo Tonachella, presso il cui studio elettivamente

domicilia in Roma, al Lungotevere dei Mellini n. 10.

– ricorrente –

contro

D.C.G., rappresentato e difeso, giusta procura speciale

allegata in calce al controricorso, dall’Avvocato Walter Esposito,

con cui elettivamente domicilia in Roma, alla Piazza della

Cancelleria n. 85, presso lo studio dell’Avvocato Ernesto Pitorri.

– controricorrente –

FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L., in persona del curatore Dott.

P.R..

– intimato –

avverso la sentenza n. cronol. 25/2020 della CORTE di APPELLO di

NAPOLI, depositata in data 06/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del giorno 10/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott.

EDUARDO CAMPESE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La (OMISSIS) s.r.l. ricorre per cassazione, affidandosi a quattro motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380-bis c.p.c., avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli del 6 febbraio 2020, reiettiva del reclamo dalla prima promosso contro la dichiarazione del proprio fallimento pronunciata dal tribunale di quella stessa città, il 26 agosto 2019, su ricorso di D.C.G.. Quest’ultimo, in particolare, si era dichiarato creditore della menzionata società in forza di un contratto di cessione di quote, autenticato nelle firme l’8 aprile 2014 dal Notaio S.G., per effetto del quale, a fronte di un complessivo credito di Euro 116.270,00, aveva ricevuto il pagamento del minore importo di Euro 86.270,00. Resiste, con controricorso, il D.C., mentre la curatela fallimentare è rimasta solo intimata.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, la corte distrettuale ha ritenuto: i) la reclamante decaduta dal beneficio del termine, ex art. 1186 c.c., rispetto al complessivo credito residuo del D.C.; ii) irrilevante l’assunto della pretesa illegittimità dell’azione esecutiva esperita da quest’ultimo, in danno della reclamante, prima di agire in sede prefallimentare, posto che, ai fini della dichiarazione di fallimento del proprio debitore, non è necessario che il creditore intraprenda preventivamente, nei suoi confronti, azioni esecutive.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale, vanno dichiarate la procedibilità dell’odierno ricorso, benché depositato (il 28 maggio 2020) oltre il termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, in relazione alla data (9 marzo 2020) di sua notificazione, nonché la tempestività del controricorso, notificato solo il 20 maggio 2020, oltre il termine di cui all’art. 370 c.p.c., comma 1, attese le misure adottate dal legislatore per far fronte all’emergenza epidemiologica da Covid-19: in particolare, quanto disposto dal D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 2 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 27 del 2020), che ha sospeso, per il periodo dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020, successivamente allungato fino all’11 maggio 2020 dal D.L. n. 23 del 2020, art. 36 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 40 del 2020), il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali.

2. Sempre in via pregiudiziale, va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dal controricorrente, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., per difetto di specificità ed autosufficienza: nello stesso ricorso e’, infatti, presente l’esposizione sommaria dei fatti della causa, mediante gli essenziali riferimenti ai precedenti gradi di giudizio (pagine da 2 a 6); è indicata la decisione impugnata (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 2), non essendo affatto prescritta dal medesimo art. 366 c.p.c., la trascrizione integrale della stessa. Nemmeno sussiste, poi, la condi7ione di inammissibilità di cui all’art. 360-bis c.p.c., n. 1, invocabile solo quando il provvedimento impugnato abbia deciso le questioni di diritto in conformità alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente offra elementi idonei a provocare un superamento dell’orientamento contestato.

3. Tanto premesso, le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1372 e 1186 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Si ascrive alla corte distrettuale di avere “di fatto, e del tutto illegittimamente, disapplicato la previsione pattizia con cui le parti avevano espressamente disciplinato la fattispecie determinante la decadenza dal beneficio del termine, ritenendo legittima la richiesta del pagamento del residuo prezzo, e quindi sussistente la condizione di fallibilità sancita dall’art. 15, u.c., sulla scorta del fatto che fosse, “nel caso di specie, integrato il requisito ex art. 1186 c.c., sotto il profilo della insolvenza della reclamante, ai fini della decadenza della stessa dal beneficio del termine stabilito”” pattiziamente;

II) “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1186 c.c., e della L.Fall., art. 15, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, censurandosi la sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto superato l’importo di Euro 30.000,00 di debiti scaduti e non pagati dalla reclamante alla data di presentazione dell’istanza di fallimento, malgrado, in forza delle pattuizioni intercorse tra le parti, il debito maturato dalla (OMISSIS) s.r.l. nei confronti del D.C., all’esito della fase prefallimentare, fosse di appena Euro 15.000,00;

III) “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1186 c.c., e della L.Fall., art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, criticandosi la menzionata sentenza nella parte in cui aveva considerato integrato il requisito ex art. 1186 c.c., sotto il profilo della insolvenza della reclamante, ai fini della decadenza dalla stessa dal beneficio del termine stabilito pattiziamente, sull’assunto che l’insolvenza richiesta dall’art. 1186 c.c., “pur non dovendo rivestire i caratteri di gravità ed irreversibilità, come previsto nel fallimento, può conseguire anche ad una situazione di difficoltà economica e patrimoniale reversibile purché idonea ad alterare, in senso peggiorativo, le garanzie patrimoniali offerte dal debitore”. Nella specie, invece, non solo non si era avuta alcuna riduzione delle garanzie prestate in favore del creditore, ma la corte di appello aveva ricavato lo stato di insolvenza della (OMISSIS) s.r.l. da circostanze del tutto irrilevanti ed afferenti il pagamento di un solo debito, di modesto valore e garantito da pegno;

IV) “Violazione e/ o falsa applicazione dell’art. 2911 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, laddove la corte partenopea aveva giudicato irrilevante l’assunto della pretesa illegittimità dell’azione esecutiva esperita dal D.C., in danno della reclamante, prima di agire in sede prefallimentare, assumendo che, ai fini della dichiarazione di fallimento del proprio debitore, non è necessario che il creditore intraprenda preventivamente, nei suoi confronti, azioni esecutive.

4. I primi due motivi, scrutinabili congiuntamente perché connessi, sono fondati, con conseguente assorbimento degli altri.

4.1. Invero, è pacifico tra le parti (emergendo dai rispettivi atti introduttivi di questo giudizio, oltre che dalla sentenza impugnata), che: i) il D.C., con il predetto atto autenticato nelle firme l’8 aprile 2014 dal Notaio S., aveva ceduto alla (OMISSIS) s.r.l. alcune quote di partecipazione da lui detenute ed emesse dalla società Rossofuoco s.r.l. al prezzo di Euro 116.270,00, che avrebbe dovuto essergli corrisposto, secondo importi e scadenze prestabilite, in un intervallo temporale ricompreso tra il momento della cessione stessa ed il (OMISSIS), data, quest’ultima, sancita per il pagamento dell’ultima tranche di Euro 15.000,00; ii) al menzionato atto di cessione, art. 8, le parti avevano pattuito che “… nell’ipotesi di mancato pagamento di due rate consecutive del saldo prezzo dovuto, la parte cessionaria decadrà dal beneficio del termine con facoltà per D.C.G. di richiedere quanto ad esso ancora dovuto in un’unica soluzione, senza alcuna dilazione”; all’atto della presentazione, nei suoi confronti, del ricorso di fallimento del D.C., certamente anteriore al 26 agosto 2019, data in cui si tenne l’udienza prefallimentare innanzi al Tribunale di Napoli, la (OMISSIS) s.r.l. risultava aver corrisposto al primo il minore importo di Euro 86.270,00, essendo rimasta, peraltro, senza esito, una precedente procedura di espropriazione presso terzi intrapresa dal medesimo creditore verso quella società giusta un precetto per la residua somma di Euro 30.000,00, non adempiuto, né opposto; iv) il predetto tribunale aveva dichiarato il fallimento della (OMISSIS) s.r.l. con sentenza del 26 agosto 2019, n. 155, ravvisandone tutti i requisiti di legge e ritenendo superato il limite di cui alla L.Fall., art. 15, u.c..

4.2. Va rilevato, poi, che la corte distrettuale, nel respingere il primo motivo di reclamo con cui la (OMISSIS) s.r.l. aveva lamentato che non poteva considerarsi “operante la decadenza dal beneficio del termine, fatta valere dal creditore nel precetto notificato, operando la convenzione notarile in essere, art. 8, che prevede la decadenza solo nel caso di mancato pagamento di n. 2 rate consecutive” pag. 2 della sentenza impugnata), ha così opinato: “…deve precisarsi che l’art. 1186 c.c. (…) faculta il creditore ad esigere immediatamente la prestazione se il debitore: a) è divenuto insolvente; b) ha diminuito per fatto proprio le garanzie che aveva dato; c) non ha dato le garanzie che aveva promesso. In particolare, lo stato di insolvenza cui si fa riferimento non può che essere costituito da una situazione di dissesto economico, sia pure temporaneo, in cui il debitore venga a trovarsi, che rende verosimile l’impossibilità da parte di quest’ultimo di far fronte ai propri impegni. Ciò significa che l’insolvenza ivi prevista non postula necessariamente un collasso economico, ma, solo l’impotenza, reale ed oggettiva, a soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Pur non dovendo necessariamente rivestire i caratteri di gravità e irreversibilità, come previsto in materia di fallimento, ma può conseguire anche ad una situazione di difficoltà economica e patrimoniale reversibile purché idonea ad alterare, in senso peggiorativo, le garanzie patrimoniali offerte dal debitore (Cass. n. 24330 del 2011). Nel caso di specie, il creditore reclamato ha dato prova che il precetto non è stato opposto, che l’azione esecutiva (pignoramento presso terzi), anch’essa non impugnata, ha dato esito negativo, che gli enti bancari (Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. ed Unicredit S.p.A.) hanno reso dichiarazione negativa in ordine alla capienza di somme di danaro depositate dalla fallita presso gli stessi, che non è stato depositato il bilancio di esercizio di riferimento (anno 2018). Pertanto, deve ritenersi nel caso di specie integrato il requisito ex art. 1186 c.c., sotto il profilo della insolvenza della reclamante, ai fini della decadenza della stessa dal beneficio del termine stabilito nel detto atto notarile, anche perché non contestato nelle pregresse sedi giudiziarie” (cfr. pag. 3 della medesima sentenza).

4.3. E’ palese, dunque, che una siffatta argomentazione ha totalmente ignorato che le parti (il D.C. e la (OMISSIS) s.r.l.) di quell’atto di cessione di quote societarie avevano inteso specificare, mediante la già riportata pattuizione di cui al suo art. 8, l’ambito di operatività del rimedio ex art. 1186 c.c., per l’ipotesi del mancato adempimento della (OMISSIS) s.r.l., nei termini ivi pattiziamente fissati. Va qui ricordato, peraltro, che, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, la disposizione di carattere generale dell’art. 1186 c.c., che consente al creditore di esigere immediatamente la prestazione anche quando per essa sia stato stabilito un termine nell’interesse del debitore, se questo è divenuto insolvente o ha diminuito per fatto proprio le garanzie o non ha dato le garanzie promesse, può essere derogata dalle parti o dalla disciplina particolare dei singoli contratti (cfr. Cass. n. 9307 del 1994, ribadita, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 20042 del 2020).

4.3.1. In altri termini, la corte partenopea, di fatto: i) ha erroneamente disapplicato la previsione pattizia con cui le parti avevano espressamente disciplinato la fattispecie determinante la decadenza dal beneficio del termine; ti) altrettanto erroneamente ha finito con il ritenere legittima la richiesta del pagamento dell’intero residuo prezzo (poco più di Euro 30.000,00) della cessione predetta e, quindi, superato il limite di cui alla L.Fall., art. 15, u.c., (a tenore del quale non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dall’istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore ad Euro 30.000,00), malgrado, alla data (26 agosto 2019) della dichiarazione di fallimento precedentemente pronunciata dal tribunale ancora non fosse stato oltrepassato il termine ((OMISSIS)) convenuto tra le parti per il pagamento dell’ultima tranche, pari ad Euro 15.000,00, del prezzo complessivo della citata cessione.

4.3.2. Ne’, in contrario, può attribuirsi rilievo alcuno alla circostanza che la procedura esecutiva intrapresa, peraltro del tutto infruttuosamente, dal D.C., in danno dell’odierna ricorrente, prima dell’instaurazione, nei suoi confronti, del procedimento prefallimentare innanzi al Tribunale di Napoli, si era fondata su un precetto, rimasto inadempiuto, per l’intero prezzo residuo (comprensivo, cioè, anche dell’ultima tranche di prezzo ancora non scaduta): nessun accertamento, con efficacia di giudicato, infatti, poteva considerarsi da tanto derivato, attesa la natura stragiudiziale (scrittura privata con sottoscrizioni autenticate) del titolo che lo aveva giustificato.

4.3.3. E’ chiaro, infatti, che, in una siffatta evenienza, il creditore il quale intimi al proprio debitore il pagamento di un determinato importo, notificandogli l’atto di precetto ai sensi dell’art. 480 c.p.c., lungi dal potersi equiparare a colui che formuli una domanda nel processo di cognizione, liquida il preteso credito per capitale, interessi e spese sulla base di una propria interpretazione del titolo esecutivo stragiucli7iale vantato; il debitore può contestare tale esplicazione – con opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi, a seconda del vizio denunciato – fermo il potere-dovere del giudice dell’esecuzione di verificare, anche d’ufficio, la correttezza dei calcoli esposti e, in definitiva, la congruenza tra titolo esecutivo stragiudiziale azionato ed importo nel complesso precettato. Ove tutto ciò manchi (come concretamente accaduto nell’odierna vicenda, attesa la dedotta mancata instaurazione di qualsivoglia giudizio di opposizione al precetto o all’esecuzione), il solo provvedimento che chiuda il procedimento esecutivo non ha, per la mancanza di contenuto decisorio, efficacia di giudicato.

4.3.4. Ne deriva, quindi, che, nella specie, al momento (26 agosto 2019) del pronunciato fallimento di (OMISSIS) s.r.l., il debito scaduto, e non pagato, di quest’ultima nei confronti del D.C. era di circa Euro 15.000,00 (Euro 30.000,00 pretesi detratto l’importo di Euro 15.000,00, che sarebbe stato esigibile solo dopo il (OMISSIS)), sicché, non superando a quella data gr. Cass. n. 10952 del 2015) il limite di cui alla L.Fall., art. 15, u.c., né essendo risultata, dall’espletata istruttoria prefallimentare, l’esistenza di altri debiti scaduti della menzionata società Cass. n. 26926 del 2017; Cass. n. 14727 del 2016, che esclude la rilevanza di quelli eventualmente accertati in sede di verifica dello stato passivo), di quest’ultima non avrebbe potuto dichiararsi il fallimento.

4.3.5. Va ricordato, invero, che il limite di fallibilità di cui alla suddetta disposizione, nell’esigere che alla data di decisione sull’istanza di fallimento consti un’esposizione debitoria complessiva superiore ad Euro trentamila, è finalizzato ad esentare dal concorso le crisi d’impresa di modeste dimensioni oggettive e si configura alla stregua di condizione per la declaratoria fallimentare, e non già quale fatto impeditivo, sicché non è oggetto di un onere probatorio posto a carico del fallendo ex art. 2697 c.c., comma 2, dovendo il superamento del limite, piuttosto, essere riscontrato d’ufficio dal tribunale sulla base degli atti dell’istruttoria prefallimentare (cfr. Cass. n. 16683 del 2018).

5. In definitiva, l’odierno ricorso deve essere accolto in relazione ai suoi primi due motivi, assorbiti gli altri. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata e la causa va rinviata alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 10 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2022

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