Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24108 del 24/10/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 24108 Anno 2013
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso 5557-2010 proposto da:
BERTONE GLASS A R.L.

(già SOCAR – ICS S.P.A.)

0051760017, in persona dell’amministratore delegato
dott. PETER KAMINSKY, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA COLA DI RIENZO 285, presso lo studio
dell’avvocato VECCHIO MARIA, che la rappresenta e
2013
823

difende unitamente all’avvocato TEALDI ALBERTO giusta
delega in atti;
– ricorrente contro

G.D.A.

GESTIONE

DISTRIBUTORI

1

AUTOMATICI

S.R.L.

Data pubblicazione: 24/10/2013

00500240015, in persona del legale rappresentante pro
tempore Sig. FABRIZIO GARBERO, domiciliato ex lege in
ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentata e difesa dagli avvocati FEDERICA GAZA,
GARRONE GIUSEPPE giusta delega in atti;

avverso la sentenza n. 53/2009 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 14/01/2009, R.G.N. 887/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/04/2013 dal Consigliere Dott. GIACOMO
TRAVAGLINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso;

2

– controricorrente

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel giugno del 2002 la s.r.l. GDA convenne in giudizio,
dinanzi al tribunale di Torino, la s.p.a. Socar, chiedendo che
fosse accertata e dichiarata la risoluzione di un contratto di
somministrazione di prodotti preconfezionati e di bevande

pronuncia al risarcimento dei danni subiti.
Espose l’attrice che la società convenuta si era resa
inadempiente poiché, dopo la sottoscrizione, nel febbraio del
2000, di un ulteriore contratto della durata di 4 anni, aveva
disattivato i distributori, collocandoli in un magazzino.
Il giudice di primo grado, investito

hinc et inde

della

domanda principale e di quella riconvenzionale di risoluzione
per inadempimento proposta dalla Socar (nelle more del
giudizio, divenuta Bertone Glass), accolse quella principale,
dichiarando risolto per inadempimento della convenuta il
contratto di somministrazione e condannando la medesima al
risarcimento del danno, quantificato in E. 22.000.
La corte di appello di Torino, investita del gravame proposto
dalla Bertone Glass, lo rigettò.
Per la cassazione della sentenza della corte subalpina,
l’appellante Bertone ha proposto ricorso sorretto da 3 motivi
di censura.
Resiste con controricorso la GDA.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso non può essere accolto.

3

stipulato tra le parti circa dieci anni prima, con conseguente

Con il primo motivo,

si denuncia

violazione e/o falsa

applicazione degli artt. 1322 e 1564 c.c. in relazione
all’art. 360 n. 3 c.p.c. – violazione o falsa applicazione di
norme di diritto e del contratti e accordi collettivi
nazionali di lavoro; e, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.,

motivazione circa un punto decisivo della controversia.
La censura è corredata dal seguente quesito di diritto
(formulato ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile
ratione temporis, nel vigore del D.lgs. 40/2006):
Ai sensi dell’art. 1564 c.c. l’accertato venir meno della
fiducia nell’esattezza del successivi adempimenti da parte del
somministrante la fornitura dei beni,

in capo agli

legittimala risoluzione per

utilizzatori del servizio,

inadempimento del contratto atipico, collegato alla
somministrazione, stipulato con la società fornitrice la
somministrazione stessa).
Il motivo è destituito di fondamento.
Si pone alla Corte, difatti, un quesito di diritto del tutto
eccentrico rispetto al

disputatum

e al

decisum

in seno al

giudizio di merito (si legge al folio 12 della sentenza
impugnata che “l’appellante lamenta la cattiva
interpretazione, da parte del tribunale, delle norme che
sorreggono l’adeguatezza o meno
somministrazione),

del contratto di

ove la questione di diritto dibattuta tra

le parti ebbe ad esclusivo oggetto l’inadempimento di un

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omessa o, in ogni caso, insufficiente e/o contraddittoria

contratto di somministrazione – in relazione al quale, con
decisione del tutto conforme a diritto (e ai precedenti di
questa Corte), il giudice di appello ebbe ad evocare la
necessità dell’inadempimento grave a fini risolutori Non emerge invece in alcun passo della motivazione della

(inadempimento di) contratti collegati atipici rispetto alla
somministrazione: né il ricorrente, in spregio del principio
di autosufficienza del ricorso, indica oggi alla Corte in
quale fase del procedimento di merito la questione sia stata
tempestivamente sollevata e illegittimamente pretermessa.
Con il secondo motivo,

si denuncia

violazione e/o falsa

applicazione degli artt. 1322, 1362, 1453 e 1564 c.c. in
relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. – violazione o falsa
applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi
collettivi nazionali di lavoro;
n. 5 c.p.c.,

e, in relazione all’art. 360

omessa o, in ogni caso, insufficiente e/o

contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia.
La censura è corredata dal seguente quesito:
Ai sensi del combinato disposto degli artt. 1322, 1362, 1453 e
1564 c.c., l’accertato inadempimento del somministrante la
fornitura del beni, nei confronti dei terzi utilizzatori del
servizio, legittima la risoluzione per inadempimento del
contratto atipico collegato alla somministrazione stessa

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sentenza impugnata l’esistenza di una questione di

Il motivo è destinato al rigetto per le medesime ragioni
esposte in sede di esame della censura che precede.
si denuncia

Con il terzo motivo,

violazione e/o falsa

applicazione degli artt. 1223, 1226 e 1322 c.c. in relazione
all’art. 360 n. 3 c.p.c. – violazione o falsa applicazione di

nazionali di lavoro; e, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.,
omessa o, in ogni caso, insufficiente motivazione circa un
punto decisivo della controversia..
La censura è corredata dal seguente quesito:
Può il giudice non ammettere una consulenza tecnica di ufficio
per la quantificazione del danni ipotizzati, facendo una
valutazione equitativa degli stessi, con il ricorso ad una
duplice presunzione?
Il motivo è inammissibile.
Questo giudice di legittimità ha già avuto più volte modo di
affermare che il quesito di diritto deve essere formulato, ai
sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da
costituire una sintesi logico-giuridica unitaria della
questione, onde consentire alla corte di cassazione
l’enunciazione di una

regula iuris

suscettibile di ricevere

applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso
dalla sentenza impugnata, senza peraltro omettere il
necessario riferimento alla fattispecie concreta, pena la
trasformazione del quesito stesso in una astratta petizione di
principio.

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norme di diritto e del contratti e accordi collettivi

Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso destinato
a risolversi (Cass. 19-2-2009, n. 4044) nella generica
richiesta (quale quelle di specie) rivolta al giudice di
legittimità di stabilire se sia stata o meno violata una certa
norma – e tanto è a dirsi anche nel caso in cui il ricorrente

parte del giudice di merito. Il quesito deve, di converso,
investire la

ratio decidendi

della sentenza impugnata,

proponendone una alternativa di segno opposto: le stesse
sezioni unite di questa corte hanno chiaramente specificato
(Cass. ss. uu. 2-12-2008, n. 28536) che deve ritenersi
inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ.
il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei
singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un
quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un
interrogativo circolare, che già presupponga la risposta
(ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso

sub

iudice).
La corretta formulazione del quesito esige, in definitiva
(Cass. 19892/09), che il ricorrente
la fattispecie concreta, poi

dapprima indichi in esso

la rapporti ad uno schema

normativo tipico, infine formuli, in forma interrogativa e non
assertiva, il principio giuridico di cui chiede
l’affermazione; onde, va ribadito (Cass. 19892/2007)
l’inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si
risolva (come nella specie) in una generica istanza di

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intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da

decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata
nel motivo.
Quanto al denunciato difetto di motivazione, sulla sintesi
espositiva necessaria per l’esame del vizio de quo ancora le
sezioni unite di questa corte hanno specificato (Cass. ss.uu.

del fatto controverso” in relazione al quale la motivazione si
assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le
quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda
inidonea a giustificare la decisione: la relativa censura deve
contenere, cioè,

un momento di sintesi, omologo del quesito di

diritto che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera
da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del
ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.
Violando patentemente tali principi,

tutte le censure

formulate con il motivo in esame devono essere dichiarate
inammissibili.
La disciplina delle spese segue – giusta il principio della
soccombenza – come da dispositivo.
P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si
liquidano in complessivi E. 4700, di cui E. 200 per spese.
Così deciso in Roma, li 9.4.2013

20603/07) l’esatta portata del sintagma “chiara indicazione

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