Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24107 del 30/10/2020

Cassazione civile sez. un., 30/10/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 30/10/2020), n.24107

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di sez. –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CONTI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26193-2019 proposto da:

AERNOVA S.R.L., in persona del Presidente pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato FEDERICO CIPOLLA;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA – U.T.G. DI TORINO, in persona del legale rappresentante

pro tempore, MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, MINISTERO

DELL’INTERNO, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2212/2019 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 03/04/2019;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/10/2020 dal Consigliere Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE GIOVANNI, il quale chiede che la Corte, a Sezioni Unite,

in camera di consiglio, dichiari inammissibile il ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza n. 492/2018 il Tar Piemonte ha respinto il ricorso della società Aernova s.r.l. contro l’informativa interdittiva del Prefetto della Provincia di Torino n. 12103 del 4 aprile 2017 e la conseguente revoca delle agevolazioni concesse a detta Società ai sensi della L. n. 662 del 1996.

La decisione è stata confermata dal Consiglio di Stato, con sentenza n. 2212, pubblicata il 3 aprile 2019, avverso la quale la Aernova ha proposto ricorso ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8 e art. 362 c.p.c., comma 1, affidato ad un unico motivo, contro il Prefetto della Provincia di Torino, il Ministero dell’Interno e il Ministero dello sviluppo economico.

Dopo aver rilevato che l’informativa interdittiva antimafia era pienamente giustificata dall’influenza sulla gestione societaria della ricorrente da parte di C.N., condannato in via definitiva nell’ambito dell’Operazione (OMISSIS) per concorso esterno in associazione mafiosa di matrice ‘ndranghetista, il Consiglio di Stato ha evidenziato, per quel che qui rileva, che non vi erano i presupposti per sollevare la questione di legittimità costituzionale o per rimettere gli atti al giudice Europeo.

In particolare, i giudici amministrativi hanno osservato che non era possibile dubitare della legittimità costituzionale della disciplina normativa antimafia, espressione della potestà di cui all’art. 117 Cost., comma 1, lett. h), in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, nascendo essa dal bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’art. 41 Cost. e l’interesse pubblico alla salvaguardia dell’ordine pubblico e alla prevenzione dei fenomeni mafiosi. Anche il giudizio fondato secondo il criterio del “più probabile che non” costituiva una regola “consentanea alla garanzia fondamentale della presunzione di non colpevolezza” di cui all’art. 27 Cost., comma 2 cui era ispirato anche il punto 2 dell’art. 6 CEDU, non attenendo il caso ad ipotesi di affermazione della responsabilità penale. Il Consiglio di Stato ha, inoltre, precisato che la compatibilità con i principi costituzionali ed Eurounitari della normativa in tema di interdittiva era stata affermata dalla propria giurisprudenza (Cons. Stato n. 758/2019), che aveva escluso che fosse prospettabile la violazione dell’art. 1 Prot. n. 1 annesso alla CEDU, in questa direzione orientando gli stessi principi espressi dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo nella sentenza De Tommaso c. Italia. La Corte Europea dei diritti dell’uomo non aveva infatti mancato di ammettere che talune leggi fossero formulate con termini più o meno vaghi in relazione alla necessità di regolare fenomeni destinati a mutare e purchè fosse indicata la portata della discrezionalità riservata alla fase interpretativa. E tanto era accaduto nel caso della legge italiana che, ancorando il provvedimento interdittivo antimafia all’esistenza di tentativi d’infiltrazione mafiosa, aveva fatto riferimento ad una clausola generale ed aperta che non costituiva nè norma in bianco nè delega all’arbitrio imprevedibile dell’autorità amministrativa, ponendosi il pericolo di infiltrazione mafiosa al contempo come limite del potere prefettizio e come elemento idoneo a limitarne la discrezionalità. Spettava poi ad esso giudice amministrativo la verifica della gravità del quadro indiziario posto a base della valutazione prefettizia circa il pericolo di infiltrazione mafiosa, mediante un apprezzamento di ragionevolezza e proporzionalità del criterio inferenziale secondo un criterio probabilistico.

Secondo il Consiglio di Stato, dunque, la ritenuta compatibilità della normativa applicata sia con i principi costituzionali sia con l’ordinamento dell’Unione Europea “… così come rispettivamente statuito dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Giustizia…” escludeva la sussistenza dei presupposti per il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Senza dire che l’obbligo di rinvio pregiudiziale ricadente su esso Consiglio quale giudice di ultima istanza, ai sensi dell’art. 267, comma 3 TFUE, non poteva dirsi sussistente nelle ipotesi in cui la questione sollevata era identica ad altra precedente proposta in relazione ad analoga fattispecie già decisa in via pregiudiziale dalla Corte (di Giustizia) o comunque trovasse soluzione nella giurisprudenza costante della Corte UE secondo la teoria dell’acte eclairè; ipotesi, quest’ultima che “…alla luce della sopra riportata giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia, appare ricorrere nel caso di specie”.

Le parti intimate si sono costituite con controricorso con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato.

La ricorrente ha depositato memoria.

Il Procuratore Generale ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Con l’unico motivo proposto la ricorrente ha dedotto la violazione del limite esterno della giurisdizione attribuita al Consiglio di Stato in relazione alla violazione dell’art. 267, comma 3, parte prima TFUE, in cui sarebbe incorso il Consiglio di Stato. Secondo la ricorrente, benchè fosse stato chiarito nell’atto di appello che sulla questione della compatibilità della normativa antimafia in tema di interdittive con l’ordinamento dell’Unione Europea non vi fossero precedenti della Corte di Giustizia, sussistendo unicamente una pronunzia della Corte edu, il Consiglio di Stato avrebbe al contrario dato per esistente una decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che avrebbe deciso questione analoga a quella dalla stessa società sollevata, da qui desumendo l’inutilità del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. E ciò benchè essa ricorrente avesse chiarito espressamente che il quadro normativo interno si sarebbe posto in contrasto con il parametro dell’art. 1, comma 2 del Protocollo addizionale alla CEDU, che assumeva il valore di norma comunitaria per effetto del recepimento operato dall’art. 6, par. 3 Trattato UE. Così facendo il Consiglio di Stato, avrebbe confuso la Corte Europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo, con la Corte di Giustizia dell’Unione Europea di Lussemburgo, costruendo una motivazione “…inconsistente (e stravagante)” che avrebbe avuto come effetto la diretta pronunzia da parte del giudice nazionale di ultima istanza su materia che invece sarebbe sottratta alla sua giurisdizione. Nè la sentenza De Tommaso c. Italia richiamata dal Consiglio di Stato avrebbe potuto esimere il giudice italiano dalla rimessione alla Corte di Giustizia.

Peraltro, secondo la ricorrente, la decisione impugnata avrebbe dato rilevanza alla sentenza De Tommaso c. Italia andando in contrario avviso con quanto affermato da altra decisione precedente del Consiglio di Stato (sent. n. 2343/2018), nella quale sarebbe stata esclusa la rilevanza della stessa nell’ambito delle misure di prevenzione personali. Infine, secondo la ricorrente il travalicamento della giurisdizione da parte del giudice amministrativo dovrebbe comunque essere rilevato da queste Sezioni Unite, anche a volere condividere i principi fissati da Corte Cost. n. 6/2018, poichè la violazione dell’art. 267, comma 3, prima parte TFUE non integrerebbe una mera regola processuale – inquadrabile nell’error in procedendo – ma un vero e proprio limite alla giurisdizione del giudice nazionale di ultima istanza, cui e inibito di pronunziarsi sulle materie riservate alla competenza della Corte di Giustizia, alla quale ultima il primo sarebbe tenuto a rimettere gli atti sospendendo il giudizio.

In definitiva, secondo il ricorrente, gli unici limiti alla giurisdizione della Corte di Giustizia rispetto all’obbligo del giudice nazionale di operare il rinvio pregiudiziale deriverebbero dall’essere stata già sollevata identica questione in relazione a fattispecie già decisa in via pregiudiziale dalla Corte stessa, o dall’esistenza di una giurisprudenza costante della Corte UE sul punto controverso. Non ricorrendo pertanto alcuna di tali ipotesi, la mancata trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia con contestuale decisione diretta da parte del Consiglio di Stato di questione estranea alla sua giurisdizione, integrerebbe un superamento dei limiti della giurisdizione amministrativa.

Il motivo è inammissibile.

Giova chiarire che la censura esposta dalla ricorrente ruota attorno alla decisione di rigetto della richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia alla quale il Consiglio di Stato sarebbe giunto ritenendo erroneamente di essere in presenza di una ipotesi di “atto chiaro” che non rendeva obbligatorio il rinvio stesso ed in particolare valorizzando, per l’un verso, un precedente della Corte Europea dei diritti dell’uomo ritenendolo come se fosse stato emesso dalla Corte di Giustizia e, per altro verso, tralasciando di considerare l’assenza di precedenti resi dalla Corte di Giustizia. In questo modo, secondo la ricorrente, il Consiglio di Stato avrebbe travalicato i limiti della giustizia comunitaria decidendo una controversia che sarebbe stata “riservata” alla cognizione del giudice dell’Unione Europea.

Orbene, va premesso che queste Sezioni Unite hanno ripetutamente affermato che il mancato rinvio pregiudiziale da parte del Consiglio di Stato alla Corte di Giustizia del Lussemburgo non configura una questione attinente allo sconfinamento dalla giurisdizione del giudice amministrativo visto che tale Corte, nell’esercizio del potere di interpretazione di cui all’art. 234 del Trattato istitutivo della Comunità economica Europea, non opera come giudice del caso concreto, bensì come interprete di disposizioni ritenute rilevanti ai fini del decidere da parte del giudice nazionale, in capo al quale permane in via esclusiva la funzione giurisdizionale” (Cass., S.U., 5 luglio 2013, n. 16886; Cass., S.U., 4 febbraio 2014 n. 2403; Cass., S.U., 6 febbraio 2015, n. 2242; Cass., S.U., 17 novembre 2015, nn. 23460 e 23461; Cass., S.U., 20 maggio 2016, n. 10501; Cass., S.U., 8 luglio 2016, n. 14043; Cass., S.U., 16 maggio 2017, n. 12050; Cass., S.U., 30 luglio 2018, n. 20169). E tale principio, affermato anche nella vigenza della disposizione sul rinvio pregiudiziale antecedente al Trattato di Lisbona poi transitata nell’art. 267 TFUE (cfr. Cass., S.U., 2 dicembre 2005, n. 26228), il Collegio pienamente condivide.

Sotto altro profilo, è parimenti ricorrente l’affermazione secondo la quale non è denunciabile con ricorso innanzi a queste Sezioni Unite l’omissione del rinvio pregiudiziale obbligatorio da parte del Consiglio di Stato “atteso che la relativa questione non pone in discussione la giurisdizione del Consiglio medesimo, ma l’inosservanza di una regola processuale, sul presupposto della sussistenza di tale giurisdizione” (Cass., S.U., 25 maggio 1984, n. 3223).

Anche di recente, Cass., S.U., 21 luglio 2020, n. 15490 ha ritenuto che il controllo che l’art. 111 Cost., comma 8, affida alla S.C. non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errori “in iudicando” o “in procedendo” per contrasto con il diritto dell’Unione Europea, salva l’ipotesi “estrema” in cui l’errore si sia tradotto in un’interpretazione delle norme Europee di riferimento in contrasto con quelle fornite dalla COGUE, sì da precludere, rendendola non effettiva, la difesa giudiziale” (Cass., S.U., 18 dicembre 2017, n. 30301).

Si è pure affermato che il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, omesso dal Consiglio di Stato, non può essere disposto, sulla medesima questione, dalle Sezioni Unite della Suprema Corte innanzi alle quali sia stata impugnata la corrispondente decisione, spettando ad esse solo di vagliare il rispetto, da parte del primo, dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa, senza che, su tale attribuzione di controllo, siano evidenziabili norme dell’Unione Europea su cui possano ipotizzarsi quesiti interpretativi” (Cass., S.U., 8 luglio 2016, n. 14042).

Anche successivamente alla pronunzia resa dalla Corte costituzionale n. 6/2018, alla quale ha fatto riferimento nel ricorso e nella memoria la società Aernova, i principi sopra ricordati sono stati ribaditi da queste Sezioni Unite (cfr. Cass., S.U., 17 dicembre 2018, n. 32622) che hanno affermato come la non sindacabilità da parte della Corte di cassazione, ex art. 111 Cost., comma 8, delle violazioni del diritto dell’Unione Europea e del mancato rinvio pregiudiziale ascrivibili alle sentenze pronunciate dagli organi di vertice delle magistrature speciali (nella specie, il Consiglio di Stato) sia compatibile con il diritto dell’Unione, come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale ed Europea, in quanto correttamente ispirato ad esigenze di limitazione delle impugnazioni, oltre che conforme ai principi del giusto processo ed idoneo a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, tenuto conto che è rimessa ai singoli Stati l’individuazione degli strumenti processuali per assicurare tutela ai diritti riconosciuti dall’Unione – in questa direzione si è più di recente mossa Cass., S.U., 18 dicembre 2017, n. 30301; ricordata anche da Cass., S.U., 15 aprile 2020, n. 7839 – riconoscendo che non è affetta dal vizio di eccesso di potere giurisdizionale, ed è pertanto insindacabile sotto il profilo della violazione del limite esterno della giurisdizione, in relazione al diritto Eurounitario, la decisione, adottata dal Consiglio di Stato, di non disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE, giacchè il controllo che l’art. 111 Cost., comma 8, affida alla S.C. non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errori “in iudicando” o “in procedendo” per contrasto con il diritto dell’Unione Europea.

Orbene, non può revocarsi in dubbio che, secondo i precedenti di queste Sezioni Unite appena esposti – ai quali vanno aggiunti anche Cass., S.U., 15 aprile 2020, n. 7839 e Cass., S.U., 9 settembre 2020, n. 18671-, la questione pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia costituisce elemento processuale interno al processo, senza che essa risulti suscettibile di divenire oggetto di autonoma valutazione nell’ambito del sindacato di cui all’art. 111 Cost., comma 8.

Peraltro quando, come nel caso di specie, il giudice amministrativo abbia espressamente deciso di non attivare il rinvio pregiudiziale motivando la sua decisione e dunque esaminando le ragioni poste a sostegno della richiesta di rinvio pregiudiziale sollecitata da una delle parti – ovvero escludendo direttamente di operare il rinvio pregiudiziale sulla base di una valutazione sganciata dall’iniziativa di una parte processuale, a tanto potendo comunque procedere proprio in relazione alla finalità dell’istituto normato dall’art. 267 TUEF – risulta per tabulas che il diniego di rinvio pregiudiziale abbia quale suo presupposto la giurisdizione del giudice interno che l’ha appunto pienamente esercitata, proprio escludendo la ricorrenza dei presupposti per l’attivazione del meccanismo di cui all’art. 267 TUFE.

Orbene, è decisamente errata la prospettiva dalla quale muove la censura, laddove tende a sostenere che la decisione della questione controversa da parte del giudice nazionale, nell’ipotesi in cui la stessa imponeva il rinvio pregiudiziale alla Corte UE – invece motivatamente negato – determinerebbe un travalicamento dei limiti della giurisdizione amministrativa in danno della Corte di Giustizia.

Ed invero, il rapporto che corre fra il giudice nazionale e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, a ben considerare, non è di alternatività ma di complementarietà, nel senso che il giudice nazionale è egli stesso interprete del diritto dell’Unione Europea, indicandosi tale ruolo spesso con la dizione di giudice comunitario di diritto comune cfr., ex multis, Concl. Avv. Gen. Leger, nella causa Kobler (C-224/01), par. 66; Concl. Avv. Gen. Saggio presentate il 16 dicembre 1999 nelle Cause riunite da C-240/98 a C-244/98, Oceano Grupo Editorial SA e Salvat Editores SA, par.37-.

Attraverso il rinvio pregiudiziale su questione di interpretazione del diritto UE il giudice nazionale, giova ribadirlo, non si spoglia in alcun modo del proprio potere giurisdizionale, ma, come sopra esposto, lo esercita pieno iure formulando, ove ritenuto necessario ai fini della decisione, la richiesta incidentale alla Corte UE, in esito alla quale avrà il compito di applicare l’interpretazione fornita da quel giudice; potere che esercita anche quando ritenga, motivatamente, di non sentirsi nel caso concreto obbligato al rinvio pregiudiziale: in altri termini l’attivazione del rinvio pregiudiziale su questione interpretativa – art. 267, par. 1, lett. a) TFUE – e, specularmente, la mancata attivazione, non presuppongono mai la cessione di potere giurisdizionale o comunque il travalicamento della giurisdizione della Corte di giustizia.

La funzione interpretativa (del diritto UE) riservata dall’art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia e la vincolatività che deriva dalla pronunzia adottata dalla stessa Corte non può dunque confondersi con la funzione giurisdizionale riservata al giudice nazionale anche quando è in discussione una controversia per la quale rileva il diritto UE, al cui interno si inserisce il rinvio pregiudiziale: al giudice nazionale appartiene in via esclusiva il potere sia di interpretare il diritto interno – cfr. Corte Giust., 19 marzo 1964, causa 75/63, Unger, Racc. pag. 349, in particolare pag. 366; Corte Giust., 26 settembre 1996, causa C-341/94, Allain, punto 11, Corte Giust., 10 gennaio 2019, n. 97/18- rendendolo conforme al diritto UE, salvo i poteri di disapplicazione ove esercitabili; sia di applicare il diritto UE come interpretato dalla Corte di Giustizia nel caso concreto – Corte Giust., 7 dicembre 1995, causa C-45/94, Cemara de Comercio, Industria y Navegacion de Ceuta, punto 26 – non spettando tale potere alla Corte di Giustizia – cfr. Corte Giust. 15 luglio 1964, Van der Vewen, C100/63; Corte Giust.,10 luglio 2008, Feryn, C-54/07, p.19-.

Per altro verso, il principale obiettivo del rinvio pregiudiziale, soprattutto quando è promosso dal giudice di ultima istanza, è quello di garantire il carattere unitario del diritto dell’Unione da parte dei giudici nazionali ed una tutela giurisdizionale effettiva – cfr. Corte Giust., 4 novembre 1997, Parfums Christian Dior, C-337/95, p.25-.

La giurisprudenza della Corte UE ha da tempo chiarito che l’organo giurisdizionale avverso le cui decisioni non è possibile proporre un ricorso di diritto interno è tenuto, in linea di principio, a rivolgersi alla Corte UE salvo che lo stesso organo constati che la questione sollevata non è pertinente, o che la disposizione del diritto dell’Unione di cui trattasi è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte, ovvero che la corretta applicazione del diritto dell’Unione si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi, poi aggiungendosi che la configurabilità di una simile eventualità dev’essere valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze giurisprudenziali all’interno dell’Unione (v., Corte Giust. 6 ottobre 1982, Cilfit e a., 283/81, punto 21; Corte Giust., 9 settembre 2015, Ferreira da Silva e Brito e a., C-160/14, punti 38 e 39; Corte Giust., 28 luglio 2016, Association France Nature Environnement,C-379/15, punti da 47 a 50; Corte Giust., 4 ottobre 2018, Commissione/Francia, C-416/17, p.108; Corte Giust., 30 gennaio 2019, C-587/17 P, p.74).

Ma anche con riferimento alle ipotesi in cui sia un organo giurisdizionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno a verificare la ricorrenza o meno dell’obbligo di rinvio, deve escludersi che l’attivazione del rinvio implichi la devoluzione al giudice dell’Unione Europea del potere di decidere la controversia, proprio perchè il quesito pregiudiziale non può mai riguardare l’oggetto della controversia, ma unicamente l’interpretazione del diritto UE.

Anche in tale ultima evenienza spetta unicamente al giudice nazionale il compito di valutare se la corretta applicazione del diritto dell’Unione si imponga con un’evidenza tale da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio e, di conseguenza, di decidere se astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione che è stata sollevata dinanzi ad esso (v. Corte. 15 settembre 2005, Giust., Intermodal Transports, C-495/03, punto 37). La decisione se attivare o meno il rinvio pregiudiziale va dunque risolta dal giudice nazionale sotto la propria responsabilità (sentenza Cilfit e a., 283/81, punto 16; Corte Giust., 9 settembre 2015, C-72/14 e C-197/14, p.58).

Nè i superiori principi sono scalfiti da altro precedente reso da queste Sezioni Unite, ove si è ritenuto che costituisce motivo di ricorso attinente alla giurisdizione quello con il quale si denunzia che il Consiglio di Stato abbia esercitato i poteri inerenti alla giurisdizione esclusiva al di fuori dei casi in cui la legge lo consente, per avere esso invaso la sfera dei poteri riservati alla esclusiva competenza della Commissione Europea in materia di aiuti di stato dove non sono attribuiti poteri al giudice nazionale – Cass., S.U., 11 marzo 2020, n. 7012-.

In quel caso si trattava, infatti, di valutare se la situazione esaminata integrasse il superamento dei limiti esterni della giurisdizione per sconfinamento nella sfera riservata alla Commissione Europea e non si poneva la questione di sindacare l’omesso rinvio pregiudiziale.

In conclusione, la censura non mette in discussione profili relativi alla giurisdizione del giudice amministrativo, ma invoca, a torto, un inammissibile sindacato di queste Sezioni Unite circa i confini fra giurisdizione nazionale e Corte di Giustizia, che esorbita dal perimetro di cui all’art. 111 Cost., comma 8.

Nè può giungersi a soluzione di segno contrario a quella fin qui tratteggiata se ci si orienta a considerare la contestazione mossa dai ricorrenti alle motivazioni che il Consiglio di Stato ha espresso per sostenere di non essere tenuto a promuovere il rinvio pregiudiziale.

Ed infatti, la chiave prospettica così espressa omette di considerare che proprio l’esercizio dei poteri valutativi in ordine alla sussistenza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale operato dal Consiglio di Stato è devoluta, come si diceva, all’autorità giudiziaria nazionale all’interno dei suoi poteri decisori.

Certo, la ricorrente si duole che, per escludere la necessità del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, il Consiglio di Stato abbia utilizzato argomentazioni espresse dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, in tal modo discostandosi dagli insegnamenti espressi dalla medesima Corte di Giustizia e sopra riassunti.

Tuttavia, risulta ben evidente che tale contestazione non attiene al travalicamento del potere giurisdizionale conferito al giudice nazionale ma, semmai, alle modalità con le quali lo stesso è stato esercitato, pertanto fuoriuscendo dal perimetro del sindacato riservato a queste Sezioni Unite nell’ambito della verifica dell’eccesso di potere giurisdizionale.

Non compete dunque a queste Sezioni Unite verificare se il giudice amministrativo, ponendo a base della sua decisione la giurisprudenza della Corte edu – che pure peraltro la ricorrente aveva richiamato nell’atto di appello sul presupposto che la CEDU fosse inserita nell’ordinamento UE alla stregua dell’art. 6 TUE – abbia rettamente applicato la disciplina di cui all’art. 267 TFUE che ha indiscutibilmente tenuto in considerazione esprimendo le proprie ragioni, non risultando in questa sede necessario attardarsi sulla tipologia rimediale che l’ordinamento interno e quello UE apprestano in caso di violazione dell’obbligo del rinvio pregiudiziale.

Quanto detto esclude in radice il prospettato sconfinamento dalla giurisdizione del giudice amministrativo laddove questi avrebbe errato, stando a quanto prospettato dalla ricorrente, nel ritenere insussistente l’obbligo di rinvio pregiudiziale.

Nè le superiori conclusioni risultano lambite dalla recente ordinanza di rimessione alla Corte di Giustizia di un quesito pregiudiziale proposta da queste stesse Sezioni Unite (Cass., S.U., 18 settembre 2020, n. 19598), nella parte in cui è stato formulato alla Corte di Giustizia il seguente quesito: Se l’art. 4, par. 3, art. 19, par. 1 TUE e art. 267 TFUE, letti anche alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ostino alla interpretazione e applicazione dell’art. 111 Cost., comma 8, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e art. 362 c.p.c., comma 1, e art. 110 del codice processo amministrativo, quale si evince dalla prassi giurisprudenziale nazionale, secondo la quale il ricorso per cassazione dinanzi alle Sezioni Unite per “motivi inerenti alla giurisdizione”, sotto il profilo del cosiddetto “difetto di potere giurisdizionale”, non sia proponibile come mezzo di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato che, decidendo controversie su questioni concernenti l’applicazione del diritto dell’Unione, omettano immotivatamente di effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, in assenza delle condizioni, di stretta interpretazione, da essa tassativamente indicate (a partire dalla sentenza 6 ottobre 1982, Cilfit, C-238/81) che esonerano il giudice nazionale dal suddetto obbligo, in contrasto con il principio secondo cui sono incompatibili con il diritto dell’Unione le normative o prassi processuali nazionali, seppure di fonte legislativa o costituzionale, che prevedano una privazione, anche temporanea, della libertà del giudice nazionale (di ultimo grado e non) di effettuare il rinvio pregiudiziale, con l’effetto di usurpare la competenza esclusiva della Corte di giustizia nella corretta e vincolante interpretazione del diritto comunitario, di rendere irrimediabile (e favorire il consolidamento dell’eventuale contrasto interpretativo tra il diritto applicato dal giudice nazionale e il diritto dell’Unione e di pregiudicare la uniforme applicazione e la effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive derivanti dal diritto dell’Unione.

Tale richiesta di dialogo con la Corte UE, inserita in un più ampio contesto nel quale è stato chiesto di verificare anche la conformità della giurisprudenza di queste Sezioni Unite che, all’indomani della sentenza n. 6/2018 della Corte costituzionale, hanno escluso, in sede di verifica del potere giurisdizionale ai sensi dall’art. 111 Cost., comma 8, il proprio sindacato rispetto alle prospettate violazioni del diritto UE nelle quali sarebbe incorso il giudice speciale, non assume alcun rilievo nell’ambito dell’odierno giudizio, in cui il giudice speciale non ha affatto omesso immotivatamente di effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ma ha al contrario motivatamente escluso la ricorrenza dei presupposti per il rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE.

E ad ulteriormente differenziare in modo marcato la vicenda qui all’esame delle Sezioni Unite rispetto a quella affrontata in via interlocutoria dalla ricordata ordinanza n. 19598/2020 sta la circostanza che la richiesta di chiarimento ha in quel caso riguardato esclusivamente le ipotesi di palese violazione del diritto UE eventualmente poste a base del ricorso per eccesso di potere giurisdizionale; ipotesi qui non ricorrente proprio per la circostanza che la società Aernova non ha posto in discussione, in questa sede, l’erroneità della decisione impugnata sotto il profilo della violazione di parametri utilizzati dal giudice amministrativo rispetto al diritto UE, limitandosi a prospettare il travalicamento della giurisdizione della Corte di Giustizia nella quale sarebbe incorso il giudice speciale per non avere attivato il rinvio pregiudiziale.

Sulla base di tali considerazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso dichiarato inammissibile è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo alla ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la rispettiva impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso rispettivamente proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nelle Sezioni Unite civili, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2020

 

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