Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24105 del 26/09/2019

Cassazione civile sez. II, 26/09/2019, (ud. 03/04/2019, dep. 26/09/2019), n.24105

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19653/2015 proposto da:

O.R.M., rappresentata e difesa dall’Avvocato GIUSEPPE

LENTINI, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in

PALERMO, VIA MARCHESE UGO 26;

– ricorrente –

contro

C.C., rappresentata e difesa dall’Avvocato

C.I. ed elettivamente domiciliata in ROMA, presso la Cancelleria

della Corte di Cassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 973/2014 della CORTE di APPELLO di PALERMO,

pubblicata il 9/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

3/04/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione, notificato in data 5.8.2004, C.C. conveniva in giudizio O.R.M. esponendo di essere proprietaria di un fabbricato in (OMISSIS), confinante con quello della convenuta; che quest’ultima, nel ricostruirlo, stava realizzando una finestra prospiciente il tetto del fabbricato di sua proprietà, che trovava titolo nell’atto di costituzione di servitù del 19.5.1953, estinta per prescrizione ultraventennale, ai sensi degli artt. 1703 e 1704 c.c.. Ciò premesso, chiedeva accertarsi l’illegittimità dell’opera con condanna della convenuta alla sua eliminazione.

Si costituiva in giudizio la convenuta, rilevando che la scrittura privata del 1953 le avrebbe concesso solo il diritto di “ampliare a suo piacimento le dimensioni della finestra esistente purchè l’ampliamento fosse avvenuto dalla parte sud della finestra” e che tale ampliamento era stato concesso a fronte della reciproca concessione del diritto di “costruire l’area sovrastante il magazzino (OMISSIS)”. Precisato che la servitù concessa per patti privati fosse limitata al solo ampliamento e non già all’apertura della veduta già esistente, la convenuta contestava che fosse trascorso il termine ventennale di prescrizione, giacchè, anche successivamente al sisma del 1968, l’immobile, pur gravemente danneggiato, era stato utilizzato come deposito di prodotti per l’agricoltura con la contestuale utilizzazione della veduta.

Con sentenza n. 207/2008, il Tribunale di Sciacca rigettava la domanda, con condanna della attrice alle spese, ritenendo non raggiunta la prova del mancato uso della veduta e provato che questa fosse stata utilizzata dalla convenuta.

Contro detta sentenza proponeva appello la C., mentre la O. si costituiva in giudizio resistendo al gravame.

Con sentenza n. 973/2014, depositata in data 9.6.2014, la Corte d’Appello di Palermo, in accoglimento della domanda dell’appellante e in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava l’estinzione della servitù di veduta di cui all’atto di costituzione di servitù del 29.5.1953 per intervenuta prescrizione e condannava la O. al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione O.R.M. sulla base di quattro motivi; resiste la C. con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, la ricorrente lamenta l'”Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”. Il fatto decisivo consisterebbe nella preesistenza della finestra per cui è causa rispetto alla scrittura privata del 29.5.1953, erroneamente ritenuta da controparte quale fonte del diritto in contestazione. La ricorrente deduce che detta preesistenza rispetto al patto di ampliamento era stata indicata ed eccepita nella comparsa di risposta di primo grado, nelle note istruttorie del 22.5.2005, in conclusionale e negli atti del giudizio d’appello.

1.2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione di legge con riferimento agli artt. 832 e 905 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, giacchè la Corte d’appello non poteva ritenere che la fonte del diritto risiedesse nella scrittura privata del 1953 e che si trattasse perciò di servitù di veduta soggetta a prescrizione, dovendo limitarsi a considerare il solo ampliamento della veduta quale diritto nascente dalla concessione del vicino e, come tale, vera e propria servitù; così evitando di affermare come erroneamente prescritto non già il diritto ad ampliare la finestra, ma il diritto stesso all’esistenza della medesima.

2. – Per ragioni di connessione il primo ed il secondo motivo vanno congiuntamente trattati.

2.1. – I due motivi sono fondati.

2.2. – La Corte d’appello fonda la decisione di riformare la sentenza di primo grado (e quindi di dichiarare l’estinzione della servitù di veduta, “di cui all’atto di costituzione di servitù del 29.5.1953”, per intervenuta prescrizione: v. dispositivo sentenza impugnata) ritenendo provato l’assunto dell’appellante (odierna controricorrente) secondo cui il fabbricato nel quale è ubicata la finestra in questione (e dalla quale si esercita la servitù di veduta asseritamente prescritta) non fosse stato più abitato dopo il terremoto del 1968, per le sue pessime condizioni.

Così decidendo, la Corte non tiene in alcun conto la circostanza della preesistenza della finestra de qua rispetto alla scrittura privata del 1953, erroneamente ritenuta la fonte del diritto in contestazione, con la quale (testualmente) “I coniugi V. – C. danno il diritto alla signora M.C. di poter ampliare a suo piacimento le dimensioni della finestra esistente, restando bene inteso che l’ampliamento dovrà avvenire dalla parte sud della finestra” (v. ricorso, pag. 6).

La scrittura privata prevedeva, dunque, solo il diritto di ampliare la finestra, per cui l’eventuale affermazione della prescrizione avrebbe potuto eventualmente riguardare la servitù di ampliamento di veduta, ma non già l’esistenza della veduta stessa, che, non trovando la sua fonte nella citata convenzione, in quanto ad essa preesistente, costituiva estrinsecazione del diritto di proprietà, in capo alla ricorrente, dell’appartamento dove essa era collocata, così da considerarsi imprescrittibile.

Orbene, il fatto storico della preesistenza della finestra rispetto al patto di ampliamento della stessa risulta correttamente eccepito – in coerenza ai dicta delle Sezioni Unite (Cass. sez. un. 8053 e n. 8054 del 2014) e nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, secondo cui la parte, per contestare un vulus al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve specificamente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017) – nella comparsa di costituzione e risposta in primo grado (pag. 2), nelle note istruttorie del 22.3.2005 e nella comparsa conclusionale (pag. 2); nonchè nel giudizio di appello nella comparsa di risposta ed in quella conclusionale(pag. 2). Nonostante ciò, la Corte distrettuale non l’ha esaminato, neppure per implicito.

2.3. – Peraltro, va anche tenuta distinta la veduta quale diritto esercitato iure proprietatis dalla veduta quale diritto esercitato iure servitutis. Nella fattispecie, la circostanza che la veduta posta al primo piano dell’abitazione della ricorrente preesistesse alla scrittura de qua si configura quale elemento (non esaminato dalla Corte distrettuale) da cui evincere che si trattasse di veduta nata con la costruzione originaria dell’immobile. Pertanto, trattandosi di diritto di veduta goduto iure proprietatis, esso risulta imprescrittibile in quanto estrinsecazione del diritto di proprietà, come definito dall’art. 832 c.c., come tale in sè non comprimibile.

3.1. – Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta l'”Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, là dove la Corte di merito avrebbe dovuto dichiarare la prescrizione del diritto di servitù ove avesse considerato, come ulteriore fatto decisivo per il giudizio già discusso tra le parti, l’utilizzo del primo piano di proprietà della O. come deposito di prodotti per l’agricoltura (fatto diverso dalla agibilità dell’edificio).

3.2. – Con il quarto motivo, la ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione di legge con riferimento all’art. 1073 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, in quanto tutti i documenti utilizzati dalla Corte d’Appello per asseverare la prescrizione non sono databili oltre il ventennio; cosicchè la dichiarazione di prescrizione è avulsa da altra prova che non sia un riferimento a data incerta, quale può essere quella riconducibile a un generico effetto di agenti atmosferici uniti a un risalente sisma.

4. – Sempre per ragioni di connessione anche il terzo ed il quarto motivo vanno congiuntamente trattati.

4.1. – I motivo sono inammissibili; risentendo essi peraltro dell’accoglimento dei primi due motivi.

4.2. – La ricorrente si duole che la Corte distrettuale abbia esaminato solo i mezzi istruttori rilevanti in tema di accertamento dell’agibilità del fabbricato (verbali e sopralluoghi dei funzionari del Comune, richieste di concessioni edilizia, tutti, peraltro, entro il ventennio), nonchè i documenti per asseverare la prescrizione. Ma ciò senza considerare i mezzi istruttori relativi all’uso dell’immobile (testi D.C. e Va., i quali hanno dichiarato l’esistenza, fino alla demolizione del fabbricato O., avvenuta nel 1985, di una finestra nella parte prospiciente il tetto del fabbricato di proprietà C., oltre a confermare l’utilizzo dell’immobile di proprietà O. come deposito di prodotti agricolo e l’uso continuativo della finestra in oggetto come unico mezzo di aerazione).

4.3. – Sotto un primo profilo, è consolidato il principio secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016). Sono infatti riservate al Giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, per cui è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il Giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo Giudice (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013; Cass. n. 1554 del 2004).

Ed è altresì pacifico che il difetto di motivazione censurabile in sede di legittimità è configurabile solo quando dall’esame del ragionamento svolto dal Giudice di merito e quale risulta dalla stessa sentenza impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre a una diversa decisione (che si è ravvisata con riferimento all’accoglimento dei primi due motivi), ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza del processo logico che ha indotto il Giudice al suo convincimento, ma non già quando vi sia difformità rispetto alle attese del ricorrente (Cass. n. 13054 del 2014).

4.4. – Inoltre, va rilevato che la censura si risolve, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando i ricorrenti di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018).

Come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).

5. – Il terzo ed il quarto motivo di ricorso vanno dunque rigettati. Viceversa vanno accolti il primo ed il secondo motivo; conseguentemente, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Palermo, altra sezione, che provvederà anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente grado di giudizio.

PQM

La Corte rigetta i motivi terzo e quarto di ricorso. Accoglie il primo ed il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Palermo, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019

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