Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24105 del 07/09/2021

Cassazione civile sez. III, 07/09/2021, (ud. 17/03/2021, dep. 07/09/2021), n.24105

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 32055/19 proposto da:

-) E.E., elettivamente domiciliato a Vigevano, via San

Giacomo n. 7/2, presso l’avvocato Paola Moscatelli, che lo difende

in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Milano 24.9.2019 n. 7519;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17 marzo 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. E.E., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

A fondamento della domanda dedusse i seguenti fatti: nel quadro di una lotta tra bande rivali di adolescenti, il proprio fratello venne ucciso. Per vendetta, insieme ai propri sodali egli uccise uno dei presunti responsabili. In conseguenza di questo fatto venne arrestato e processato, ma assolto perché i propri genitori corruppero con del denaro la polizia.

Dopo questi fatti decise di allontanarsi dalla “banda” cui aveva in precedenza aderito, ma gli altri membri di questa non gradirono il suo allontanamento e per questa ragione lo aggredirono e percossero. In esito a queste vicende l’odierno ricorrente decise di lasciare il proprio paese alla volta dell’Italia.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

2. Avverso tale provvedimento E.E. propose, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Milano, che la rigettò con decreto 24 settembre 2019.

Il Tribunale ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) non potessero essere concessi perché il racconto del richiedente era inattendibile;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) non potesse essere concessa, perché nel Paese di provenienza del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 non potesse essere concessa in quanto il richiedente non presentava alcuna condizione di vulnerabilità.

3. Tale decreto è stato impugnato per cassazione da E.E. con ricorso fondato su tre motivi.

Il Ministero dell’interno non ha notificato controricorso, ma solo depositato un “atto di costituzione”, al fine di partecipare all’eventuale discussione in pubblica udienza.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Rileva preliminarmente la Corte che il ricorso è stato notificato irritualmente all’Avvocatura Distrettuale dello Stato, in luogo che all’avvocatura Generale.

Tuttavia poiché, per quanto si dirà, esso è manifestamente infondato, è superfluo provvedere ai sensi dell’art. 291 c.p.c. ordinando la rinnovazione della notifica.

2. Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3. Sostiene che il Tribunale avrebbe violato la suddetta norma per avere ritenuto inattendibile il racconto da lui posto a fondamento della domanda di protezione.

2.1. Il motivo è innanzitutto inammissibile per carenza di interesse, ex art. 100 c.p.c..

L’odierno ricorrente ha affermato di avere commesso nel proprio paese un omicidio, e poi di aver corrotto dei pubblici ufficiali.

Il tribunale non l’ha creduto, ed egli si duole in questa sede di non essere stato creduto.

Il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 10, comma 2, lett. (b), esclude che possa essere riconosciuta la protezione internazionale a chi “abbia commesso al di fuori del territorio italiano (…) un reato (per il quale la legge italiana preveda una) pena (…) non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni”. Orbene, l’omicidio semplice è punito dall’art. 575 c.p. con la reclusione non inferiore ad anni 21; mentre per la corruzione in atti giudiziari il corruttore è punito dall’art. 321 c.p. (che rinvia all’art. 319 ter c.p.) con la reclusione non inferiore nel minimo a sei anni.

Le stesse regole sono dettate dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 16, comma 1, lett. b), con riferimento alla protezione sussidiaria.

Nel caso di specie, pertanto, delle due l’una:

-) se fosse corretta la valutazione con cui il tribunale ha ritenuto inverosimile il racconto dell’odierno ricorrente, il motivo sarebbe ovviamente infondato;

-) se per contro quella valutazione fosse scorretta, il ricorrente proprio per questa ragione non potrebbe pretendere né il riconoscimento del diritto di asilo, né della protezione sussidiaria ai sensi del combinato disposto dei ricordati D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 10 e 16.

2.2. In ogni caso, rileva ad abundantiam questa Corte che il motivo è manifestamente inammissibile perché censura un tipico apprezzamento di fatto, quale è lo stabilire se una persona sia sincera o insincera.

Ne’ sussiste alcuna violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, in quanto il Tribunale ha ampiamente esposto le ragioni per le quali è pervenuto al giudizio di inattendibilità, in modo coerente con le indicazioni del suddetto art. 3.

3. Col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2 e 14.

Deduce il ricorrente che erroneamente il Tribunale ha escluso la sussistenza, in (OMISSIS), di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato.

3.1. Il motivo è infondato.

il Tribunale, infatti, ha dato ampiamente conto delle fonti dalle quali ha tratto le proprie conclusioni circa la insussistenza, nel Paese di provenienza del ricorrente, delle condizioni legittimanti la sua richiesta di protezione, di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c).

Col terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6.

Il motivo investe la sentenza di merito nella parte in cui ha rigettato la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il ricorrente dopo aver illustrato i principi che presiedono alla concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari (pagine 12-14), con riferimento al caso specifico deduce di essere stato assunto, per il periodo di tre mesi, come parrucchiere, e che comunque alla scadenza di tale contratto “vi è la concreta possibilità che venga rinnovato”.

Muovendo da questa allegazione in fatto, il ricorrente deduce che in caso di rimpatrio “si determinerebbe una sicura compromissione del diritto alla vita privata con un incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali”.

4.1. Il motivo è inammissibile, e lo è per vaie ed indipendenti ragioni.

In primo luogo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 6: il ricorrente, infatti, fa riferimento ad un rapporto di lavoro documentato da atti dei quali non riferisce né il contenuto, né quando siano stati prodotti in giudizio, né a quale fascicolo siano allegati e con quale numerazione.

4.2. In secondo luogo il motivo è inammissibile per il suo ermetismo: non è dato infatti comprendere per quale ragione, secondo la logica della difesa del ricorrente, avendo questi svolto in Italia per tre mesi il lavoro di parrucchiere, tornando in (OMISSIS) subirebbe una “sicura compromissione del diritto alla vita privata”.

4.3. In ogni caso il motivo sarebbe infondato perché il ricorrente invoca, a fondamento di esso, una regula iuris inesistente.

Il ricorrente, infatti, in sostanza deduce che deve ritenersi “vulnerabile”, per i fini di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, e avrebbe per ciò solo diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, colui il quale dimostri di svolgere attività lavorativa in Italia.

Ma un principio di diritto siffatto non esiste nella legge scritta, né è stato mai da questa Corte ricavato in via interpretativa.

Questa Corte ha, al contrario, già più volte affermato che lo svolgimento di attività lavorativa nel nostro Paese, da solo, non costituisce una ragione sufficiente per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, per più ragioni:

-) perché la legge non stabilisce alcun automatismo tra lo svolgimento in Italia di attività lavorativa e la sussistenza di una condizione di “vulnerabilità”;

-) perché il permesso di soggiorno per motivi umanitari è una misura temporanea, mentre lo svolgimento di attività lavorativa, in particolare a tempo indeterminato, legittimerebbe un permesso di soggiorno sine die;

-) perché la “vulnerabilità” richiesta ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 non può ravvisarsi nel mero rischio di regressione a condizioni economiche meno favorevoli (ex multis, Sez. 1, Ordinanza n. 17832 del 3.7.2019; Sez. 1, Ordinanza n. 17287 del 27.6.2019).

Lo svolgimento di attività lavorativa in Italia, per contro, può essere solo uno dei fattori indizianti che, valutati unitamente a tutte le altre circostanze del caso concreto, può dimostrare la sussistenza di una condizione di vulnerabilità del richiedente asilo.

4. Non occorre provvedere sulle spese del presente giudizio, non essendovi stata difesa delle parti intimate.

PQM

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2021

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