Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24100 del 17/11/2011

Cassazione civile sez. II, 17/11/2011, (ud. 13/10/2011, dep. 17/11/2011), n.24100

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4005-2006 proposto da:

MOVITER SUD SPA P.I. (OMISSIS) IN PERSONA DEL SUO RAPPRESENTANTE

LEGALE PRO TEMPORE A.A.A., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato

SERRANI TIZIANA STUDIO PESSI & ASSOCIATI, rappresentata e

difesa

dall’avvocato SPINELLI MARIO;

– ricorrente –

contro

P.F. C.F. (OMISSIS), D.L.

C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEL

TRITONE 102, presso lo studio dell’avvocato NANNA VITO, rappresentati

e difesi dagli avvocati SPAGNOLO VINCENZO, SPAGNOLO ATTILIO;

D.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEL TRITONE 102, presso lo studio

dell’avvocato NANNA VITO, rappresentato e difeso dagli avvocati

LANZELLOTTO MARIA, SPAGNOLO GIUSEPPE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1030/2005 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 28/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI PICCIALLI;

udito l’Avvocato Spinelli Mario difensore della ricorrente che ha

chiesto di riportarsi agli atti ed insiste sull’accoglimento del

ricorso;

udito l’Avv. Lanzellotto Maria e Spagnolo Attilio difensori dei

controricorrenti che hanno chiesto il rigetto delle domande della

Società ricorrente;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 20.10.90 la società Moviter Sud s.p.a citò al giudizio del Tribunale di Bari D.G., P. F. e D.L., esponendo: che il primo, con scrittura privata del 26.9.87, gli aveva venduto un appartamento con sovrastante terrazzo, sito in (OMISSIS), di cui disponeva perchè promessogli in vendita da L.A. ed I., per il prezzo di L. 164.480.000, pagato a mezzo di effetti cambiari, con scadenza fino al 28.2.88, con previsione di stipula dell’atto pubblico al 30.6.88 e con trasferimento immediato del possesso; che l’immobile era stato oggetto di opere di miglioramento, anche al fine di unificarlo ad un contiguo appartamento già appartenente all’esponente; che successivamente ed inopinatamente l’immobile suddetto era stato oggetto di un fittizio atto di compravendita del 4.6.90, con il quale P.F. e D.L., moglie la prima e figlia la seconda di D.G., figuravano averne acquistato, per il prezzo di L. 43.000.000, rispettivamente l’usufrutto e la nuda proprietà.

Su tali premesse la società attrice chiese accertarsi la simulazione, per interposizione fittizia, di quest’ultimo negozio e, conseguentemente, di chi ararsi trasferito in proprio favore, o comunque trasferire ex art. 2932 c.c, l’immobile suddetto, con condanna del D. al risarcimento dei danni o comunque a tenerla indenne per l’ipotesi di evizione, o, in subordine, dei convenuti a restituire l’importo del prezzo, al rimborso dell’indennità per i miglioramenti, con diritto dell’attrice alla ritenzione, nonchè al risarcimento dei danni, anche ex art. 96 c.p.c. Costituitisi, prima la P. e la D., poi il D., contestarono, per quanto di rispettivo interesse, ogni avversa domanda, disconoscendo, in particolare, sia la conformità della fotocopia, prodotta dall’attrice, all’assunta scrittura privata da quella invocatala l’autenticità della relativa sottoscrizione;in via riconvenzionale le prime due chiesero la condanna dell’attrice al rilascio dell’immobile, con risarcimento dei danni, lamentandone l’arbitrario e clandestino impossessamento da parte avversa.

L’immobile controverso veniva, su richiesta delle convenute, sottoposto a sequestro giudiziario, ed affidato alla custodia, prima delle istanti e, successivamente dietro cauzione di L. 500.000, dell’attrice. Si procedeva a consulenza tecnica di ufficio ed, a seguito della dichiarazione di fallimento della società attrice, ad interruzione e riassunzione del processo, con conseguente costituzione della curatela, che faceva proprie le posizioni della società fallita. Con sentenza non definitiva del 4/23.3.03 il G.O.A della “sezione stralcio” dell’adito tribunale, rigettata ogni altra domanda della parte attrice, ne accoglieva soltanto, nei confronti del solo D.G., quella di restituzione della somma di L. 164.800.000, e nei confronti di tutti, quella di condanna all’indennità per i miglioramenti e le addizioni, rimettendone la quantificazione al prosieguo del giudizio, accoglieva le riconvenzionali di rilascio, previo ripristino e separazione dell’immobile da quello contiguo, e quella di risarcimento dei danni da parte della curatela in favore della P., liquidandoli in misura di Euro 310, 00 mensili a partire dal 1.10.96, dichiarando tuttavia improcedibile l’analoga domanda per la precedente occupazione da parte della società fallita.

La curatela proponeva appello, cui resistevano gli appellati, proponendo a loro volta rispettivi gravami incidentali;

l’esecutorietà della sentenza impugnata veniva sospesa con ordinanza confermata dal collegio; successivamente, a seguito della chiusura del fallimento e della riassunzione da parte delle appellateci costituiva la società Moviter s.p.a., tornata in bonis, facendo proprie le posizioni assunte dalla curatela.

Con sentenza del 14/28.10.05 la Corte di Bari, respingeva l’appello principale ed, in accoglimento, per quanto di ritenuta ragione di quelli incidentali, in riforma della gravata sentenza, determinava in Euro 798, 89 mensili, oltre interessi e rivalutazione monetaria, a partire dal 27.9.96, la misura del risarcimento dei danni dovuti dalla società Moviter Sud alla P., escludeva dall’indennità per i miglioramenti e le addizioni dovuta alla società le spese per le opere destinate alla demolizione e per quelle meramente voluttuarie, per il resto assolvendo dal relativo obbligo di pagamento il D., rigettava la domanda di condanna di quest’ultimo alla restituzione della somma di L. 164.480.000, condannava, infine, la società Moviter Sud al rimborso delle rispettive spese del grado sostenute dalle controparti.

La corte di merito confermava l’essenziale ragione reiettiva delle domande attrici, nella mancata produzione in originale della scrittura privata, la cui fotocopia era stato oggetto del duplice disconoscimento, ex art. 2719 c.c. e art. 214 c.p.c., omissione che oltre a comportare la mancata prova, richiesta ad substantiam, dell’acquisto o comunque del diritto al trasferimento ex art. 2932 c.c. della proprietà dell’immobile, rendeva priva d’interesse la domanda diretta all’accertamento della simulazione della compravendita intervenuta tra le L., la P. e la D., al cui riguardo, peraltro svolgeva anche considerazioni in ordine alla ritenuta scarsa consistenza degli argomenti di prova addotti.

Tale carenza probatoria, non rimediabile con prove testimoniali o presuntive ex artt. 2725 e 2729 c.c., di cui non venivano ravvisate le condizioni nelle deduzioni e richieste di prova, ritenute generiche, al riguardo esposte, nè con l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., inammissibile in difetto di certezza dell’esistenza del documento, induceva i giudici di appello a respingere anche la richiesta, in primo grado accoltaci restituzione del prezzo asseritamente pagato, considerando al riguardo insufficiente la produzione sia degli effetti cambiari, attesa l’astrattezza dei titoli, sia l’indicazione degli esborsi nelle scritture contabili della società, non facenti prova contro i terzi e, comunque, non riportanti le causali dei pagamenti. Quanto alle ulteriori questioni, ancora rilevanti nella presente sede, la corte riteneva: di confermare l’esclusione di alcun vincolo di solidarietà, circa le obbligazioni di rimborso, tra il D. e la moglie e la figlia, per insussistenza di alcun elemento comprovante il concorso ed inconsistenza della tesi sull’accordo simulatorio;di confermare, altresì, l’esclusione del diritto della società a ritenere il bene, fino al pagamento delle suddette indennità, per insussistenza della qualità di possessore in buona fede ed impossibilità di applicazione analogica dell’istituto della ritenzione; di dover anche confermare, stante l’assenza di alcun titolo a possedere, la spettanza del diritto dell’usufruttuaria P. al risarcimento del danno, da ritenersi in re ipsa, per il mancato godimento dell’immobile; che, in mancanza delle condizioni per liquidazione equitativa, tale danno andava parametrato, sulla scorta dell’attendibile stima peritale operata in sede fallimentare, al canone in regime di libero mercato e, pertanto, liquidatogli accoglimento dell’appello incidentale, nella maggiore somma di Euro 798, 89 mensili; che, infine, l’obbligo del rimborso per le spese ed i miglioramenti, apportati dalla società all’immobile, dovesse gravare soltanto sulla proprietaria e sull’usufruttuaria, che ne avevano tratto vantaggio, e non anche sul D., che non avendo alcuna diritto sul bene, nessun beneficio ne aveva ricavato.

Avverso la suddetta sentenza la società Moviter Sud ha proposto ricorso per cassazione affidato ad otto motivi, illustrati con successiva memoria.

Hanno resistito con rispettivi controricorsi il D. e, congiuntamente, la P. e la D., depositando questi ultimi memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve anzitutto essere esaminato, per priorità logico – giuridica rispetto ai rimanenti, il secondo motivo di ricorso, con il quale si censura, per violazione degli artt. 2711, 2724, 2727, 2729 e 1401 e segg. cod. civ., art. 210 c.p.c., art. 94 disp. att. c.p.c., insufficiente e contraddittoria motivazione, la mancata ammissione delle prove orali con le quali si sarebbe voluto dimostrare sia l’esistenza e la perdita incolpevole dell’originale della scrittura privata, la cui prodotta fotocopia era stata oggetto del duplice disconoscimento da parte avversaria la simulazione del contratto di compravendita stipulato tra le L., la P. e la D..

Si sostiene tra l’altro e segnatamente, quanto al primo e pregiudiziale profilo, che l’originale del contratto in questione sarebbe stato depositato dalla società Moviter Sud presso il Comune di (OMISSIS), in occasione della presentazione di un progetto di variante alla concessione edilizia n. (OMISSIS) per l’unificazione di due contigui appartamenti (uno dei quali quello in contestazione), variante che sarebbe stata poi accordata con la concessione n. (OMISSIS), “sulla base dell’atto di vendita 26.9.1987, regolarmente acquisito agli atti”, ma che tale documento successivamente “non fu più reperito nella pratica comunale”; si lamenta, conseguentemente, la mancata ammissione dell’articolata (e riportata) prova testimoniale su tali circostanze, pur in cospetto degli estremi di cui all’art. 2725 in rel. all’art. 2724 c.c., n. 3.

La doglianza è infondata, alla luce del principio costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ad integrare la circostanza contemplata dalla citata disposizione, quale eccezione all’inammissibilità della prova testimoniale, è necessario che la parte istante dimostri che la propria condotta nella conservazione del documento sia stata immune da imprudenza e negligenza e caratterizzata dall’adozione di ogni ragionevole cautela, rapportata alla particolarità del caso (tra le altre, v.

Cass. nn. 23288/05, 3059/02, 43/98, 2017/94). Nel caso di specie, ove lo smarrimento si fosse verificato con le modalità e nelle circostanze dedotte nell’articolata prova, risulterebbe anzitutto contrario alle più elementari regole di diligenza nella gestione dei propri affari l’essersi privata dell’unico assunto originale di un documento, di rilevante importanza giuridico – economica, senza averne preventivamente formato una copia autentica, l’averlo poi depositato a corredo di una pratica, sia pure presso un ufficio pubblico, senza farsi rilasciare un’attestazione al riguardo o, quanto meno, una distinta della documentazione allegata all’istanza edilizia, menzionante anche ratto, ed, infine, a seguito del successivo assunto mancato reperimento (di cui non vengono meglio specificate le circostanze), omesso di presentare una formale istanza di restituzione all’ufficio presso cui lo stesso era stato prodotto, istanza al cui riscontro la P.A. non avrebbe potuto, in un modo o nell’altro, sottrarsi, tanto meno nell’ipotesi in cui – ma la circostanza neppure viene dedotta nel mezzo d’impugnazione – la concessione in variante, che la società assume aver conseguito, avesse contenuto un’ espressa menzione del contratto de quo, quale titolo legittimante la relativa richiesta.

Nè può scindersi, come pur pretenderebbe la ricorrente, la posizione della curatela del fallimento (che non avrebbe reperito tra gli atti e la corrispondenza della fallita scrittura in questione) ai fini della valutazione dell’elemento psicologico della dedotta amissio, atteso che la medesima era subentrata nel giudizio (per poi uscirne dopo il ritorno in bonis) alla parte attrice nella medesima posizione processuale e sostanziale, così restando soggetta alle stesse limitazioni probatorie al riguardo.

Correttamente, pertanto, la corte di merito ha disatteso la richiesta di prova orale, diretta alla dimostrazione dell’esistenza di un contratto (fosse esso preliminare o definitivo), comunque esigente, ex art. 1350 c.c., n. 1 o art. 1351 c.c. la forma scritta ad substantiam, non ricorrendo l’ipotesi eccezionale di cui all’art. 2724 c.c., n. 3, la sola richiamata dall’art. 2724 con riferimento a siffatti negozi; conseguentemente rimaneva anche esclusa, attesa l’equiparazione contenuta nell’art. 2729 c.c., anche ogni possibilità di far ricorso ad elementi di prova presuntiva. Le suesposte considerazioni comportano il reiettivo assorbimento delle doglianze, anche contenute nel secondo motivo, relative alla mancata ammissione delle prove orali, ivi compreso l’interrogatorio formale, nella parte diretta a dimostrare l’assunta simulazione della compravendita L. – D. – P., per la carenza, correttamente evidenziata dai giudici di merito, di alcun titolo idoneo a giustificare l’interesse della società attrice, sia pure quale terza, a far dichiarare la natura fittizia dell’atto in questione, dacchè, una volta rimasto indimostrato il diritto di proprietà, o quello di conseguirlo ex art. 2932 c.c., in capo alla società, nessun vantaggio giuridicamente apprezzabile agli effetti dell’art. 100 c.p.c. potrebbe alla medesima derivare dall’accertamento in questione.

Restano, del pari, travolti dalla pronunziata reiezione del secondo mezzo: a) il primo motivo, censurante sotto vari profili ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 la mancata dichiarazione della simulazione, in quanto attinente ad una ratio decidendi palesemente subordinata; b) il terzo, con il quale si lamenta la mancata estensione del contraddittorio alle L., asserite simulate alienanti prevalendo la rilevata carenza d’interesse, radicalmente inficiante l’azione, rispetto alla dedotta non integrità del relativo contraddittorio; c) il quarto, con il quale si lamenta l’esclusione della solidarietà della D. e della P. con il D. ai fini della condanna alla restituzione della somma di L. 164.800.000 che si assume versata, essendo stata la relativa corresponsabilità dedotta quale conseguenza dell’accordo simulatorio; d) il quinto, con cui si lamenta il mancato riconoscimento alla società del diritto alla “ritenzione” dell’immobile, presupponendo la relativa pretesa la qualità di “possessore in buona fede”, sulla base di un titolo rimasto indimostrato (e peraltro, ove costituito da contratto preliminare, comunque non idoneo a trasferire il possesso, a termini di S.U. n. 7930/08); e) il sesto, nella parte in cui censura, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1147 c.c. e per non meglio precisati vizi di motivazione, la subita condanna al risarcimento dei danni per l’indebita occupazione dell’immobile, che si contesta, quanto all’an debeatur, sull’assunto, rimasto tuttavia indimostrato, della sussistenza del possesso in buona fede, derivante dal titolo contrattuale, assenza sulla base della quale correttamente il danno è stato ravvisato in re ipsa, quale conseguenza di una detenzione senza titolo ad oggetto di un bene naturalmente produttivo di reddito, quale deve ritenersi un immobile abitativo, della cui percezione è stata privata la P., titolare del diritto di usufrutto sullo stesso.

Quest’ultimo mezzo d’impugnazione, che per il resto deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., L. n. 392 del 1978, art. 12 e segg., art. 115 c.p.c., insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere ingiustificatamente liquidato detto danno, sulla base della “scienza privata del giudice”, in base ad un “preteso canone di mercato”, va anche in tale parte respinto, considerato che il parametro locatizio è quello più rispondente, per costante giurisprudenza, in tema di quantificazione del pregiudizio derivante dalla mancata percezione di un reddito immobiliare. La stima è stata, nella specie determinato, con riferimento alle quotazioni correnti del mercato, sulla base di specifiche risultanze attinte dal procedimento fallimentare, nel corso del quale si era proceduto alla relativa valutazione, così attingendo la relativa prova non da cognizioni private del giudice o da apodittiche affermazioni della parte – che producendo detta stima non era rimasta inerte sul piano probatorio – bensì da una fonte obiettiva ed attendibile (tenuto conto delle finalità di interesse collettivo perseguite nei procedimenti concorsuali), senza che il giudice fosse necessariamente tenuto all’espletamento di una consulenza tecnica, essendo insindacabile il relativo potere di disporla e ben potendo, in assenza di un principio di tassatività dei mezzi di prova, il medesimo avvalersi di accertamenti peritali svolti in altri giudizi.

Nè merita accoglimento, infine, la doglianza secondo cui il parametro avrebbe dovuto essere necessariamente rapportato al virtuale “equo canone” dovuto “per legge”, attesa la risalenza del possesso ad epoca anteriore all’entrata in vigore delle norme sui cd.

“patti in deroga”, per la sua genericità, non venendo in essa precisato quale sarebbe stata, in concreto e con riferimento allo sviluppo temporale della detenzione de qua, tale diversa misura e quale l’eventuale divario tra la stessa e quella determinata nella recepita stima.

Con il settimo motivo si censura, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1150 c.c., art. 12 disp. gen., art. 115 c.p.c., insufficiente e contraddittoria motivazione, in quanto priva di riscontro “testuale e logico” e basata su “sporadica tesi dottrinaria”, la statuizione escludente dal rimborso delle spese per miglioramenti e addizioni, dovuto alla società dalle controparti dalla P. e dalla D., quelle voluttuarie.

Si assume, in particolare, che limitandosi le disposizioni contenute nell’art. 1150 c.c., commi 1 e 2 a prevedere, rispettivamente, la rimborsabilità delle spese straordinarie e la condizione della sussistenza dei miglioramenti al tempo della restituzione, la distinzione operata dai giudici di appello sarebbe stata ingiustificata.

La tesi è infondata, considerato, che l’articolo citato, al primo comma, non prevede indiscriminatamente tutte le “spese” straordinarie, ma soltanto quelle occorse per le riparazioni che tale carattere rivestano.

Quanto all’indennizzo di cui al secondo comma, lo stesso attiene ai miglioramenti apportati alla cosa posseduta, in buona o in mala federale a dire a quegli interventi che siano tali da incrementarne obiettivamente l’intrinseco valore, sicchè al riguardo non possono assumere alcun rilevanza gli apporti rispondenti a finalità meramente voluttuarie, che in quanto soggettive e correlate al gradimento del possessore, vale a dire a criteri che ben potrebbero essere non condivisi dall’avente diritto alla restituzione, non potendo a quest’ultimo essere imposti, devono ritenersi non meritevoli di tutela indennitaria.

Con l’ottavo motivo vengono censurate, rispettivamente, per violazione e falsa applicazione degli artt. 1417 e 2721 c.c., artt. 116 e 244 c.p.c., artt. 1150 e 1292 c.c., insufficiente e contraddittoria motivazione, le statuizioni di accoglimento dell’appello incidentale del D., relative alla reiezione della domanda di restituzione della somma di L. 164.480.000, previa revoca dell’ordinanza del primo giudice ammissiva della relativa prova, ed all’assoluzione del suddetto dall’obbligo di rimborso delle indennità per le addizioni ed i miglioramenti apportati all’immobile, in solido con le altre due convenute.

Fondata deve ritenersi la prima doglianza, poichè la corte territoriale, nel ritenere inammissibile la prova testimoniale, con la quale la società Moviter aveva chiesto ed ottenuto, in primo grado, di provare il versamento della somma suddetta, osservando che la stessa non avrebbe potuto essere ammessa in quanto correlata alla dimostrazione della sussistenza del contratto in base al quale tale somma l’attrice assumeva aver pagato, non ha considerato che la richiesta non era tanto diretta a provare l’avvenuta stipulazione del negozio esigente la forma scritta, finalità per la quale erano stati articolati distinti capitoli, quanto, essenzialmente, il “fatto storico” costituito da tale dazione, che a prescindere dalla sussistenza o meno di un valido negozio giustificativo, si assumeva comunque aver effettuato. In tale ottica, funzionale ad una ripetizione di un indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., causale subordinata da ritenersi implicita nella richiesta di conseguire la restituzione, comunque ed in ogni caso, della somma suddetta, sulla base dei fatti enunciati nella domanda, la cui qualificazione competeva al giudice, una volta escluso il titolo negoziale (non provabile oralmente o per presunzioni, per l’inammissibilità in precedenza confermata), correttamente il Tribunale aveva ritenuto la prova ammissibile. Tale statuizione era in linea con la costante giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’inammissibilità ex art. 2725 c.c. della prova testimoniale non opera quando il contratto venga in considerazione non quale titolo posto a base della domanda, bensì quale “fatto storico” ad altri fini rilevante nel giudizio, essendo nella specie quei circostanziati capitoli di prova diretti a provare il fatto oggettivo dell’operato pagamento e le relative ragioni, quale che fosse la sussistenza o validità del negozio in base al quale lo stesso era stato eseguito, e così a superare l’astrattezza dei titoli cambiari emessi al riguardo. Non meritevole di accoglimento, è invece la rimanente censura, considerato che, in assenza della prova della simulazione, le sole persone avvantaggiatesi dei miglioramenti apportati all’immobile dalla detentrice società andavano identificate, come correttamente evidenziato dalla corte di merito, nella D. e nella P., e non anche nel D., in quanto titolari di diritti reali sul bene, senza che potesse attribuirsi, come sostiene la ricorrente, alcun rilievo confessorio in proposito a, non meglio specificate, argomentazioni ammissive di un’ assunta solidarietà che sarebbero state formulate nel corso del giudizio di appello, non dal medesimo personalmente, bensì dal suo difensore, in imprecisati atti difensivi Conclusivamente la sentenza impugnata deve essere cassata limitatamente all’unica censura accolta, contenuta nell’ottavo motivo, che va nel resto disatteso, al pari dei precedenti, disponendosi il rinvio ad altra sezione della corte di provenienza, per nuovo esame sul punto cassato e per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglierei limiti di cui in motivazione, l’ottavo motivo del ricorso, che rigetta nel resto, cassa la sentenza impugnata limitatamente alla censura accolta e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Bari.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2011

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