Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2410 del 31/01/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 31/01/2017, (ud. 13/10/2016, dep.31/01/2017),  n. 2410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1245-2011 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DI RIPETTA 22,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA TESTUZZA, che lo

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

DIREZIONE PROVINCIALE DI ROMA (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 272/2009 della COMM. TRIB. REG. del LAZIO

depositata il 19/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2016 dal Consigliere Dott. ESPOSITO ANTONIO FRANCESCO;

udito per il ricorrente l’Avvocato TESTUZZA che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale SOLDI

Dott. ANNA MARIA che ha concluso in via principale rinvio a nuovo

ruolo per acquisire il fascicolo di merito e in subordine

accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

P.G., esercente la professione di dottore commercialista, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza del 19.11.2009 con la quale la Commissione tributaria regionale del Lazio ha confermato la sentenza di primo grado che aveva negato il diritto al rimborso dell’IRAP versata dal contribuente per gli anni di imposta dal 1998 al 2000.

Con la sentenza impugnata il giudice di appello rilevava che il contribuente “non ha dimostrato l’assenza di organizzazione nella propria attività, non ha prodotto apposite dichiarazioni annuali dei redditi per gli anni d’imposta di riferimento e non ha prodotto il registro dei beni ammortizzabili dai quali si poteva verificare se aveva corrisposto a terzi spese afferenti l’attività professionale. Pertanto non avendo il contribuente provato che svolge la propria attività professionale solo con il proprio apporto, si deve ritenere che sistematicamente fa ricorso a prestazioni di terzi per l’esercizio della propria attività di commercialista”.

L’Agenzia delle Entrate non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, “omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza di secondo grado su un punto decisivo della controversia Assoluta inesistenza dei presupposti impositivi Irap”.

Sostiene il contribuente che, contrariamente a quanto affermato dalla C.T.R., le dichiarazioni annuali dei redditi per gli anni d’imposta di riferimento erano state ritualmente prodotte in giudizio, comprovando così l’inesistenza di qualsivoglia compenso corrisposto a terzi per prestazioni direttamente afferenti l’attività professionale. Rileva, inoltre, che la tenuta del registro dei beni ammortizzabili non era obbligatoria per le annualità in questione e che, in ogni caso, dalle risultanze del registro non si sarebbero potuti trarre indizi sull’eventuale corresponsione a terzi di spese afferenti l’attività professionale, risultanti invece dal Quadro RE delle dichiarazioni dei redditi.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

Con riferimento all’affermazione del giudice di appello relativa alla mancata produzione in giudizio delle dichiarazioni dei redditi, il ricorrente denuncia – pur prospettando un vizio motivazionale – un tipico vizio revocatorio, inerente un errore di fatto risultante dagli atti del giudizio circa l’effettiva produzione della documentazione fiscale. In tal caso, per pacifica giurisprudenza (ex multis, Cass., sez. 3, 27-042010, n. 10066) il mezzo di impugnazione è inammissibile essendo denunziato – in realtà – un vizio revocatorio che può essere fatto valere, sussistendone i presupposti, solo con lo specifico strumento della revocazione, disciplinato dall’art. 395 c.p.c..

Quanto al profilo di censura inerente la omessa produzione del registro dei beni ammortizzabili, va rilevato come la stessa non verta su un punto decisivo della controversia, posto che dalla fondatezza dell’assunto del ricorrente deriverebbe soltanto l’irrilevanza probatoria di tale documento, restando fermo l’onere del contribuente di dimostrare la mancanza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione mediante la produzione delle dichiarazioni dei redditi relative agli anni in questione.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e falsa applicazione del disposto normativo di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, – Insussistenza dei presupposti dell’attività professionale autonomamente organizzata in funzione della sola entità dei compensi perseguiti e pur in assenza di complessa organizzazione strutturale e personale – Carenza dei presupposti impositivi Irap”.

Sostiene il contribuente che il giudice di appello aveva implicitamente ribadito la statuizione del primo giudice secondo il quale la sussistenza dei presupposti impositivi dell’IRAP si desumeva dal solo volume d’affari del contribuente.

Il motivo è infondato.

Il ricorrente, invero, si limita ad evocare la sentenza di primo grado, attribuendo alla pronuncia di appello valenza di implicita conferma delle ragioni poste a fondamento della decisione del primo giudice, senza tuttavia censurare la ratio decidendi espressa dalla C.T.R., fondata sul rilievo che il contribuente non aveva offerto la prova – che si sarebbe potuta desumere dalle dichiarazioni dei redditi – di aver svolto un’attività non autonomamente organizzata.

3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Stante l’assenza di attività difensiva dell’intimata, non vi è luogo a provvedere sulle spese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017

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