Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2410 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/02/2020, (ud. 15/10/2019, dep. 04/02/2020), n.2410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5911-2018 proposto da:

D.G., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO

EMANUELE II 18, presso dell’avvocato GIAMMARCO GREZ, rappresentato

dall’avvocato VINCENZO GIGANTE;

– ricorrente –

contro

B.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SS APOSTOLI 22,

presso lo studio dell’avvocato VINCENZO CELLAMARE, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANGELO CHIAMARE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 22/2018 della CORTE D’APPELLO di FECCE SEZIONE

DISTACCATA di TARANTO, depositata il 17/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MAURO DI

MARZIO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. – D.G. ricorre per quattro mezzi illustrati da memoria, nei confronti di B.M., contro la sentenza del 17 gennaio 2018 con cui la Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, provvedendo in parziale riforma della sentenza di primo grado, che aveva pronunciato la separazione tra i coniugi, ha posto a suo carico un assegno mensile di mantenimento della B. di Euro 350,00.

2. – Resiste la B. con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

3. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 342 e 287 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver disatteso l’eccezione di inammissibilità dell’appello spiegata da esso D. in ragione della mancata indicazione delle parti del provvedimento che la B. intendeva appellare e delle modifiche richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado, avendo in realtà l’appellante fatto semplicemente valere un errore materiale della sentenza impugnata.

Il secondo motivo denuncia anch’esso violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 342 e 287 c.p.c., censurando la sentenza impugnata, nuovamente, per non essersi avveduta che l’appellante aveva utilizzato lo strumento dell’appello per ottenere la correzione di un errore materiale.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 91 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver condannato l’appellato alle spese di lite, dal momento che da parte sua non vi era stata alcuna opposizione concernente il dedotto errore.

Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 4, per nullità della sentenza e del procedimento ex art. 342 e 287 c.p.c. nonchè “del principio della ultrapetitum ex art. 112 c.p.c.”, censurando la sentenza impugnata per aver deciso “andando ultrapetitum quando ha affermato una circostanza quella che il sig. D. ha un reddito di quasi Euro 30.000,00 annui, mentre dalla documentazione in atti risulta il contrario e questa condizione economica non è stata neppure evidenziata dalla controparte”.

Ritenuto che:

4. Il Collegio ha disposto la redazione del provvedimento in forma semplificata.

5. – Il ricorso è manifestamente infondato.

5.1. – Sono manifestamente infondati i primi due motivi, che per il loro collegamento possono essere simultaneamente esaminati.

Questi i passaggi salienti, necessari a comprendere i termini della vicenda:

-) nel corso del giudizio di primo grado, in occasione degli iniziali provvedimenti presidenziali, sono stati posti a carico del D. un assegno di mantenimento di Euro 350,00 mensili in favore della B. ed un assegno di mantenimento di Euro 300,00 mensili in favore della figlia;

-) successivamente, il Tribunale, con la sentenza pronunciata a chiusura del giudizio, ha in motivazione rideterminato in aumento l’assegno di mantenimento in favore della figlia, quantificato in Euro 400,00 mensili, “ferme restando tutte le altre statuizione fissate in sede di udienza presidenziale”;

-) dopo di che, in dispositivo, lo stesso Tribunale ha indicato la misura dell’assegno rispettivamente in Euro 400,00 mensili in favore della figlia ed in Euro 300,00 mensili in favore della moglie.

A fronte di tale incongruenza, attinente alla apparente quantificazione dell’assegno in favore della B., nella sentenza di primo grado, in Euro 350,00 mensili in motivazione, attraverso il rinvio al provvedimento presidenziale, ed in Euro 300,00 mensili in dispositivo, la B. ha proposto appello con cui ha lamentato, come ricorda lo stesso D. a pagina 4 del ricorso per cassazione, l’erroneità della decisione, o perchè frutto di una semplice svista, ossia di un mero errore materiale, o perchè priva di motivazione e comunque infondata nel merito.

Va da sè che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la B. non ha utilizzato l’appello per ottenere la sola correzione di un errore materiale, ma lo ha impiegato per i fini della modificazione della statuizione di primo grado, sia che questa dovesse ritenersi affetta da un errore materiale, sia che dovesse ritenersi affetta da un errore di giudizio.

Sicchè l’innesto dell’istanza di correzione dell’errore materiale non era precluso, in conformità al principio secondo cui l’istanza di correzione di errore materiale non integra un motivo di gravame, anche quando sia rivolta al giudice dell’impugnazione della sentenza contenente l’errore che si chiede di correggere (Cass. 19 marzo 2018, n. 6701).

Lo stesso giudice d’appello, d’altronde, lungi dal trattare l’incongruenza di cui si è detto come un franco errore materiale, ha in proposito adottato una duplice motivazione, osservando da un lato che la B. non risultava avere redditi propri ed era quasi sessantacinquenne, come tale incapace di procurarsi un lavoro remunerato, e, dall’altro lato, quanto alla “possibilità che il primo giudice sia incorso in un errore materiale”, che tale errore poteva essere corretto in appello. Giungendo infine ad affermare che si potesse “trattare la pretesa della B. come mi motivo di appello, da accogliersi anche in considerazione della circostanza che il D. percepisce una pensione pari a circa Euro 30.000,00 annuali”.

5.2. – conseguentemente infondato il terzo motivo.

Ed infatti, la Corte d’appello avrebbe certamente errato se avesse ricollegato la soccombenza dell’appellato D. all’accoglimento dell’istanza di correzione di un mero errore materiale, neppure contrastata dall’appellato medesimo (v. p. es. la citata Cass. 19 marzo 2018, n. 6701): ma così non è, visto che la Corte d’appello ha scrutinato e accolto il motivo concernente la sostanziale erroneità della decisione del primo giudice, riesaminando la ratio decidendi posta a sostegno della decisione impugnata, avuto riguardo alle prospettive lavorative della B. e dalla capacità reddituale del D..

5.3. – Il quarto motivo è inammissibile.

Il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato comporta il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda di merito.

In giurisprudenza è stato in tal senso più volte affermato che il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione, attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell’ambito del petitum, rilevi d’ufficio un’eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall’attore, può essere sollevata soltanto dall’interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo (causa petendi) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda (Cass. 19 giugno 2004, n. 11455; Cass. 6 ottobre 2005, n. 19475; Cass. 11 gennaio 2011, n. 455; Cass. 24 settembre 2015, n. 18868).

Nel caso in esame la censura non è dunque riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto il pronunciato, senza considerare che la doglianza è altresì carente sul piano dell’autosufficienza, laddove si afferma che la Corte d’appello avrebbe tenuto per vera “una circostanza falsa: quella che il D. ha un reddito di quasi 30.000,00 annui, mentre dalla documentazione in atti risulta il contrario”, non essendo dato capire quale sarebbe detta documentazione.

6. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato. Si dispone l’oscuramento.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Si dispone l’oscuramento

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2020

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