Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24099 del 26/09/2019

Cassazione civile sez. lav., 26/09/2019, (ud. 26/06/2019, dep. 26/09/2019), n.24099

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15543-2015 proposto da:

M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO

DENZA 27, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIO VANNUTELLI,

rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIO MASCI e CONCETTA

ROBERTA MASCI;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) S.R.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 481/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 09/04/2015 R.G.N. 1556/2023.

Fatto

RILEVATO

che:

1. M.V. propose appello contro la sentenza con cui il Tribunale di Chieti aveva rigettato il suo ricorso teso “al riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con la fallita (OMISSIS) srl dal 22.3.2004 al 30.11.2009… e al conseguente accertamento delle differenze retributive maturate nel corso del rapporto”;

2. la Corte di Appello di L’Aquila, con sentenza con motivazione contestuale ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., pubblicata il 9 aprile 2015, ha dichiarato “la litispendenza del presente giudizio rispetto a quello pendente davanti al Tribunale fallimentare di Chieti, con conseguente inammissibilità della domanda proposta da M.V.”, affermando che “il petitum e la causa petendi dei due giudizi risulta del tutto sovrapponibile avendo ad oggetto l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti”;

la Corte ha argomentato che: il M. in data 25 marzo 2010 aveva depositato domanda di insinuazione allo stato passivo del fallimento per il complessivo importo di Euro 26.793,04, oltre accessori, sul presupposto del “riconoscimento dell’attività svolta… come fisioterapista in qualità di lavoratore subordinato, benchè formalmente inquadrato come lavoratore parasubordinato”; successivamente il medesimo aveva proposto davanti al giudice del lavoro del Tribunale di Chieti ricorso per accertare che nello stesso periodo “tra le parti si è costituito un rapporto di lavoro subordinato in luogo del simulato contratto di prestazione d’opera professionale intercorso tra le parti”, con accertamento dei crediti maturati in misura pari a quella indicata nel ricorso per insinuazione allo stato passivo; con decreto del 28 marzo 2011 il giudice delegato aveva dichiarato esecutivo lo stato passivo ammettendo il M. per Euro 7.279,93 in privilegio e per Euro 2409,84 in chirografo; in data 9 maggio 2011. il lavoratore aveva proposto opposizione allo stato passivo L. Fall., ex art. 98, risultando dal ricorso – secondo la Corte territoriale – “che oggetto del giudizio è ancora la natura subordinata del rapporto”; la Corte ha infine respinto il motivo di gravame concernente la mancata compensazione delle spese di lite in primo grado ed ha condannato il soccombente al pagamento delle spese del giudizio d’appello;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso del 4 giugno 2015 M.V. con 3 motivi, illustrati anche da memoria; non ha svolto attività difensiva il Fallimento intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. i motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati:

con il primo si denuncia violazione dell’art. 39 c.p.c., per inesistenza di una condizione di litispendenza tra le due cause introdotte dal lavoratore l’una davanti al Tribunale di Chieti con insinuazione allo stato passivo del Fallimento (OMISSIS) s.r.l. e l’altra, davanti al medesimo Tribunale, in funzione di giudice del lavoro; si deduce che nel provvedimento di ammissione allo stato passivo risultava “espressamente rigettata l’istanza di riconoscimento della natura subordinata del rapporto lavorativo de quo, testualmente affermandosi che la domanda risulta “meritevole di reiezione perchè manca la prova piena circa la situazione sostanziale dedotta””; si sostiene dunque che “il successivo decorso della procedura in sede fallimentare ha riguardato esclusivamente l’ammissione allo stato passivo ed il riconoscimento nonchè il recupero degli importi a tal fine dedotti a titolo di credito e valutati in sede fallimentare alla stregua dei crediti da lavoro parasubordinato”;

con il secondo motivo si denuncia: “omesso esame nella sentenza impugnata di fatti decisivi ai fini della decisione della causa per l’accoglimento delle ragioni del Sig. M.V., con conseguente omessa motivazione su tali punti, quale motivo di ricorso per Cassazione a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, punto 5”; si insiste nel sostenere la diversità di oggetto dei due giudizi introdotti con rito concorsuale e con rito ordinario davanti al giudice del lavoro; all’uopo con la memoria conclusiva è stato depositato il “Decreto” del Tribunale di Chieti con cui è stata accolta l’opposizione allo stato passivo azionata dal M.;

con l’ultima censura si denuncia “omesso esame nella sentenza impugnata di fatti decisivi” avuto riguardo alla reiezione dell’ultimo motivo di appello del M. relativo alle spese;

2. il ricorso è inammissibile in quanto la sentenza d’appello che ha dichiarato la litispendenza, senza decidere il merito della causa, avrebbe dovuto essere impugnata con il regolamento necessario di competenza previsto dall’art. 42 c.p.c.;

invero a norma dell’art. 39 c.p.c., comma 1, qualora una stessa causa venga proposta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito è tenuto a dichiarare la litispendenza, anche se la controversia iniziata in precedenza sia stata già decisa in primo grado e penda ormai davanti al giudice dell’impugnazione, senza che sia possibile la sospensione del processo instaurato per secondo, ai sensi dell’art. 295 c.p.c. o dell’art. 337 c.p.c., comma 2, a ciò ostando l’identità delle domande formulate nei due diversi giudizi (Cass. SS.UU. n. 27846 del 2013; Cass. n. 15981 del 2018);

l’istituto risponde all’esigenza di evitare la contemporanea pendenza di due giudizi con gli stessi elementi processuali, e, dunque, un’inammissibile duplicità di azioni giudiziarie in relazione al medesimo diritto soggettivo, con conseguente pericolo di contraddittorietà di giudicati, sicchè la pronuncia con cui il giudice dichiari la litispendenza, essendo sostanzialmente assimilabile al provvedimento con cui vengono decise le questioni di competenza, può essere impugnata soltanto con il regolamento necessario di competenza (tra tutte v. Cass. SS.UU. n. 17443 del 2014);

ancora di recente si è ribadito (Cass. n. 17025 del 2017) che “le pronunce sulla sola competenza, anche se – come nella specie – emesse in grado di appello e pur quando abbiano riformato per incompetenza la decisione di primo grado riguardante anche il merito, sono impugnabili soltanto con il regolamento necessario di competenza, giusta l’art. 42 c.p.c., il quale non distingue tra sentenza di primo e secondo grado e configura, quindi, il regolamento suddetto come mezzo d’impugnazione tipico per ottenere la statuizione definitiva sulla competenza: ne consegue che, in tale ipotesi, è inammissibile l’impugnazione proposta nelle forme del ricorso ordinario per cassazione”;

si è pure precisato che qualunque sentenza che decida esclusivamente sulla competenza – a eccezione delle sentenze del giudice di pace – deve essere impugnata con istanza di regolamento di competenza nè tale caratteristica viene meno se il giudice esamini anche questioni pregiudiziali di rito o preliminari merito, purchè l’estensione sia strumentale alla pronunzia sulla questione di competenza (in termini: Cass. n. 15958 del 2018); non sussiste, infatti, pronunzia sul merito allorchè il giudice, ai soli fini della statuizione sulla competenza, abbia esaminato incidenter tantum anche questioni di rito o di merito (e pluribus Cass. n. 3742 del 1995; Cass. n. 716 del 1995; Cass. n. 9169 del 1991; Cass. n. 2245 del 1991); in particolare è stato ancora confermato (Cass. n. 9268 del 2015) che le pronunce che decidono soltanto sulla competenza e sulle spese, di primo o di secondo grado, devono essere impugnate esclusivamente con il regolamento necessario di cui all’art. 42 c.p.c., trattandosi di statuizioni consequenziali ed accessorie (v. Cass. n. 7661 del 2007; Cass. n. 7661 del 1997; Cass. n. 606 del 1995);

resta naturalmente salva la possibilità di conversione del ricorso ordinario in istanza di regolamento di competenza ma il ricorso impropriamente proposto deve collocarsi nel solco della disciplina del regolamento; innanzitutto deve risultare osservato il termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento impugnato sancito dall’art. 47 c.p.c., comma 2 (tra le tante v. Cass. n. 17025 del 2017) e non potrebbe avere ingresso, attraverso il meccanismo di conversione, un ricorso che nulla dimostri nè alleghi in ordine al rispetto di questo profilo di carattere temporale e che neppure deduca di non avere ricevuto comunicazione di decisione sulla competenza (Cass. n. 30610 del 2018);

pertanto neanche soccorre il beneficio della conversione alla parte qui ricorrente che ha avviato la notificazione del ricorso per cassazione in data 5 giugno 2015, ben oltre i trenta giorni decorrenti dal 9 aprile 2015, data in cui è stata pubblicata la sentenza d’appello che ha pronunciato la litispendenza mediante contestuale motivazione ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c.;

come è noto, infatti, l’art. 42 c.p.c., è stato modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 5, lett. a), che ha sostituito la forma decisoria della sentenza (originariamente prevista) con quella dell’ordinanza, senza tuttavia modificare il regime impugnatorio della decisione sulla competenza, per cui quando il provvedimento declinatorio della competenza assume la forma di sentenza che definisce il giudizio innanzi al giudice adito deve ritenersi che il termine per la proposizione del regolamento di competenza decorra dalla data dell’udienza in cui la pronuncia è resa a norma dell’art. 281 sexies c.p.c., comma 2, che esonera la cancelleria dall’onere della comunicazione, dovendosi considerare legalmente conosciuti i provvedimenti adottati dal giudice sin dal momento della loro emissione (cfr. Cass. n. 2302 del 2015; v. anche, con riguardo all’applicabilità del termine di 30 giorni di cui all’art. 47 c.p.c., comma 2, decorrente dalla sentenza letta in udienza che abbia pronunciato sulla competenza, Cass. n. 8939 del 2011; si vedano anche, in senso analogo, Cass. n. 20092 del 2010 e Cass. n. 16304 del 2007);

3. conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile; nulla per le spese in difetto di attività difensiva dell’intimato Fallimento; occorre in ogni caso dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019

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