Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24099 del 07/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 07/09/2021, (ud. 20/04/2021, dep. 07/09/2021), n.24099

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Giudo – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17784-2020 proposto da:

A.Q., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO MESSICO, 7,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO TOZZI, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ANNAMARIA GAGLIARDI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto n. cronol. 1517/2020 del TRIBUNALE di TRIESTE,

depositato il 25/05/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CLOTILDE

PARISE.

 

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con decreto n. 1517/2020 depositato il 25-5-2020 il Tribunale di Trieste ha respinto il ricorso di A.Q., cittadino del Pakistan, avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, all’esito il rigetto della relativa domanda da parte della competente Commissione Territoriale. Il Tribunale ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito dal suo Paese per sottrarsi alla persecuzione degli oppositori del partito politico (OMISSIS), di cui era membro sin dal 2012. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale del Pakistan, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente.

3. I motivi di ricorso sono così rubricati: ” 1. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione all’art. 2697 c.c.; 2. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,7 e 8, in relazione alla Convenzione di Ginevra 28 luglio 1951, art. 1; 3. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,14 e 17; 4. Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 T.U.I., comma 6, nella versione vigente prima della modifica di cui al D.L. n. 113 del 2018, convertito con modificazioni con la L. n. 132 del 2018. Difetto di motivazione”. Con il primo motivo, il ricorrente, richiamando diffusamente la normativa di riferimento e la giurisprudenza di questa Corte, deduce che il giudizio di non credibilità era stato espresso dal Tribunale senza esercitare il dovere di cooperazione istruttoria e senza valutare la sostanziale coerenza e plausibilità del racconto come emergente dai numerosi elementi allegati. Con il secondo motivo si duole del mancato riconoscimento del rifugio, essendo egli oggetto di persecuzione dagli oppositori del partito (OMISSIS), a cui egli apparteneva, rilevando che il Tribunale non ha tenuto conto dell’arretrato contesto pakistano, caratterizzato da arbitrarietà, inquisizione e sopraffazione, come da fonti internazionali che cita (rapporto Amnesty International senza data pag.17). Deduce che nella zona del Punjab si sono verificati sanguinosi attentati anche tra opposte fazioni che hanno provocato numerose vittime. Con il terzo motivo il ricorrente si duole del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, sussistendo un concreto pericolo alla vita e alla salute derivante dal timore di rimanere vittima di pesanti violazioni dei diritti umani fondamentali nel suo Paese, avendo il Tribunale omesso di considerare sia le sue vicende individuali, sia le condizioni generali del Pakistan e del (OMISSIS). Con il quarto motivo si duole del diniego della protezione umanitaria, richiama la giurisprudenza di questa Corte e in particolare la pronuncia n. 4455 del 2018 e deduce che dalla scarna e apodittica motivazione del decreto impugnato risulta l’omessa considerazione del percorso di integrazione da egli intrapreso in Italia, confermato dall’attività di lavoro come aiuto cuoco, in violazione dei principi affermati da questa Corte.

4. Sono inammissibili i primi tre motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, involgendo le censure, sotto distinti ma collegati profili, il giudizio di non credibilità della vicenda personale narrata, nonché il correlato diniego del rifugio e della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. a) e b), e la valutazione della situazione del Paese di origine, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 151 del 2007, ex art. 14, lett. c).

4.1. Il Tribunale ha, motivatamente, escluso la credibilità del racconto del ricorrente, procedendo anche all’audizione dello stesso (pag. n. 3 decreto impugnato), in dettaglio esaminando i fatti allegati e rimarcando la genericità, contraddittorietà e implausibilità della narrazione (pag. n. 4, articolo di un quotidiano asseritamente riportante la sua affiliazione al partito (OMISSIS) e incongruenza con la data). Le censure, espresse sub specie del vizio di violazione di legge, si risolvono in deduzioni generiche, senza specifica attinenza al percorso argomentativo del decreto impugnato, nonché dirette, inammissibilmente, a prospettare una ricostruzione dei fatti difforme da quella accertata dai Giudici di merito, anche con riferimento alla situazione generale del Paese (Cass. n. 30105 del 2018), che è stata descritta ampiamente, con indicazione delle fonti di conoscenza (Easo ottobre 2019 pag. n. 4 decreto), a cui il ricorrente contrappone il richiamo ad una serie di pronunce di merito (pag. 7 ricorso), senza indicare nessuna fonte specificamente individuata (report Amnesty International senza data).

4.2. Del tutto generiche sono anche le deduzioni in ordine alla violazione dei parametri di credibilità.

Occorre ribadire che il giudice del merito, nel valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, in base ai parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), deve attenersi anche a comuni canoni di ragionevolezza e a criteri generali di ordine presuntivo, non essendo di per sé solo sufficiente a fondare il giudizio di credibilità il fatto che la vicenda narrata sia circostanziata. Il citato art. 3, infatti, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (da ultimo Cass. n. 21142 del 2019; Cass. n. 20580 del 2019). La suddetta verifica è sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito.

Nel caso di specie il Tribunale si è attenuto ai parametri di legge, estendendo l’indagine alla ricerca di riscontri esterni sul narrato (pag. n. 3 decreto), senza reperirne, e il ricorrente neppure denuncia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

5. Parimenti inammissibile è il quarto motivo.

Il Tribunale, con motivazione idonea, ha esaminato i fattori di integrazione allegati (attività di lavoro di aiuto cuoco a tempo determinato) ed ha escluso la vulnerabilità del ricorrente, il quale si limita a richiamare diffusamente la normativa di riferimento e la giurisprudenza di questa Corte e a sindacare, genericamente, la valutazione dei fatti da parte dei Giudici di merito, senza neppure dedurre di aver allegato in primo grado ulteriori elementi a supporto del suo radicamento in Italia o altri dati di rilevanza (Cass. n. 3340 del 2019; Cass., Sez. U., n. 29459 del 2019).

6. Nulla deve disporsi circa le spese di lite del presente giudizio, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314 del 2020).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2021

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