Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24096 del 24/10/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 24096 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: BRONZINI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 19352-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

2456

BAGLIONI GIANPAOLO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 950/2007 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 24/10/2013

di

L’AQUILA,

depositata

il

21/08/2007

R.G.N.

139/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/07/2013 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
BRONZINI;

verbale PESSI ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 5.7.2007, la Corte di Appello di L’Aquila accoglieva l’appello proposto
da Baglioni Gianpaolo avverso la sentenza del Tribunale di Teramo del 14.2.2005 e
dichiarava l’illegittimità dell’apposizione del termine al contratto a tempo determinato
stipulato dall’appellante con le Poste italiane dal 15.7.2000 al 30.9.2000 per” necessità di
espletamento nel periodo in concomitanza di assenze per ferie” , accertando che tra le

rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, e condannando la società al
risarcimento del danno pari alle retribuzioni maturate dalla data di messa in mora detratto
l’aliunde perceptum. La Corte territoriale osservava che la contrattazione collettiva aveva
stabilito il limite del 10% sul piano nazionale e che le Poste avevano prodotto una
documentazione che non consentiva di accertare il mancato superamento del tetto fissato
per legge anche riguardo la documentazione temporale e territoriale.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la società Poste Italiane, con tre motivi, illustrati
con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. La Corte ha autorizzato la motivazione
semplificata della presente sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la società denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1372
comma prima e secondo c.c. nonché l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Non erano stati approfonditi gli
elementi dedotti dalle Poste che portavano a ritenere che il rapporto si fosse sciolto per
mutuo consenso come la breve durata del contratto; la mancata tempestiva contestazione
01/4 ty.x.D
del lavoratore, l’avere lo stesso accettato il TFR.; 23 I. 56/87, ai sensi dell’art. 360, n 3,
c.p.c., rilevando la natura non negoziale ma meramente ricognitiva degli accordi
successivi a quello del 25.9.1997.
Merita di essere disatteso il primo motivo, alla luce della giurisprudenza consolidata di
questa Corte secondo cui “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della
sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto
dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa

parti ricorrenti e la società Poste Italiane era intercorso, sin dalla data suindicata, un

configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia
accertata — sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo
contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali
circostanze significative — una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo e che la valutazione del significato e della
portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui
conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori

23554, Cass. 11-12-2001 n. 15621). La Corte di appello ha già osservato che nel caso in
esame mancavano elementi certi ed univoci da cui concludere la volontà di abdicare al
contratto: non essendo in tal senso il mero decorso del tempo o l’inerzia del lavoratore o
ancora la percezione di trattamento dovuti per legge. La motivazione appare congrua e
logicamente coerente; le censure sono generiche e di merito.
Con il secondo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. ed ai
sensi degli artt. 421 e 437 c.p.c. l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa
un fatto decisivo per il giudizio. Era onere del lavoratore dimostrare il superamento del
tetto previsto dal CCNL per i contratti a termine, se del caso chiedendo una consulenza di
ufficio.
Il motivo è infondato in quanto l’art. 23 della legge n. 56/1987 autorizza le parti sociali,
concretizzando quella che la giurisprudenza di legittimità ha chiamato ” una delega” in
bianco, a stabilire ipotesi di assunzione a termine, demandando però alle stesse parti
sociali di stabilire la percentuale massima di lavoratori a tempo parziale. Pertanto, prima
della novella del 2001 ( il contratto di cui è causa è antecedente alla riforma del 2001)
l’esistenza di una ipotesi contrattualmente prevista di assunzione a termine ed il rispetto
della ” clausola di contingentamento ” erano presupposti legittimanti il contratto a tempo
parziale (oltre le ipotesi previste dalla legge del 1962) e quindi non può esservi alcun
dubbio che la prova incomba sul datore di lavoro, che deve dimostrare di rientrare nella
deroga prevista per legge e che, di norma, possiede- soprattutto se copre un intero settore
come le Poste spa- la documentazione necessaria per dimostrare la sussistenza del
presupposto in parola . Nel caso in esame la Corte di appello ha accertato che la
documentazione offerta non ha dimostrato il mancato superamento del limite fissato dalla
contrattazione collettiva.

di diritto” (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n.

Con il terzo motivo si allega la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto:
nonché l’omessa insufficiente e contradditoria motivazione della sentenza impugnata.
L’onere della dimostrazione del danno era a carico del lavoratore e il risarcimento del
danno da retribuzioni perdute a causa della mancata esecuzione della prestazione
presuppone che le dette prestazioni siano state offerte dal lavoratore.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza,

richiesta di esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, laddove la società
contesta l’efficacia di costituzione in mora di tale documento senza trascriverne il
contenuto. Il quesito di diritto di cui a pag. 17 del ricorso peraltro appare inammissibile in
quanto privo di qualsiasi riferimento alla fattispecie in esame ( non prende neppure in
considerazione l’accertamento sulla messa in mora condotto dalla corte territoriale) .
Infine, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la società
ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato
dall’art. 32, commi 5 0 , 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183, in vigore dal 24
novembre 2010.
Orbene, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter
applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia
retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in
qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione
della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di
ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070). Tale condizione
non sussiste nella fattispecie, benché, con sentenza della Corte Costituzionale n.
303/2011 siano state dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 32, commi 5, 6 e 7, della legge 4 novembre 2010, n. 183 sollevate, con riferimento
agli artt. 3,4, 11, 24, 101, 102, 111 e 117, primo comma, della Costituzione. Ed invero, il
motivo dedotto in relazione alla quantificazione del risarcimento è stato dichiarato
inammissibile, il che preclude ogni esame della questione.
. Il ricorso va, in conclusione, complessivamente respinto. Nulla sulle spese in quanto la
parte intimata non si è costituita.
P.Q.M.

risultando dalla sentenza della Corte di Appello che la messa in mora è riconnessa alla

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Così deciso in ROMA, il 4.7.2013

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