Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24094 del 24/11/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile sez. VI, 24/11/2016, (ud. 20/10/2016, dep. 24/11/2016), n.24094

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17158-2015 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO

GRIMAlDI 47, presso lo studio dell’avvocato ANDREA DE CADILLIAC,

rappresentata e difesa dall’avvocato FILIPPO RAMPULLA giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,

rappresentato e difeso dagli avvocati CLEMENTINA PULLI, MAURO RICCI,

EMANUELA CAPANNOLO giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 165/2015 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA dell’8/04/2015, depositata il 29/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato Antonella Patteri difensore del controricorrente che

si riporta agli scritti.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO

Con sentenza del 29.4.2015, la Corte d’appello di Caltanissetta, in accoglimento del gravame proposto dall’INPS avverso la sentenza del Tribunale di Enna – che aveva dichiarato il diritto di C.C. all’assegno mensile di invalidità civile previsto dalla L. n. 118 del 1971, art. 13 con decorrenza dall’intervenuta revoca del 10.11.2009 e condannato l’INPS al pagamento dei relativi ratei – rigettava la domanda proposta dall’assistita, sul rilievo che il CTU officiato aveva stabilito una percentuale di invalidità del 53% e che, essendo stata l’appellata sottoposta a visita di revisione dopo il 12.3.1992, correttamente il CTU aveva fatto riferimento alle nuove tabelle di invalidità di cui al D.M. 5 febbraio 1992, anche se la C. era titolare della prestazione da epoca anteriore.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la C., affidando l’impugnazione ad unico motivo, cui resiste, con controricorso, l’INPS.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Quest’ultima lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 118 del 1971, art. 13 del D.Lgs. n. 509 del 1988, art. 9, comma 1, del D.Lgs. n. 509 del 1988, art. 2, comma 1, in forza della sentenza della Corte Costituzionale n. 209/95 dichiarativa della illegittimità costituzionale delle dette norme. Deduce, altresì, violazione e falsa applicazione del D.M. 25 luglio 1980 e falsa applicazione della L. n. 326 del 2003, art. 42 e del D.M. 5 febbraio 1992. Rileva, a fondamento della censura, che la Corte costituzionale con la sentenza richiamata aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 509 del 1988, art. 23, comma 9 nella parte in cui non prevedeva che restassero salvi anche i diritti dei cittadini per i quali il riconoscimento dell’esistenza dei requisiti sanitari all’epoca della domanda, presentata anteriormente alla data di cui al comma 1, fosse intervenuto, da parte della competente commissione medica, posteriormente a tale data. Osserva che, essendo oggetto del presente giudizio la revoca di prestazione concessa nel 1985 (revocata, una prima volta, in sede di revisione, in data 19.2.1998 e ripristinata, in sede giudiziale, in forza di sentenza del Tribunale di Enna n. 144/200, con decorrenza dalla data della disposta revoca) l’elevazione della percentuale invalidante dai due terzi (67%) al 74% avesse efficacia solo a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.M. 5 febbraio 1992 prevista al D.Lgs. 23 novembre 1988, n. 509, art. 2, comma 1. Aggiunge che il riconoscimento dell’assegno di assistenza in ipotesi per le quali la decorrenza della prestazione è di data anteriore alla nuova formulazione dall’art. 13 Legge suindicata consegue, per la salvezza dei diritti acquisiti statuiti dalla Corte Cost., al raggiungimento della vecchia soglia percentuale del 67%. Evidenzia, infine, che le patologie dell’istante andavano valutate ai sensi della normativa anteriore a quella del D.M. 5 febbraio 1992 utilizzato dal CTU e cioè ai sensi e per gli effetti del D.M. 25 luglio 1980. Richiama a sostegno della doglianza numerose sentenze di legittimità contenenti l’affermazione del principio secondo cui il riferimento alle nuove tabelle ed alla nuova percentuale di invalidità debba avvenire solo quando l’evento protetto si sia verificato dopo il 12.3.1992.

A conforto della sussistenza della lamentata violazione e falsa applicazione della normativa indicata, la ricorrente rileva poi che, sulla base dei più favorevoli parametri di cui al D.M. 25 luglio 1980, sarebbe stato accertato il diritto al ripristino della prestazione (prima del 77% e poi dell’ 82% – Ctu del giudizio di primo grado -).

Il ricorso è fondato.

1- il D.Lgs. 23 novembre 1988, n. 509, art. 9, comma 1, dispone che “A modifica della L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 13, comma 1, la riduzione della capacità lavorativa indicata nella misura superiore ai due terzi è elevata alla misura pari al 74 per cento a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto di cui all’art. 2, comma 1” e prevede, al comma 2, che “restano salvi i diritti acquisiti ai cittadini che già beneficiano dell’assegno mensile o che abbiano già ottenuto, alla data di cui al comma 1, il riconoscimento dei requisiti sanitari da parte delle competenti commissioni”. Il D.Lgs. n. 509 del 1988, art. 2, comma 1 richiamato all’art. 9, comma 1 prevede che “Il Ministero della Sanità, entro due mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, approva, con proprio decreto, la nuova tabella indicativa delle percentuali di invalidità per le minorazioni e malattie invalidanti, ai sensi della L. 26 luglio 1988, n. 291, art. 2, comma 2, sulla base della classificazione internazionale delle menomazioni elaborata dall’organizzazione mondiale della sanità. Il Ministro della sanità, con la medesima procedura, può apportare eventuali modifiche e variazioni”.

2- Tanto precisato, deve osservarsi che il D.Lgs. n. 509 del 1988, art. 9, comma 2, è diretto a regolare solo situazioni transitorie e tiene ferma la minore percentuale di invalidità prevista dalla legislazione precedente, oltre che per gli invalidi che avevano già ottenuto l’assegno, anche per gli invalidi che avevano in corso il procedimento e che avevano già ottenuto il riconoscimento del requisito sanitario al momento dell’entrata in vigore del decreto ministeriale, nonchè, dopo l’intervento della Corte costituzionale (sentenza C. Cost. n. 209 del 1995), anche per coloro (invalidi) che avevano ottenuto il detto riconoscimento da parte della competente commissione medica posteriormente a tale data ma con decorrenza dall’epoca della domanda.

3- Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di assegno mensile di invalidità civile, previsto dalla L. n. 118 del 1971, art. 13 la revoca per il sopravvenuto venir meno di una delle condizioni di esistenza del diritto alla prestazione comporta l’estinzione del diritto medesimo; di conseguenza, per il ripristino) dell’ assegno, per il quale occorre una nuova domanda amministrativa e l’instaurazione di un nuovo procedimento amministrativo, le condizioni di esistenza del diritto vanno verificate con riguardo alla legislazione vigente al momento della nuova domanda, trattandosi del riconoscimento di un nuovo diritto del tutto diverso, (anche se identico nel contenuto), da quello estinto per revoca (Cfr. Cass. 19.11.2003 n. 17551: nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto applicabile alla domanda di ripristino la minore percentuale della riduzione della capacità lavorativa prevista dalla L. n. 118 del 1971, art. 13, e non quella prevista dal D.Lgs. n. 509 del 1988, art. 9 vigente al momento della presentazione della nuova domanda). Negli stessi termini deve richiamarsi Cass. 24.2.2015 n. 3688, secondo cui “la domanda giudiziale di ripristino della prestazione assistenziale, al pari di quelle concernenti il diritto ad ottenere per la prima volta prestazioni negate in sede amministrativa, non dà luogo ad un’impugnativa del provvedimento amministrativo di revoca, ma riguarda il diritto del cittadino ad ottenere la tutela che la legge gli accorda, sicchè il giudice è chiamato ad accertare se sussista, o meno, il diritto alla prestazione, verificandone le condizioni di esistenza alla stregua dei requisiti richiesti dalla legge vigente al momento della nuova domanda, trattandosi del riconoscimento di un nuovo diritto del tutto diverso, ancorchè identico nel contenuto, da quello estinto per revoca (cfr., precedentemente, Cass. 20.2.2009 n. 4254 negli stessi termini, e Cass. 16.2.2006 n. 3404, Cass. 12.1.2009 n. 392, Cass. 7.5.2010 n.11075, Cass. 20.3.2014 n. 6590). Al di fuori dell’indicato regime transitorio, la giurisprudenza di legittimità richiamata è quindi concorde nel ritenere che, in tema di revoca dell’assegno di invalidità I.N.P.S., per il ripristino della prestazione in precedenza goduta, sia necessaria la proposizione di una nuova domanda. Tale principio rappresenta una regola generale a meno che non sia prevista dalla legge la possibilità di una “sospensione ” della prestazione. Questa è prevista solo in casi tassativamente indicati, come sancito per la pensione di invalidità (ante legge 222/84) giacche il R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, art. 10 convertito dalla L. 6 luglio 1939, n. 1272, nel testo modificato dalla L. 11 novembre 1983, n. 638, art. 8 (di conversione del D.L. 12 settembre 1983, n. 4639 disponeva che la “La pensione di invalidità non è attribuita e, se attribuita, ne resta sospesa la corresponsione, nel caso in cui l’assicurato ed il pensionato… siano percettori”. Ove invece la sospensione non venga prevista, deve ritenersi che, una volta venuto meno uno dei requisiti costitutivi, da quel momento in avanti si estingue definitivamente il diritto alla prestazione, indubbio poi che tale diritto possa sorgere nuovamente in momento successivo, ma in tal caso, secondo i principi generali, occorre avere riguardo ai requisiti vigenti al momento della nuova domanda, non potendosi ipotizzare – per il solo fatto che una volta quel diritto sussisteva – la perpetuazione di quelli precedenti, non più validi ratione temporis (così Cass. n. 8943 del 2004, in motivazione).

4- Deve pertanto ritenersi che la revoca dell’assegno di invalidità civile, per il sopravvenuto venir meno di una delle condizioni di esistenza del diritto, comporti l’estinzione del diritto medesimo e che, per il ripristino dell’assegno, le indicate condizioni vanno verificate con riguardo alla legislazione vigente al momento della nuova domanda, trattandosi del riconoscimento di un nuovo diritto, del tutto diverso (anche se identico nel contenuto) da quello estinto per revoca.

5- La fattispecie considerata dalle indicate pronunce è quella in cui il requisito reddituale venga meno per un limitato periodo o quella in cui il requisito sanitario sia escluso dal venire meno della percentuale di invalidità iniziale dell’assistito, che, tuttavia, per effetto di un successivo aggravamento, chieda, poi, il ripristino della prestazione. Tanto si evince dalla asserita necessità di nuova domanda intesa al riconoscimento del diritto all’assegno di invalidità dopo l’intervenuta revoca.

6- I principi affermati non possono, tuttavia, ritenersi validi anche in relazione alle ipotesi in cui non si verifichi alcuna soluzione di continuità con riguardo alla sussistenza dei requisiti di legge, in relazione alle quali l’oggetto del giudizio sia, come nella specie, l’accertamento della permanenza della condizione di invalidità iniziale accertata con pronuncia passata in giudicato riferita a valutazione espressa con riguardo ai parametri previsti dalla L. n. 118 del 1971, art. 13 vigente all’epoca della prima domanda, ed alle tabelle di cui al D.M. 25 febbraio 1980.

Devono, invero, essere richiamati i principi affermati, in particolare, da Cass. 12256/2003, pronuncia, questa, che se pure riferita a prestazione previdenziale, ribadisce l’incidenza del giudicato, in senso ostativo, sulla possibilità di ritenere che l’oggetto della controversia sia l’esistenza del diritto alla prestazione e non, invece, l’accertamento della permanenza del diritto giudizialmente riconosciuto con il parametro normativo previsto al tempo di tale riconoscimento.

7- Assume pertanto rilievo, ai fini della questione dibattuta, la circostanza che nel caso all’esame è intervenuto un precedente riconoscimento giudiziale (sentenza n. 144/01 del Tribunale di Enna passata in giudicato) del diritto al ripristino della prestazione assistenziale – riconosciuta con decorrenza dal 1985 – a far data dalla disposta revisione, con la quale, il 19.2.1998, ne era stata disposta la revoca, non potendo in contrario conferirsi decisività, in termini conformi a quanto sostenuto dall’istituto, alla circostanza che, in data 10.11.2009, a seguito di ulteriore revisione, alla ricorrente è stata riconosciuta (in base alle tabelle di cui al D.M. 5 febbraio 1992) un’invalidità nella misura del 50% che ha condotto a nuova revoca dell’assegno.

8- E’ stato, invero, ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 6908/2016, Cass. 20834/2015, Cass. 23082/2011, Cass. 16058/2008, Cass. 5151/2004), sebbene con riguardo all’assegno ordinario di invalidità, che, nel caso che la prestazione sia stata riconosciuta in sede giudiziale e che l’l’INPS abbia esercitato il potere di revisione, la sentenza che accerta il diritto all’assegno ordinario di invalidità esplichi efficacia di giudicato sull’esistenza di tutti i presupposti di legge (requisito contributivo ed assicurativo e stato invalidante) e che, ove permangano immutati gli elementi di fatto e diritto preesistenti, la situazione già accertata non possa essere rimessa in discussione.

Ove si verifichi il consolidamento degli effetti del giudicato quanto all’esistenza di tutti i presupposti di legge della prestazione, nella invarianza degli elementi di fatto e di diritto preesistenti, la situazione già accertata non può, dunque, essere rimessa in discussione, sicchè, controvertendosi sulla legittimità della revoca, è necessario procedere al raffronto tra la situazione esistente all’epoca del precedente accertamento giudiziale e quella ricorrente al momento della revoca per verificare se vi sia stato un miglioramento dello stato di salute dell’assicurato e comunque un recupero della sua capacità di guadagno derivante da un proficuo e non usurante riadattamento lavorativo in attività confacenti alle sue attitudini (cfr., in particolare, Cass. 6908/2016 cit.).

10- Con riguardo alla fattispecie oggetto della presente controversia, riferita ad ipotesi di revoca del beneficio dell’assegno di invalidità civile – già riconosciuto in favore dell’assistita sotto il vigore di precedente normativa in forza di giudicato – deve ritenersi che la Corte del merito non abbia fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali richiamati, tenuto conto della circostanza che l’evento protetto si è verificato antecedentemente al 12.3.1992.

11- In conclusione, il ricorso deve essere accolto, con conseguente cassazione della impugnata pronunzia, e la causa deve essere rinviata alla Corte del merito designata in dispositivo che si atterrà ai principi richiamati. Alla stessa è demandata anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la impugnata decisione e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Caltanissetta in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2016

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA