Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24093 del 30/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/10/2020, (ud. 16/07/2020, dep. 30/10/2020), n.24093

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– ricorrente –

contro

P.A., rappresentata e difesa, giusta procura speciale stesa

a margine del controricorso, dall’Avv. Simone Ciccotti, che ha

indicato recapito PEC, ed elettivamente domiciliata presso lo studio

del difensore, alla via Lucrezio Caro n. 62 in Roma;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 110, pronunciata dalla Commissione Tributaria

Regionale della Puglia, il giorno 22.1.2013, e pubblicata il

25.6.2016;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Paolo Di Marzio.

La Corte osserva.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle Entrate notificava a P.A., esercente attività d’impresa, l’atto di recupero di credito d’imposta n. (OMISSIS), relativo agli anni dal 2001 al 2004. L’Ente impositore, in particolare, contestava alla ricorrente di non possedere i requisiti per potersi avvalere della richiesta compensazione in ordine a vantati crediti d’imposta, non essendo in regola con il rispetto delle norme previste a tutela della sicurezza dei lavoratori, ed avendo assunto due lavoratori quando non risultavano disoccupati da almeno ventiquattro mesi.

La contribuente impugnava l’atto di recupero innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Bari. Ricorreva, quindi, anche avverso la cartella di pagamento conseguenziale successivamente notificatale, indicata come avente n. (OMISSIS) nel controricorso del presente giudizio. La CTP riuniva i ricorsi e li accoglieva, annullando atto di recupero e cartella di pagamento.

L’Agenzia delle Entrate proponeva gravame avverso la decisione adottata dalla CTP innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, insistendo nel domandare la conferma degli atti impugnati in riferimento alle annualità 2003 e 2004. La CTR riteneva che l’Ente impositore fosse decaduto dalla possibilità di notificare utilmente l’avviso di accertamento, risultando applicabile il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1 e non avendo l’Amministrazione finanziaria fornito alcuna prova che i termini potessero essere raddoppiati ai sensi della L. n. 74 del 2000, in relazione all’avvio di un procedimento penale. In conseguenza, ritenuta assorbita ogni ulteriore questione, confermava l’annullamento degli atti impositivi.

Avverso la decisione assunta dalla Commissione Tributaria Regionale di Bari ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi ad un motivo di impugnazione. Resiste mediante controricorso la contribuente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il suo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Amministrazione finanziaria contesta alla impugnata CTR di essere incorsa nella violazione del D.L. n. 185 del 2008, art. 27, commi 16 e 17, come convertito dalla L. n. 2 del 2009, in combinato disposto con il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, dovendo applicarsi, per la notifica dell’atto di recupero, il termine di decadenza di otto anni.

2.1. – Mediante il proprio unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate contesta la decisione assunta dalla CTR per aver erroneamente ritenuto che l’Amministrazione finanziaria fosse decaduta dal potere di notificare l’atto di recupero alla contribuente, in relazione agli anni 2003 e 2004, quando vi aveva provveduto, il 22 novembre 2010.

In materia ha osservato la CTR che “il punto essenziale della controversia si riferisce esclusivamente all’applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1, che disciplina il termine entro il quale l’Amministrazione finanziaria deve, a pena di decadenza, notificare gli avvisi di accertamento… è fuor di dubbio che anche per gli anni 2003 e 2004… i rispettivi termini di decadenza sono spirati il 31 dicembre 2008 ed il 31 dicembre 2009, comunque in data anteriore a quella di notifica dell’avviso di accertamento e della cartella di pagamento oggetto della controversia, avvenuta, rispettivamente, il 22 novembre 2010 ed il 23 maggio 2011” (sent. CTR, p. 3).

Occorre allora ricordare che, in generale, nella formula vigente ratione temporis, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1, ritenuto applicabile dalla impugnata CTR, prevedeva che “gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione”. Qualora dovesse trovare applicazione questa disciplina, pertanto, effettivamente l’Amministrazione finanziaria, avendo notificato l’atto impositivo in relazione agli anni 2003 e 2004 in data 22.11.2010, sarebbe decaduta dalla possibilità di esercitare il potere impositivo.

Ha trascurato però, il giudice dell’appello, la previsione di cui al D.L. n. 185 del 1998, art. 27, come conv. con L. n. 2 del 2009, che al comma 16 prevede: “Salvi i più ampi termini previsti dalla legge in caso di violazione che comporta l’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per il reato previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-quater, l’atto di cui alla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 421, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo”. L’atto cui la norma opera riferimento, mediante richiamo al disposto di cui alla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 421, è proprio l’atto di recupero, oggetto del presente giudizio. Occorre ancora aggiungere che il D.L. n. 185 del 2008, comma 17, come conv., prevede che: “La disposizione di cui al comma 16 si applica a decorrere dalla data di presentazione del modello di pagamento unificato nel quale sono indicati crediti inesistenti utilizzati in compensazione in anni con riferimento ai quali alla data di entrata in vigore del presente decreto siano ancora pendenti i termini di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 1, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57”, ed anche il requisito della pendenza dei termini per la notifica risulta soddisfatto nel caso di specie.

Ha errato quindi la CTR a ritenere applicabile il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1, e non il D.L. n. 185 del 1998, art. 27, comma 16, come conv. con L. n. 2 del 2009, ed integrato nei sensi innanzi descritti, trattandosi peraltro anche di normativa speciale, attinente solo all’atto di recupero, ed anche per questo prevalente sulla disciplina generale in materia di notifica di un avviso di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria. Il termine di decadenza per la notifica dell’atto di recupero in relazione agli anni 2003 e 2004, pertanto, sarebbe scaduto negli anni 2011 e 2012, e quando l’atto è stato notificato alla contribuente, il 22.11.2010, il termine non era scaduto e l’Agenzia delle Entrate non era decaduta dal potere di esercitare la pretesa creditoria.

La contribuente ha contrastato la legittimità di questa conclusione nel suo controricorso, sostenendo che l’Amministrazione finanziaria aveva affermato la tempestività della propria notificazione dell’atto di recupero, in sede di redazione dell’atto, e ancora nel primo grado del giudizio, invocando diversa normativa, con la conseguenza di aver inammissibilmente introdotto una questione nuova in grado di impugnazione. L’argomento non appare fondato, perchè la questione in parola attiene alla corretta applicazione di norme di diritto, ed è pertanto rilevabile anche d’ufficio.

La controricorrente richiede inoltre, a questa Corte di legittimità, di affermare l’inapplicabilità della disciplina della decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere di notificare l’atto di recupero, come innanzi ricostruita, “allorquando i crediti utilizzati in compensazione siano meramente illegittimi e non totalmente inesistenti” (controric., p. 7). La valutazione richiesta, in realtà, attiene al merito del giudizio, e deve essere pertanto demandata anch’essa al competente giudice di rinvio, meritando solo di essere ricordato come questa Corte abbia già avuto modo di osservare che “il D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 16, conv., con modif., dalla L. n. 2 del 2009, nel fissare il termine di otto anni per il recupero dei crediti d’imposta inesistenti indebitamente compensati, non intende elevare l'”inesistenza” del credito a categoria distinta dalla “non spettanza” dello stesso (distinzione a ben vedere priva di fondamento logico – giuridico), ma mira a garantire un margine di tempo adeguato per il compimento delle verifiche riguardanti l’investimento che ha generato il credito d’imposta, margine di tempo perciò indistintamente fissato in otto anni, senza che possa trovare applicazione il termine più breve stabilito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, per il comune avviso di accertamento”, Cass. sez. V, 2.8.2017, n. 19237.

In definitiva il ricorso deve essere pertanto accolto, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale di Bari perchè, in diversa composizione, proceda a nuovo giudizio, nel rispetto dei principi innanzi esposti, e provveda anche a regolare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, che provvederà alla rinnovazione del giudizio nel rispetto dei principi innanzi esposti, e disciplinerà anche le spese del giudizio di legittimità tra le parti.

Così deciso in Roma, il 16 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2020

 

 

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