Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24092 del 24/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 24/11/2016, (ud. 13/10/2016, dep. 24/11/2016), n.24092

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2093-2014 proposto da:

BALISTRERI PIETRO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CASETTA MATTEI 293, presso lo studio dell’avvocato SERGIO TROPIA

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO TARANTO giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO SPATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 166/16/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA Sezione DISTACCATA di SIRACUSA del

28/01/2013, depositata il 27/05/2013:

udita la relazione della causa svolta nella camei a di consiglio del

13/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. IOFRIDA GIULIA;

udito l’Avvocato Anna Stefanini (delega avvocato Vincenzo Taranto)

difensore del ricorrente che si riporta agli scritti.

Fatto

IN FATTO

B.P. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia Sezione staccata di Siracusa n. 166/16/2013, depositata in data 27/05/2013, con la quale in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento, emesso per IRAP dovuta, in relazione all’attività professionale di dottore commercialista e di amministratore, sindaco e revisore contabile ed all’anno 2006, – stata riformata la decisione di primo grado, che aveva solo parzialmente accolto il ricorso del contribuente (ritenendo non assoggettabile ad IRAP l’attività svolta, in forma autonoma e non organizzata” dal medesimo quale amministratore, sindaco e revisore contabile di varie società).

In particolare, i giudici d’appello, nell’accogliere il gravame principale dell’Agenzia delle Entrate e respingere quello incidentale del contribuente, hanno sostenuto che, essendo il contribuente, oltre che titolare di uno studio professionale, anche inserito in uno studio associato, lo stesso avrebbe dovuto dimostrare di non fruire “dei benefici organizzativi recati dalla sua adesione all’associazione professionale o alla titolarità del proprio studio”, mentre non aveva, proprio in relazione al reddito percepito in relazione agli incarichi al medesimo conferiti da alcune società, “fornito alcuna prova concreta in ordine all’assenza del noto requisito dell’autonoma organizzazione al fine di giustificare l’esenzione da IRAP del reddito dallo stesso prodotto”.

All’udienza del 6/05/2015, il procedimento veniva rinviato a N.R. in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite in tema di IRAP e Studio associato tra professionisti.

A seguito di deposito di nuova relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Si dà atto che il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Diritto

IN DIRITTO

1. Il ricorrente lamenta, con due motivi, sia la violazione e/o errata applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, dell’art. 113 c.p.c. e art. 2967 c.c., sia “l’omessa motivazione circa un fatto decisivo per la controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5, assumendo che erroneamente la C.T.R. ha ritenuto le prove fornite da esso contribuente non idonee a dimostrare l’insussistenza dell’autonoma organizzazione, presupposto impositivo dell’IRAP.

3. La prima censura, implicante un vizio di violazione di norma diritto, è inammissibile.

Invero, con essa non si lamenta una violazione di norme di diritto, nella specie i principi sul riparto dell’onere probatorio tra Ufficio erariale e contribuente (vertendosi in tema di impugnazione di avviso di accertamento), quanto ci si duole del risultato della valutazione del materiale probatorio operata dai giudici di appello) in ordine alla documentazione prodotta dalle parti. Ma cluesto e un problema di stretto merito (cfr. Cass. 14267/2006: “In tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.

Le censure proposte sono inammissibili, risolvendosi appunto in argomenti di fatto, la cui valutazione compete al giudice di merito e non può essere censurata in sede di legittimità se non nei limiti fissati dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (nuova formulazione, essendo la sentenza impugnata pubblicata in data successiva al settembre 2012).

4. La seconda censura, contenente un vizio di motivazione, è ugualmente inammissibile.

Premessa la piena operatività nel giudizio di cassazione in materia tributaria del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 8053-8054/2014) hanno altresì affermato che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rileranza del semplice difetto di “sufficienza della motivazione” (cfr. ord. 21257/2014).

Ne consegue che, mentre l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto, il vizio motivazionale previsto dal nuovo testo del n. 5) dell’art. 360 c.p.c. presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla “totale pretermissione” di uno specifico fatto storico, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza della motivazione”.

Ora, in ordine alla fondatezza della pretesa impositiva ed alla inidoneità della prova contraria (in ordine alla insussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione) offerta dalla contribuente, la C.T.R., valutato il complesso del materiale prodotto di cui ha dato conto nella parte in fatto della sentenza), ha motivato nel senso sopra riportato, riformando quanto già statuito in primo grado.

Nè può parlarsi di motivazione omessa o meramente apparente, essendo state analiticamente esposte dalla C.T.R. le ragioni poste a base del decisum.

5.Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Atteso che sul thema decidendum oggetto della lite vi è stato intervento recente delle Sezioni Unite di questa Corte, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da palle del ricorrente, dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2016

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