Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24092 del 17/11/2011

Cassazione civile sez. III, 17/11/2011, (ud. 27/10/2011, dep. 17/11/2011), n.24092

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26329-2009 proposto da:

F.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14, presso lo studio dell’avvocato GROSSI

DANTE, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA (OMISSIS), UNIVERSITA’

degli STUDI DI CHIETI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui sono

difesi per legge.

– controricorrenti –

e contro

UNIVERSITA’ STUDI CHIETI (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 5304/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/12/2008; R.G.N. 1005/2005.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato DANTE GROSSI;

udito l’Avvocato ETTORE FIGLIOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con citazione notificata il 26 marzo 2003, il dottor F. S., adducendo di essere laureato in medicina e chirurgia e di avere conseguito il diploma di specializzazione in Anestesia e Rianimazione presso l’Università degli Studi di Chieti, senza aver mai percepito alcuna remunerazione per la frequenza al corso di durata triennale, dall’anno accademico 1982/83, benchè dovuta ai sensi delle direttive CEE 75/363, 75/362 e 82/76/CEE, conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, la predetta Università, nonchè il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, e ne chiedeva la condanna, in via solidale, al pagamento della somma di L. 21.500.000 per ciascun anno di specializzazione, a titolo di adeguata remunerazione come prevista dal D.Lgs. n. 257 del 1991 o, in subordine, di quella di L. 13.000.000 all’anno, in base ai parametri di cui alla L. n. 370 del 1999; ne chiedeva anche la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della mancata equiparazione a livello Europeo del diploma di specializzazione conseguito.

1.1.- Le amministrazioni convenute, costituendosi, eccepivano preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e la prescrizione estintiva; nel merito, contestavano la fondatezza della domanda.

2.- Con sentenza del 27 ottobre 2004 il Tribunale di Roma, disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione, accoglieva l’eccezione di prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c., n. 4, che riteneva applicabile con decorrenza dal 1 settembre 1991, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991 e conseguentemente rigettava la domanda; osservava altresì che la domanda risarcitoria, se ritenuta di natura extracontrattuale, si sarebbe dovuta considerare prescritta ex art. 2947 cod. civ. e che rispetto a tale domanda i convenuti erano privi di legittimazione passiva, poichè, trattandosi di responsabilità del legislatore per omesso o ritardato adeguamento del diritto interno alle direttive comunitarie, si sarebbe dovuta convenire in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

3.- La sentenza veniva appellata davanti alla Corte d’Appello di Roma da parte del F., che lamentava l’erroneità della pronuncia di accoglimento dell’eccezione di prescrizione, deducendo che il diritto all’adeguata remunerazione sarebbe stato azionabile soltanto a far data dall’entrata in vigore della L. n. 370 del 1999 o, comunque, dalla data delle pronunce della Corte di Giustizia CE del 25 febbraio 1999 nella causa 131/97 o del 3 ottobre 2000 nella causa 371/97.

Gli appellati Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e Università degli Studi di Chieti si costituivano in giudizio, chiedendo la conferma della sentenza impugnata.

4.- La Corte d’Appello, con sentenza del 22 dicembre 2008, ha rigettato l’appello, confermando la sentenza di primo grado; con compensazione delle spese anche del grado di appello.

5.- Contro questa sentenza il dottor F.S. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria.

Resistono con controricorso gli intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Il primo ed il terzo motivo di ricorso sono strettamente connessi e vanno trattati congiuntamente.

Col primo si denuncia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 1, comma 1, della L. n. 370 del 1999 ed all’art. 2935 cod. civ.” ed, ancora,”omessa insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza in riferimento al fatto decisivo riguardante l’attuazione integrale o parziale delle Direttive CEE n. 75/363 e n. 82/76 da parte del D.Lgs. n. 257 del 1991″.

Col terzo motivo si denuncia “omessa insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 riguardante la diretta applicabilità del D.Lgs. n. 257 del 1991 ai medici specializzandi che hanno frequentato i corsi a tempo parziale a partire dal 1982 benchè il decreto disponga che il diritto all’adeguata remunerazione sulla base della direttiva CEE 82/76 decorra dall’anno accademico 1991/1992”.

Con entrambi si censura la statuizione della Corte d’Appello che ha ritenuto la fondatezza dell’eccezione di prescrizione sollevata dai convenuti e confermato il decisum di primo grado, reputando applicabile, al caso di specie, il D.Lgs. n. 257 del 1991 piuttosto che la L. n. 370 del 1999; secondo il ricorrente, si sarebbe dovuta ritenere applicabile quest’ultima e, di conseguenza, soltanto dalla data della sua entrata in vigore si dovrebbe far decorrere il termine di prescrizione, e non dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991, come ritenuto dal giudice di merito.

Sostiene, infatti, il ricorrente che le disposizioni del D.Lgs. del 1991 non avrebbero consentito l’utile esercizio del diritto de quo, che invece sarebbe stato possibile soltanto dopo l’entrata in vigore della L. del 1999 (ovvero, in subordine, soltanto dopo le pronunce della Corte di Giustizia n. 131 del 25 febbraio 1999 e n. 371 del 3 ottobre 2000).

Aggiunge il ricorrente che la Corte d’Appello non avrebbe fornito adeguata motivazione circa la ritenuta applicabilità del D.Lgs. n. 257 del 1991.

In ricorso vengono esposti diversi argomenti al fine di dimostrare l’applicabilità al caso di specie della previsione della L. n. 370 del 1999, art. 11 interpretato conformemente alla direttiva 82/76/CEE, che ha modificato la direttiva 75/363/CEE. In particolare, si sostiene che, trattandosi di richiesta di tutela volta ad ottenere, da parte del dott. F., già iscritto ad un corso di specializzazione nell’anno 1982/1983, il riconoscimento del diritto ad “una remunerazione adeguata” e la condanna dei convenuti al relativo pagamento, il D.Lgs. n. 257 del 1991 non sarebbe stato immediatamente applicabile perchè riferibile soltanto agli iscritti ai corsi di specializzazione istituiti a far data dal 1991/1992;

invece, sarebbe stata immediatamente applicabile la L. 1999 poichè destinata a soggetti che si erano trovati nella medesima situazione del ricorrente (pur limitando l’erogazione della borsa di studio soltanto a favore dei medici destinatari delle sentenze passate in giudicato del TAR Lazio).

2.- L’iter argomentativo seguito dal ricorrente è criticato dai controricorrenti sotto i seguenti profili:

coloro che hanno frequentato i corsi di specializzazione nel periodo precedente il 1991, avrebbero potuto agire per il riconoscimento del loro diritto ad un’adeguata remunerazione già sulla base del D.Lgs. n. 257 del 1991;

prima del recepimento nell’ordinamento interno, avvenuto con la L. n. 428 del 1990 e col D.Lgs. n. 257 del 1991, le summenzionate direttive non erano immediatamente applicabili in considerazione del loro carattere non dettagliato, che, come precisato anche dalla Corte di Giustizia, non consentiva al giudice nazionale di identificare il debitore tenuto al versamento della remunerazione adeguata nè l’importo di quest’ultima;

– dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991 la controparte era in condizione di conoscere con esattezza il diritto spettante ed i soggetti tenuto al relativo adempimento.

3.- I predetti motivi di ricorso sono fondati e vanno accolti.

La domanda svolta dal ricorrente, in via principale, sin dal primo grado di merito, ha ad oggetto il riconoscimento del diritto ad ottenere un’adeguata remunerazione per avere frequentato presso l’Università di Chieti la scuola di specializzazione medica in un periodo precedente l’anno accademico 1991/1992 e per avere conseguito il relativo diploma.

Il diritto in parola è sancito dall’art. 2, n. 1, lett. c), nonchè al punto 1 dell’allegato della direttiva 75/363/CEE (detta direttiva “coordinamento”, perchè mirante al coordinamento delle disposizioni nazionali attinenti alle attività di medico) – emanata unitamente alla direttiva 75/362/CEE (detta direttiva “riconoscimento”, mirante al riconoscimento reciproco di diplomi, certificati ed altri titoli di medico) – come modificata dalla direttiva 82/76/CEE. L’art. 2, n. 1, della direttiva “coordinamento”, come modificato dall’art. 9 della direttiva 82/76, dispone in particolare che la formazione che permette il conseguimento di un diploma, certificato o altro titolo di medico specialista deve soddisfare le condizioni ivi menzionate, specificate poi nell’allegato alla direttiva “coordinamento”, aggiunto dall’art. 13 della direttiva 82/76; tra queste, è previsto il riconoscimento di “una adeguata rimunerazione”. L’art. 16 della direttiva 82/76 disponeva che gli Stati membri avrebbero dovuto mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva entro e non oltre il 31 dicembre 1982.

Soltanto successivamente ai fatti che hanno dato origine alla presente controversia, le direttive “riconoscimento”, “coordinamento” e 82/76 sono state abrogate e sostituite dalla direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/16/CEE, intesa ad agevolare la libera circolazione dei medici e il reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli; a questa è stata data attuazione dallo Stato italiano con il D.Lgs. 17 agosto 1999 n. 368.

Le direttive “riconoscimento” e “coordinamento” erano state, invece, trasposte dallo Stato italiano con L. 22 maggio 1978, n. 217; con la sentenza 7 luglio 1987, causa 49/86, Commissione/Italia, la Corte di Giustizia ha dichiarato che la Repubblica italiana, non avendo adottato nel termine prescritto le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva 82/76, era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del Trattato CEE. A seguito di tale sentenza, la direttiva 82/76 è stata trasposta con D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, entrato in vigore 15 giorni dopo la data della sua pubblicazione.

3.1.- La Corte di Giustizia, chiamata a pronunciarsi sulla questione se la disposizione della direttiva 82/76/CEE, nella parte in cui prevede che la formazione dei medici specialisti “forma oggetto di una adeguata remunerazione”, debba essere interpretata, in mancanza dell’emanazione di norme specifiche della Repubblica italiana nei termini previsti, nel senso dell’efficacia diretta a favore dei medici specializzandi nei confronti delle amministrazioni della Repubblica italiana, e se attribuisca ai medici specializzandi in formazione il diritto ad un compenso adeguato correlato alla complessiva attività di formazione svolta nei servizi incaricati dallo Stato, con il relativo obbligo per tali amministrazioni di corrispondere tale compenso, con le sentenze 25.2.1999, in causa C- 131/97, Carbonari ed altri e 3 ottobre 2000, in causa C-371/97, Gozza, ha statuito nei seguenti termini:

l’art. 2, n. 1, lett. c), nonchè il punto 1 dell’allegato della direttiva “coordinamento”, come modificata dalla direttiva 82/76, impongono agli Stati membri, per quanto riguarda i medici legittimati a fruire del sistema del reciproco riconoscimento, di retribuire i periodi di formazione relativi alle specializzazioni mediche, ove esse rientrino nell’ambito d’applicazione della direttiva. Il detto obbligo è, in quanto tale, incondizionato e sufficientemente preciso;

le direttive “coordinamento” e 82/7 6 non contengono alcuna definizione comunitaria della remunerazione da considerarsi adeguata, nè dei metodi di fissazione di tale remunerazione. Definizioni del genere rientrano, in via di principio, nella competenza degli Stati membri che devono, in tale settore, adottare specifici provvedimenti di attuazione;

per quanto riguarda l’identificazione dell’istituzione cui compete il versamento della remunerazione, nè la direttiva “coordinamento” nè la direttiva 82/76 identificano il debitore tenuto a retribuire i periodi di formazione relativi alle specializzazioni mediche e, di conseguenza, gli Stati membri dispongono di un’ampia discrezionalità in merito.

3.2.- Come da propria giurisprudenza, costante fin dalla sentenza 10 aprile 1984, causa 14/83, Von Colson e Kamann, la Corte di Giustizia ha ribadito che l’obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato da questa contemplato, come pure il dovere loro imposto dall’art. 5 del Trattato (oggi art. 10 CE) di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi, nell’ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali (in particolare, sentenze 13 novembre 1990, causa C-106/89, Marleasing; 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori; 18 dicembre 1997, causa C-129/96, Inter-Environnement Wallonie;

richiamate da ultimo, tra le altre, dalla sentenza 5 ottobre 2004, cause riunite da C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer e a., nonchè da Cass. S.U. n. 27310/08). Premesso che spetta in particolare ai giudici nazionali assicurare ai singoli la tutela giurisdizìonale derivante dalle norme del diritto comunitario e garantirne la piena efficacia, la Corte di Giustizia ha perciò richiamato la giurisprudenza della Corte (sentenze 13 novembre 1990, causa C-106/89, Marleasing; 16 dicembre 1993, causa C-334/92, Wagner Miret; richiamate, successivamente, dalle sentenze 23 febbraio 1999, causa C-63/97, BMW;

27 giugno 2000, cause riunite da C-240/98 a C-244/98, Oceano Grupo Editorial e Salvat Editores; 23 ottobre 2003, causa C-408/01, Adidas- Salomon e Adidas Benelux; sentenza 5 ottobre 2004, cause riunite da C- 397/01 a C-403/01, Pfeiffer e a.; 7 giugno 2006, cause riunite da C- 187/05 a C-190/05, Aretis Pagos), per la quale, nell’applicare il diritto nazionale, e in particolare le disposizioni di una legge che sono state introdotte specificamente al fine di garantire la trasposizione di una direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 189, comma 3, del Trattato CE (oggi art. 249, comma 3 CE).

3.3.- Ritiene il Collegio che, per i medici specializzandi che si sono trovati nelle condizioni previste dalla direttiva “coordinamento” come modificata dalla direttiva 82/76, il diritto all’adeguata remunerazione trovi la sua fonte in quest’ultima, che sul punto è self-executing, mentre l’attività di interpretazione del diritto interno, svolta alla stregua dei principi appena richiamati, debba portare all’individuazione dell’importo della remunerazione adeguata e dell’istituzione tenuta al pagamento, se ed in quanto desumibili da norme statali, in primo luogo da quelle destinate a dare attuazione alla direttiva.

4.- Si sostiene, da parte dei controricorrenti, che si sarebbe potuta interpretare, a tali ultimi specifici scopi, la normativa dettata dalla L. n. 428 del 1990 e dal D.Lgs. n. 275 del 1991.

Orbene, è corretta l’affermazione del ricorrente secondo cui quest’ultima normativa non è idonea allo scopo.

Principio inderogabile dell’interpretazione del diritto nazionale che intenda conformarsi alla normativa comunitaria è quello di uguaglianza per il quale, così come il legislatore nazionale, anche l’interprete del diritto comunitario non può pervenire ad un risultato interpretativo che comporti il trattamento diseguale di situazioni uguali, ed il trattamento uguale di situazioni diseguali (cfr., tra le tante, da ultimo sentenza 17 gennaio 2008, causa C- 246/06, Velasco Navarro).

La normativa del 1991, che pure specificava i due elementi alla cui individuazione da parte degli Stati membri la direttiva “coordinamento” aveva subordinato l’operatività del diritto alla remunerazione, vi provvedeva per il futuro, cioè a partire dall’anno accademico 1991/92. In particolare, la disposizione del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6 (che prevede la borsa di studio) si applicava agli ammessi alle scuole di specializzazione nei limiti definiti dalla programmazione di cui all’art. 2, comma 2, dello stesso Decreto ed, ai sensi dell’art. 8, comma 1, i decreti di riordinamento delle scuole di specializzazione, nel sopprimere o trasformare quelle esistenti, avrebbero dovuto comunque garantire il completamento degli studi agli specializzandi già iscritti alle scuole regolate dall’ordinamento previgente: pertanto, la disposizione dell’art. 8, comma 2 secondo cui le disposizioni del D.Lgs. si sarebbero applicate a far data dall’anno accademico 1991/1992, deve intendersi riferita a coloro che, iscritti a tale anno accademico, sarebbero stati ammessi alle scuole di specializzazione a seguito della programmazione che si sarebbe dovuta effettuare a norma dell’art. 2, tenendo conto dei requisiti di idoneità delle strutture di cui all’art. 7.

4.2.- L’erogazione della borsa di studio ai sensi del citato art. 6 presupponeva, quindi, condizioni di frequenza dei corsi di specializzazione che (quanto a durata del corso, ad orario obbligatorio ed a previsioni di incompatibilità) non erano quelle al cui rispetto erano stati tenuti gli specializzandi che avevano frequentato le scuole nel periodo precedente. Il riconoscimento del diritto ad una pari remunerazione in presenza di una tale diversità di situazioni comporterebbe un indebito vantaggio a favore degli specializzandi che avevano frequentato prima dell’anno accademico 1991/1992, da valutarsi tenendo conto non della situazione concreta di ciascuno degli aventi diritto, ma della situazione dei soggetti come delineata dalle norme di legge della cui interpretazione si tratta.

4.3.- D’altronde, a riprova della correttezza della conclusione appena raggiunta, va detto che questa Corte, sia pure ad altri fini (specificamente, valutando la diversa pretesa al risarcimento dei danni provocati dalla non corretta, meglio non completa, trasposizione interna della direttiva “coordinamento”), ha avuto modo di rilevare che l’emanazione del D.Lgs. n. 257 del 1991, avendo comportato un adempimento della direttiva soltanto per il futuro, ha lasciato del tutto immutata la situazione dei soggetti che, successivamente al 31 dicembre 1982 e fino all’anno accademico 1990- 1991, si erano venuti a trovare in una condizione, la quale, in presenza di una già avvenuta attuazione della direttiva, li avrebbe resi destinatari dei diritti da questa riconosciuti (cfr. Cass. n. 10813, 10814, 10815, 10816 del 2011, in motivazione).

5.- Per affermare l’applicabilità diretta della L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11 interpretato in maniera conforme alla più volte citata direttiva “coordinamento”, come modificata dalla direttiva 82/76 va superata la possibile obiezione, consistente nel fatto che la norma è inserita in una legge contenente “Disposizioni in materia di università e di ricerca scientifica e tecnologica” e non destinata, in sè, a dare attuazione alla normativa comunitaria.

E’ sufficiente in proposito richiamare la giurisprudenza della Corte di Giustizia per la quale “se è vero che il principio di interpretazione conforme del diritto nazionale, così imposto dal diritto comunitario, riguarda in primo luogo le norme interne introdotte per recepire la direttiva in questione, esso non si limita, tuttavia, all’esegesi di tali norme, bensì esige che il giudice nazionale prenda in considerazione tutto il diritto nazionale per valutare in quale misura possa essere applicato in modo tale da non addivenire ad un risultato contrario a quello cui mira la direttiva” (v., questo senso, sentenza Carbonari e a., cit., nonchè, tra le altre, di recente, sentenza Pfeiffer cit., ed ancora Cass. S.U. n. 27310/08 cit.).

Per di più, come è noto, l’art. 11 in parola venne introdotto a seguito di giudicati amministrativi che si erano pronunciati proprio sul diritto alla adeguata remunerazione di medici ammessi presso le università alle scuole di specializzazione in medicina dall’anno accademico 1983-1984 all’anno accademico 1990-1991, quindi sul diritto del cui riconoscimento si tratta.

5.2- La disposizione è infatti collocata sotto il capo 3^ della legge, intitolato “Disposizioni per l’attuazione di sentenze passate in giudicato”, ed è destinata al riconoscimento del diritto soltanto nei confronti di quei medici specializzandi che erano stati “destinatari delle sentenze passate in giudicato del Tribunale amministrativo regionale del Lazio (sezione 1^-bis) numeri 601 del 1993, 279 del 1994, 280 del 1994, 281 del 1994, 282 del 1994, 283 del 1994”.

Sostiene il ricorrente che tale limitazione non andrebbe considerata poichè incompatibile con la normativa comunitaria.

Occorre pertanto verificare se l’operazione interpretativa invocata sia legittima, in generale, e se, in particolare, è condivisibile il giudizio di incompatibilità che vi sta a fondamento.

Quanto alla disapplicazione del diritto interno incompatibile con il diritto comunitario, vanno richiamati i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia per i quali è compito del giudice nazionale, investito di una controversia che metta in discussione i principi generali del diritto comunitario, tra cui il principio generale di uguaglianza ed il divieto di discriminazione, assicurare, nell’ambito di sua competenza, la tutela giuridica che il diritto comunitario attribuisce ai soggetti dell’ordinamento, garantendone la piena efficacia e disapplicando ogni contraria disposizione di legge nazionale (v., in questo senso, già sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal, e 5 marzo 1998, causa C-347/96, Solred nonchè di recente, tra le altre, sentenza 22 novembre 2005, C -144/04, Mangold).

Nel caso di specie, la disposizione interna della cui interpretazione si tratta risulta incompatibile col diritto di uguaglianza e pregiudica le finalità della direttiva “coordinamento” come modificata nel 1982.

Gli Stati Membri, oggi, dell’Unione, sono obbligati al rispetto dei limiti che il diritto comunitario assegna loro allorchè applicano le disposizioni di una direttiva. In primo luogo, lo Stato membro interessato è soggetto all’obbligo di rispettare i principi generali del diritto comunitario; in secondo luogo, esso è tenuto ad applicare le disposizioni della direttiva senza pregiudicarne l’integrità. La Corte di Giustizia ha ripetutamente affermato che le esigenze derivanti dai principi generali di diritto comunitario vincolano gli Stati membri quando danno esecuzione a discipline comunitarie (sentenza 13 luglio 1989, causa 5/88, Wachauf, tra le altre). Tale esigenza deriva in particolare dal rispetto del principio fondamentale della parità di trattamento, il quale -va ribadito- richiede che situazioni paragonabili non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, salvo obiettiva necessità (in tal senso, da ultimo sentenza, 14 dicembre 2004, causa C-434/02, Arnold Andre). Da ciò deriva che lo Stato membro è tenuto in ogni modo possibile ad applicare la direttiva di cui si tratta in condizioni tali da non contrastare con tale principio. Giova aggiungere che una misura che determina una distinzione giustificata è conforme al principio comunitario della parità di trattamento soltanto se utilizza strumenti necessari e adeguati per raggiungere lo scopo legittimo perseguito (in tal senso, sentenza 19 marzo 2002, causa C-476/99, Lommers).

5.3.- Nel caso di specie, la limitazione del riconoscimento della borsa di studio di cui alla L. n. 370 del 1999, art. 11 soltanto ai destinatari delle sentenze del Tar Lazio non risulta in alcun modo giustificata, avuto riguardo al contenuto del diritto come sancito dalla normativa comunitaria.

I requisiti alla cui sussistenza la direttiva subordina il riconoscimento del diritto all’adeguata remunerazione sono quelli di avere frequentato corsi di specializzazione suscettibili di riconoscimento reciproco in ambito comunitario e di averlo fatto alle condizioni di frequenza di tali corsi già previste nell’allegato aggiunto dalla direttiva 82/76/CEE, condizioni che gli Stati membri possono disciplinare nel dettaglio (come fatto dallo Stato italiano con il D.Lgs. n. 257 del 1991), ma non disattendere nè modificare, aggiungendo adempimenti estranei alle dette condizioni. Peraltro, essendo la direttiva sufficientemente dettagliata, in punto di condizioni concernenti l’accesso alla formazione specializzata, la sua durata minima, il modo e il luogo in cui quest’ultima deve essere effettuata, nonchè il controllo di cui deve formare oggetto, anche in mancanza di una specifica normativa nazionale sulle condizioni di frequenza, il diritto all’adeguata remunerazione andrebbe riconosciuto a quegli specializzandi che, a far data dall’anno di corso 1983-1984, avessero comunque frequentato dei corsi di specializzazione aventi le caratteristiche previste dalla direttiva stessa, ed immediatamente applicabili (come sancito dalla citata sentenza Carbonari, per gli specializzandi a tempo pieno e dalla sentenza Gozza, per gli specializzandi a tempo parziale).

Ne segue che l’art. 11 in parola, che contempla la situazione dei medici iscritti ai corsi di specializzazione dall’anno accademico 1983/1984 all’anno accademico 1990/1991, ed opera una ragionevole differenziazione rispetto agli specializzandi del periodo successivo, affermando che la borsa di studio è determinata “tenendo conto dell’impegno orario complessivo richiesto agli specializzandi dalla normativa vigente nel periodo considerato” e fissando comunque al comma 2 le condizioni dettagliate, ma del tutto coerenti con le corrispondenti disposizioni della direttiva e del suo allegato, al cui accertamento, in ogni singolo caso concreto, è subordinata la corresponsione della borsa di studio, è:

– disciplina applicabile retroattivamente a tutti coloro che si sono trovati nella situazione contemplata dalla normativa, essendo questa la più idonea al raggiungimento del risultato interpretativo perseguito, che è quello di dare attuazione alla direttiva a far tempo dalla scadenza del termine dato allo Stato per la sua trasposizione (nel caso di specie, 31 dicembre 1982);

– disciplina disapplicabile quanto alla limitazione soggettiva, irragionevolmente posta in violazione del principio di uguaglianza, laddove subordina il riconoscimento, in ambito interno, di un diritto attribuito ai singoli da una direttiva comunitaria a condizioni non previste da tale direttiva; specificamente alla condizione di avere adito l’autorità giudiziaria ed ottenuto una sentenza favorevole addirittura prima dell’emanazione della legge di trasposizione (cfr.

anche Consiglio di Stato n. 165/04, nonchè n. 4885/10).

6.- Quanto fin qui esposto consente di risolvere agevolmente le questioni relative al termine di decorrenza della prescrizione ed alla norma applicabile per la durata.

Poichè il diritto all’adeguata remunerazione, pur riconosciuto dalla normativa comunitaria, non è stato esigibile – per quanto ampiamente detto- fino all’entrata in vigore della L. 19 ottobre 1999, n. 370 e la pretesa è divenuta azionabile soltanto a far data dall’entrata in vigore della relativa previsione (27 ottobre 1999), soltanto da tale termine può iniziare a decorrere la prescrizione (arg. ex art. 2935 cod. civ.).

In proposito, è sufficiente il richiamo alla recente pronuncia della Corte di Giustizia, relativa proprio alla normativa in oggetto, rispetto alla quale era stata avanzata domanda di pronuncia pregiudiziale da parte della Corte d’Appello di Firenze il 18 novembre 2009.

La Corte di Giustizia (sentenza 19 maggio 2011, causa C-452/09, Iaia e a.) ha affermato che “Il diritto dell’Unione deve essere interpretato dichiarando che non osta a che uno Stato membro eccepisca la scadenza di un termine di prescrizione ragionevole a fronte di un’azione giurisdizionale proposta da un singolo per ottenere la tutela del diritti conferiti da una direttiva, anche qualora tale Stato non l’abbia correttamente trasposta, a condizione che, con il suo comportamento, esso non sia stato all’origine della tardività del ricorso. L’accertamento da parte della Corte della violazione del diritto dell’Unione è ininfluente sul dies a quo del termine di prescrizione, allorchè detta violazione è fuori dubbio”.

Orbene, nel caso di specie, non vi è dubbio che lo Stato italiano non abbia mai correttamente trasposto la direttiva in parola; la circostanza che la tardività del ricorso dell’odierno ricorrente sia attribuibile al comportamento inottemperante agli obblighi comunitari da parte dello Stato italiano emerge dalle vicende normative ed interpretative di cui si è ampiamente detto. Prima dell’introduzione del più volte citato art. 11 della L. n. 370 del 1999 il ricorrente non avrebbe potuto validamente agire in giudizio dinanzi al giudice italiano per conseguire un’adeguata remunerazione, poichè non avrebbe saputo nei confronti di chi rivolgere tale domanda ed il giudice nemmeno sarebbe stato in grado di determinare il quantum dovuto ed il soggetto tenuto al relativo adempimento.

6.1.- Ulteriore questione (peraltro irrilevante ai fini della decisione, essendo stata la domanda introdotta nel 2002, quindi entro il quinquennio dall’entrata in vigore della L. n. 370 del 1999, art. 11) è relativa all’applicabilità o meno nel caso di specie della norma dell’art. 2948 c.c., n. 4: trattandosi, non di credito periodico, bensì di credito riconosciuto una tantum cumulativamente ed a posteriori col citato art. 11, la norma è da ritenersi inapplicabile.

7.- Accolti pertanto il primo ed il terzo motivo di ricorso, la sentenza va cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.

Resta assorbito il secondo motivo di ricorso, che ha riguardo alla domanda di risarcimento danni per il mancato recepimento della normativa comunitaria, subordinata dallo stesso ricorrente all’impossibilità di riconoscere il suo diritto mediante interpretazione conforme della normativa interna di recepimento; il relativo esame è, appunto, precluso dall’accoglimento delle doglianze relative alla domanda principale di condanna dei convenuti al pagamento dell’adeguata remunerazione, ai sensi della L. n. 370 del 1999, art. 11 come sopra interpretata.

8.- In ragione della ritenuta applicabilità di tale ultima norma, si deve escludere la legittimazione passiva dell’Università di Chieti, dal momento che la norma interna -introdotta proprio allo scopo di dare attuazione alla direttiva comunitaria “coordinamento”, come modificata dalla direttiva 82/76, onde individuare l’istituzione competente al pagamento della adeguata remunerazione – ha previsto che questa dovesse consistere in una borsa di studio, da erogarsi (a seguito degli accertamenti di cui allo stesso art. 11, comma 2 e degli adempimenti di cui al D.M. 14 febbraio 2000), da parte dello Stato, senza alcun coinvolgimento delle Università, presso le cui scuole di specializzazione i medici, aventi diritto alla corresponsione della borsa di studio, avevano frequentato i corsi e conseguito i diplomi.

Va pertanto dichiarato inammissibile il ricorso proposto nei confronti dell’Università di Chieti.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti dell’Università di Chieti; quanto all’altro intimato, accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo;

cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2011

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