Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2409 del 03/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 03/02/2021, (ud. 21/07/2020, dep. 03/02/2021), n.2409

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15067-2015 proposto da:

P.D., elettivamente domiciliata in ROMA VIA FRANCESCO SIACCI

4, presso lo studio dell’avvocato MONICA PERONACE, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANGELA LILIANA LAGRECA;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SUD SPA, elettivamente domiciliato in ROMA V. S. GIOVANNI

IN LATERANO 226-C/210, presso lo studio dell’avvocato BIANCA MARIA

CASADEI, rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO RAGNI;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2329/2014 della COMM.TRIB.REG. di BARI,

depositata il 17/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/07/2020 dal Consigliere Dott. RAFFAELE MARTORELLI.

 

Fatto

RITENUTO

che:

– la C.T.R. di BARI, con sentenza n. 2329/10/14, rigettava l’appello proposto, avverso la sentenza della CTP di Bari n. 9/10/13, proposto da P.D. contro Agente di Riscossione Bari Equitalia Sud, a seguito di impugnazione di avviso di intimazione tributi erariali, anno 2012;

– avverso detta sentenza proponeva ricorso innanzi a questa Corte P.D. eccependo:

– 1. violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, egli artt. 1335 e 2967, della L. n. 212 del 2000, art. 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

– 2. violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, degli artt. 24 e 97 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; omesso esame della mancanza di un prospetto determinativo degli interessi nell’intimazione di pagamento, fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

– 3. violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 2, dell’art. 24 Cost., comma 4, della L. n. 241 del 1990, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

– l’intimata agenzia non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– nel ricorso introduttivo P.D. si opponeva all’intimazione di pagamento, notificata da Equitalia Sud spa. ed eccepiva, sotto vari profili, la nullità dell’intimazione stessa (per mancata notifica dell’atto propedeutico (cartella di pagamento); per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, e contestuale violazione del diritto difesa omessa indicazione di un qualsiasi prospetto utile alla verifica degli importi dovuti, degli interessi e dei compensi di riscossione; per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 (statuto del contribuente), del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 2, e contestuale violazione del diritto difesa: mancata indicazione della commissione tributaria competente e dei termini entro i quali poter proporre ricorso; per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 (statuto del contribuente) e contestuale violazione del diritto difesa mancata allegazione della cartella di pagamento e di qualsiasi altro atto utile alla ricostruzione della pretesa tributaria.

La CTP di Bari dichiarava inammissibile il ricorso, ritenendo che l’intimazione di pagamento non potesse ritenersi un atto autonomamente impugnabile; la CTR di Bari rigettava l’appello della contribuente. Precisavano i giudici del gravame che l’intimazione di pagamento, non poteva considerarsi atto non impugnabile “in senso assoluto”, in quanto l’impugnazione doveva ritenersi consentita solo quando mancasse la notificazione dell’atto prodromico (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 comma 3) e di conseguenza non era possibile il ricorso avverso l’intimazione per eccepire, come nel caso di specie, vizi propri della cartella. Con riferimento alla cartella, l’ufficio, già nel primo grado di giudizio, aveva provato la regolare notifica della stessa, esibendo copia conforme all’originale dell’avviso di ricevimento della raccomandata, avvenuto a mani del padre convivente della sig. P., il (OMISSIS).

Inoltre, sempre secondo la CTR, la prova dell’arrivo della raccomandata faceva presumere, ai sensi dell’art. 1335 c.c., l’invio e la conoscenza dell’atto, poichè quando lo stesso perveniva all’indirizzo del destinatario, doveva ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, spettando al destinatario l’onere di provare che il plico non conteneva l’avviso. L’avviso di ricevimento della raccomandata riportava l’indicazione del numero della cartella esattoriale, (coincidente con il numero contenuto sull’avviso di intimazione) sicchè non era da ritenersi vera la circostanza dedotta dalla contribuente, secondo cui non era stata provata la riferibilità ad alcun documento, nè tantomeno la circostanza che, con l’avviso di ricevimento allegato, fosse inviata stata altra cartella di diverso importo.

Infine corretta, sempre secondo la CTR era da ritenersi la notifica, effettuata, stante la novella del D.Lgs. n. 46 del 1999, che consentiva la notifica diretta della cartella.

Con il proposto ricorso, la P. ha riproposto le eccezioni già prospettate in sede di merito.

– 1. In particolare, ha rilevato che quando una comunicazione veniva spedita al destinatario, era onere del mittente fornire la dimostrazione dell’esatto contenuto del plico raccomandato, ove il destinatario avesse contestato il contenuto della busta medesima.

Sul punto, va osservato che la questione è stata risolta, in maniera esaustiva e condivisibile, dalla giurisprudenza più recente e costituisce ormai orientamento prevalente. (Cass. n. 30787/19; n. 16528/19).

Con le pronunce citate, infatti, si è detto che, in caso “di contestazione dell’atto comunicato a mezzo raccomandata, l’onere di provare che il plico non conteneva l’atto stesso, ovvero che ne conteneva uno diverso da quello spedito, grava sul destinatario in forza della presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale. Tale conclusione discende altresì dal cosiddetto “principio di vicinanza della prova” poichè, una volta effettuata la consegna del plico per la spedizione, esso fuoriesce dalla sfera di conoscibilità del mittente e perviene in quella del destinatario, il quale può dunque dimostrare che al momento del ricevimento il plico era privo di contenuto (o ne aveva uno diverso). In altri termini, conformemente a quanto statuito da questa stessa Sezione (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 16528 del 22/6/2018; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 33563 del 28/12/2018), “la prova dell’arrivo della raccomandata fa presumere l’invio e la conoscenza dell’atto, mentre l’onere di provare eventualmente che il plico non conteneva l’atto spetta non già al mittente, bensì al destinatario (da ultimo Cass. n. 30787/19) e precedenti ivi citati.

Anche questo motivo va respinto, atteso che il destinatario non ha offerto la prova della presunta difformità.

– 2. Con il secondo motivo si deduce l’omesso esame di un prospetto determinativo degli interessi nell’intimazione di pagamento e si solleva la censura di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La censura non è fondata.

Il calcolo degli interessi, nel caso, riguarda una intimazione e non la cartella di pagamento, che fa necessario riferimento al calcolo precedente per cui non è necessario adottare una specifica motivazione sul punto.

-3. L’ultimo motivo, attinente alla mancata indicazione della Commissione Tributaria competente e ai termini entro i quali proporre ricorso non è fondato.

Sul punto va osservato che l’intimazione non omette tale indicazione ma fa riferimento alla possibilità di “presentare ricorso alle medesime autorità (Commissioni Tributarie, Tribunali Amministrativi Regionali, Autorità Giudiziaria) e con le stesse modalità e gli stessi termini del ricorso contro i vizi propri della cartella…”. Si tratta come è evidente non di una indicazione omessa, che come tale determinerebbe nullità, ma di una indicazione “de relato”, con riferimento ad altro atto la cartella di pagamento), sicuramente noto alla contribuente. Si tratta di una mera irregolarità e non di una causa di invalidità.

Inoltre, questa Corte ha precisato che “La mancata indicazione nell’avviso di pagamento della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani del termine di impugnazione e dell’organo dinanzi al quale può essere proposto ricorso, prevista dalla L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 4, non infida la validità dell’atto, anche dopo l’entrata in vigore della L. n. 2121 del 2000, art. 7, ma comporta, sul piano processuale, il riconoscimento della scusabilità dell’errore in cui sia eventualmente incorso il ricorrente, con conseguente riammissione in termini per l’impugnativa, ove questa sia stata tardivamente proposta.” (Cass. n. 301/2018)

In ogni caso, l’eventuale difficoltà ad individuare l’autorità competente (che nel caso in esame non si è verificata) avrebbe giustificato una richiesta di rimessione in termini.

Il ricorso va, pertanto, respinto.

La Corte, con la presenza del Presidente Dott. De Masi e con la presenza, da remoto, degli altri componenti.

PQM

Respinge il ricorso. Nulla spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 21 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2021

 

 

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