Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2409 del 01/02/2011

Cassazione civile sez. I, 01/02/2011, (ud. 09/12/2010, dep. 01/02/2011), n.2409

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro-

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

R.A.C., M.D., G.N.,

F.A., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

GIULIA DI COLLOREDO 46/48, presso lo studio dell’avvocato DE PAOLA

GABRIELE, che li rappresenta e difende, giusta procura alle liti in

calce alla copia di ognuno dei controricorsi;

– controricorrenti –

avverso il decreto R.G. 907/08 (cui sono stati riuniti i ricorsi

recanti rispettivamente i numeri 909, 910 e 911 del 2008) della CORTE

D’APPELLO di FIRENZE del 13.3.09, depositato il 14/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. EDUARDO

VITTORIO SCARDACCIONE.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

p. 1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è del seguente tenore: “1.- Con decreto depositato il 14.4.2009 la Corte di appello di Firenze ha accolto la domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 proposta contro il Ministero dell’Economìa e delle Finanze da F.A., G. N., M.D. e R.A.C. in relazione alla durata irragionevole di un processo amministrativo instaurato (unitamente ad altri 415 ricorrenti) dinanzi al TAR Lazio in data 1.12.2000 e definito con sentenza di rigetto del 7.4.2 008.

La Corte di merito ha determinato in tre anni la durata ragionevole e, per il ritardo di quattro anni, ha liquidato a titolo di indennizzo per danno non patrimoniale, la somma di Euro 4.000,00 in favore di ciascun ricorrente.

Contro il decreto il Ministero convenuto ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Resistono – con distinti controricorsi – gli intimati.

2.- Con il primo motivo il Ministero ricorrente denuncia violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2. Deduce che trattasi di un’azione di natura collettiva totalmente infondata e che di norma “tali giudizi si caratterizzano per una mancanza di effettivo interesse delle parti, testimoniato, nel caso di specie, dalla declaratoria di infondatezza dell’avversa azione cognitoria, sicchè appare logico che il patimento sofferto dallo stesso debba considerarsi molto più tenue di quello sofferto da una parte in un processo cd. “standard”, e, di conseguenza, il risarcimento dovrebbe essere al di sotto dei criteri liquidativi elaborati dalla CEDU. Segnala che, con decreto del 9.1.2 009, la medesima Corte d’Appello di Firenze, in analogo giudizio indennitario promosso da altri tre dei ricorrenti nell’ambito del medesimo giudizio originario innanzi al Tar del Lazio iscritto a R.G. n. 20587/2000, ha pronunciato il rigetto del ricorso, con contestuale condanna alla refusione delle spese processuali, rilevando che: “… il giudizio a quo costituisce un classico esempio di cause cosiddette “seriali “, promosse da organizzazioni sindacali o parasindacali che si incaricano di raccogliere le adesioni tra i loro iscritti, senza costi o con costi minimi per questi ultimi, i quali sanno di non correre alcun rischio effettivo di essere condannati per l’ipotesi di rigetto della domanda; a ciò si aggiunga, sotto un profilo più specifico, la constatazione che la domanda era infondata ed è stata appunto respinta. Aggiunge che emerge dalla motivazione della sentenza conclusiva del giudizio che erano stati gli stessi ricorrenti nell’atto introduttivo a riconoscere come infondate le proprie pretese “de iure condito ” e da ciò deve dedursi che manca ogni prova di danno, apparendo del tutto trascurabile l’ansia e lo stress provati dai ricorrenti nell’attesa della decisione, della quale per loro stessa ammissione potevano ampiamente prevedere il tenore”. Formula il seguente quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c.: “se, in presenza di un giudizio presupposto di natura collettiva in cui la pretesa fatta valere sia di modesta entità e che si sia concluso con una pronuncia di infondatezza dell’avversa domanda, il Giudice, chiamato a conoscere la domanda di equa riparazione ex Lege n. 89 del 2001, debba ridurre il “quantum” a titolo di equa riparazione per irragionevole durata del giudizio presupposto, (potendosi, così, discostare in senso peggiorativo dai criteri elaborati dalla CEDU per i casi cd.

standard) in evidente; assenza di patema d’animo e stress e se, pertanto, sia affetta da violazione di legge la sentenza del Giudice che, in presenza della predetta situazione, ometta la riduzione del “quantum” indennizzabile”.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia “Insufficiente e/o contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio con riferimento al riconoscimento automatico dello stato di disagio delle parti, e relativa – sproporzionata quantificazione del danno morale per irragionevole durata del processo a prescindere dalla valutazione della natura del giudizio presupposto e dall’esito dello stesso”.

3.- Il ricorso appare manifestamente infondato.

infatti, secondo la giurisprudenza della S.C., nell’ipotesi di superamento del termine ragionevole di durata del processo, se è vero che il danno morale è presunto, e che per vincere detta presunzione devono essere dedotte e provate circostanze specifiche dalle quali possa positivamente desumersi che l’irragionevole protrarsi del giudizio non abbia prodotto al resistente il lamentato danno non patrimoniale, tuttavia il modesto valore della controversia o la natura collettiva del ricorso introduttivo del giudizio, possono essere indici di un minore impatto psichico e quindi autorizzare una deroga in peius ai parametri di indennizzo elaborati per analoghe controversie dalla Corte europea (cfr., in tal senso, Sez. 1, Sentenza n. 11574 del 09/05/2008).

Sennonchè, nella concreta fattispecie, dalla motivazione del decreto impugnato non risultano dedotte, dall’Amministrazione convenuta, le circostanze innanzi evidenziate nè nel ricorso (in violazione del principio di autosufficienza) risulta quando e in quali termini esse siano state prospettate al giudice del merito.

Peraltro, la somma liquidata appare in linea con la più recente giurisprudenza di questa Sezione e con i criteri desumibili dalle decisioni della Corte di Strasburgo del 2010 sui ricorsi MARTINETTI ET CAVAZZUTI c. ITALIE e GHIROTTI ET BENASSI c. ITALIE per i giudizi contabili e amministrativi.

Il ricorso, quindi, può essere deciso in camera di consiglio”.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

p. 2. – Il Collegio condivide le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono al rigetto del ricorso.

La prospettata diversa conclusione di procedimenti aventi quale oggetto il medesimo processo presupposto giustifica la compensazione tra le parti delle spese processuali del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2011

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