Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24088 del 24/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 24/11/2016, (ud. 13/10/2016, dep. 24/11/2016), n.24088

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2855-2013 proposto da:

B.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

(OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI BONOMO giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 130/06/2012 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA del 24/05/2012, depositata il 05/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. IOFRIDA Giulia;

udito l’Avvocato Carlo Albini (delega avvocato Luigi Manzi) difensore

del ricorrente che si riporta agli scritti ed insiste per

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

IN FATTO

B.G. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrare (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 130/06/2012, depositata in data 5/06/2012, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di una carrella di pagamento emessa, ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, per IRAP dichiarata e non versata dal contribuente, avvocato, esercente anche attività di amministratore di società) per l’anno d’imposta 2006 è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso del contribuente.

In particolare, i giudici d’appello, nell’accogliere il gravame dell’Agenzia delle Entrate, hanno sostenuto che il presupposto impositivo dell’IRAP sussisteva, atteso che il contribuente aveva nell’anno in questione svolto la professione di “avvocato nello studio legale B. e Associati dallo stesso partecipato al 40,37%, avente una rilevante struttura organizzativa e non solo quella di amministratore di società” avvalendosi della collaborazione di due avvocati.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera comunicazione alle parti.

Si dà atto che il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Diritto

IN DIRITTO

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3 di norme di diritto, non avendo la C.T.R. vagliato l’attività svolta dal professionista come amministratore di aziende, strutture queste in grado autonomamente di sopportare i propri organi sociali. Con gli ulteriori motivi, il ricorrente articola un vizio motivazionale, ex art. 360 c.p.c., n. 5, ed un error in procedendo, ex art. 360 c.p.c., n. 4, sempre con riguardo all’omesso vaglio dell’aspetto relativo all’attività di amministratore di aziende svolta da esso contribuente.

2. La prima censura e infondata, con assorbimento del secondo motivo.

Questa Corte ha affermato che “qualora il professionista (nella specie, commercialista) sia inserito in uno studio associato, sebbene svolga anche una distinta e separata attività professionale, diversa da quella svolta in forma associata, è tenuto a dimostrare, al fine di sottrarsi all’applicazione dell’Irap, di non fruire dei benefici organizzativi recati dalla sua adesione alla detta associazione che, proprio in ragione della sua forma collettiva, normalmente fa conseguire ai suoi aderenti vantaggi organizzativi e incrementativi della ricchezza prodotta (ad es. le sostituzioni in attività – materiali e professionali da parte di colleghi di studio; l’utilizzazione di una segreteria o di locali di loro comuni; la possibilità di conferenze e colloqui professionali o altre attività allargate; l’utilizzazione di servizi collettivi e quant’altro caratterizzi l’attività svolta in associazione professionale)” (Cass. 16337/2011; Cass. 2008, n. 19138, negli stessi termini anche Cass. 2007, n. 13570).

La sentenza della C.T.R. avendo affermato che le due attività svolte beneficiavano del surplus organizzativo dato dalla partecipazione allo studio associato, in difetto di specifica prova contraria offerta dal contribuente, è conforme ai suddetti principi di diritto.

3. Il terzo motivo è ugualmente infondato.

La giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha affermato che si ha motivazione omessa o apparente quando il giudice di merito omette di indicare, nel contenuto della sentenza, gli clementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando questi elementi, non procede ad una loro disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (v. Cass. n. 16736/2007). Ciò non ricorre nel caso in esame, laddove la C.T.R., sia pure in maniera sintetica, ha ritenuto che la partecipazione ad uno studio associato per l’attività professionale svolta (avvocato ed amministratore di aziende), valeva ad integrare il presupposto impositivo dell’IRAP. Si tratta di una motivazione che non pub considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita le ragioni della decisione.

I profili di apoditticità e contraddittorietà della motivazione, censurati col motivo in esame, dunque, quand’anche sussistenti, non vizierebbero tale motivazione in modo così radicale da renderla meramente apparente, escludendone l’idoneità ad assolvere alla funzione cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (cfr. Cass. 5315/9015).

3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Atteso che sul thema decidendum oggetto della lite vi e stato intervento recente delle Sezioni Unite di questa Corte, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese processuali.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2016

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