Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24087 del 30/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/10/2020, (ud. 06/07/2020, dep. 30/10/2020), n.24087

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1113/2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore

p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

(C.F.: (OMISSIS)), presso i cui uffici in Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12, è domiciliata ope legis;

– ricorrente –

contro

H.M.C.;

– intimato –

– avverso la sentenza n. 29/02/2014 emessa dalla CTR Bolzano in data

13/05/2014 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Penta

Andrea.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con verbale di conciliazione n. 27 del 15.04.2010 adottato dal Tribunale di Bolzano, J.D. cedeva a H.M.C. le quote di una metà indivisa della p.m. 1 e di ventuno quarantottesimi di due appartamenti situati in San Lorenzo, per il prezzo complessivo di 400.000 Euro.

Nel detto verbale di conciliazione le parti chiedevano, ai fini della registrazione, che le imposte di registro, ipotecarie e catastali venissero calcolate in base al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, commi 4 e 5, trattandosi di trasferimento di quote di una casa di civile abitazione effettuato tra privati non svolgenti attività commerciale, artistica o professionale.

L’Agenzia delle Entrate emetteva, però, in data 03.08.2011 avviso di liquidazione, notificato a H.M.C. in data 09.09.2011, con il quale procedeva alla liquidazione delle dette imposte avuto riguardo al corrispettivo pattuito tra le parti, anzichè sulla base della rendita catastale.

Avverso il detto avviso di liquidazione il contribuente ricorreva alla Commissione tributaria di primo grado, facendo valere i seguenti motivi:

1. difetto assoluto di motivazione, per non avere l’Ufficio indicato nell’atto i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche ad esso sottostanti, con conseguente violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7;

2. violazione ed errata interpretazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, commi 4 e 5, stante la specifica disciplina contenuta nella L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 497, che sarebbe stata incostituzionale ove interpretata nel senso della sua applicabilità solo per le cessioni di immobili abitativi perfezionate con l’intervento del notaio e non anche per i trasferimenti effettuati in via transattiva davanti all’autorità giudiziaria.

L’Ufficio si costituiva in giudizio, controdeduccndo che:

1. l’avviso di liquidazione doveva ritenersi sufficientemente motivato, tenuto conto che non si trattava di un atto di rettifica di una precedente liquidazione;

2. nel caso di specie non poteva trovare applicazione la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 497, perchè la cessione si era perfezionata davanti ad un soggetto diverso dal notaio rogante.

La Commissione tributaria di primo grado, con la sentenza n. 88/01/12 depositata il 05.07.2012, accoglieva il ricorso del contribuente ed annullava il detto avviso di liquidazione, sull’assunto che, se era vero che in tema di agevolazioni e/o deroghe al regime ordinario non era consentita l’applicazione analogica, era, però, altrettanto vero che in tale ambito fosse ammissibile l’applicazione estensiva, dal che derivava che la deroga al regime ordinario prevista dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 497, dovesse ritenersi applicabile al verbale giudiziale di conciliazione, stante la sostanziale identità con il rogito notarile, sia sotto il profilo della forma, che del contenuto.

Avverso tale decisione l’Ufficio proponeva appello, sostenendo che il giudice di prime cure aveva effettuato, rispetto al disposto della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 497, una inammissibile interpretazione di tipo analogico, trattandosi di norma avente contenuto derogatorio.

Il contribuente si costituiva chiedendo il rigetto dell’appello dell’Ufficio, non solo perchè la sentenza di primo grado doveva ritenersi corretta, ma anche perchè nelle more era intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 6 del 15.01.2014 che, dichiarando l’illegittimità costituzionale della norma di cui all’art. 1, comma 497, citato nella parte in cui non prevedeva la sua applicazione anche agli acquisti effettuati in sede di espropriazione forzata o a seguito di pubblico incanto, aveva dimostrato inconfutabilmente che il regime derogatorio previsto dalla detta norma potesse trovare applicazione anche per atti traslativi giudiziari.

Con sentenza del 13.5.2014 la CTR Bolzano rigettava l’appello, sulla base delle seguenti considerazioni:

1) premesso che il disposto della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 497, attribuisce alle parti di una cessione di diritti su di un immobile di optare per la liquidazione delle imposte di registro, ipotecarie e catastali ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, commi 4 e 5, e quindi sulla base della rendita catastale, a condizioni che ricorrano due presupposti (1. cessione avvenuta nei confronti di persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali; 2. cessione avente ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze), nel caso di specie, la sussistenza di tali due presupposti era incontestata;

2) condivisibilmente il giudice di prime cure, tenuto conto che il verbale di conciliazione giudiziale aveva dal punto di vista del contenuto tutti gli elementi essenziali di un atto di compravendita, aveva equiparato il giudice al notaio, in considerazione della medesima qualifica di pubblico ufficiale e della identità di funzioni svolte, avuto riguardo al caso concreto;

3) una diversa interpretazione della detta norma avrebbe o esposto la stessa ad una censura di illegittimità costituzionale, apparendo irragionevole sottoporre ad un regime fiscale diverso la cessione di un immobile perfezionatasi avanti ad un notaio da quella perfezionatasi avanti ad un giudice nell’ambito di una conciliazione giudiziale,

4) in quest’ottica, era intervenuta, poi, la Corte Costituzionale che, con sentenza n. 6 del 15.01.2014, dichiarando l’illegittimità costituzionale della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 497, nella parte in cui non prevedeva la facoltà per gli acquirenti di immobili ad uso abitativo e relative pertinenze acquisiti in sede di espropriazione forzata o a seguito di pubblico incanto, che non agiscono nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, di chiedere che la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali fosse costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, commi 4 e 5, ha chiarito che il regime derogatorio previsto dalla detta norma può trovare applicazione anche per atti traslativi giudiziari;

5) una differenziazione di trattamento rispetto alla traslazione realizzata per mezzo di un verbale di conciliazione giudiziale risulterebbe illogica, esponendo la relativa norma, ove così interpretata, ad una censura di illegittimità costituzionale.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, sulla base di un unico motivo.

H.M.C. non ha svolto difese.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con l’unico motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 497, D.P.R. n. 131 del 1986, art. 43 e art. 52, commi 4 e 5, , in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR ritenuto che anche il verbale di conciliazione giudiziale con il quale erano state trasferite le quote di una casa di civile abitazione potesse beneficiare della liquidazione delle imposte di registro, ipotecarie e catastali ai sensi dell’art. 52 menzionato.

1.1. Il motivo è infondato.

La L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 497, quale risultante dalla sentenza della Corte. Cost. n. 6 del 2014, attribuisce alle persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali e che abbiano acquistato, in regime di libero mercato ovvero in sede di espropriazione forzata o a seguito di pubblico incanto, immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, la facoltà di chiedere che, in deroga al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 44, comma 1, la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali sia costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi del medesimo D.P.R., art. 52, commi 4 e 5, (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 8623 del 11/04/2014).

Invero, la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost. la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 497, nella parte in cui non prevedeva la facoltà, per gli acquirenti di immobili ad uso abitativo e relative pertinenze acquisiti in sede di espropriazione forzata o a seguito di pubblico incanto, i quali non agissero nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, di chiedere che, in deroga al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 44, comma 1, la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali fosse costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, commi 4 e 5, fatta salva l’applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), u.p..

La norma oggetto di scrutinio, ha chiarito la Corte costituzionale in quell’occasione, esprime anche un’evidente valenza agevolativa, laddove consente al contribuente di non scegliere immancabilmente, tra i diversi criteri di determinazione della base imponibile, quello fondato sul valore “tabellare” (che potrebbe essere meno vantaggioso in situazioni congiunturali avverse), bensì quello ritenuto meno oneroso e quindi più conveniente. La mancata previsione – in quel caso a favore delle persone fisiche che acquistano a seguito di procedura espropriativa o di pubblico incanto – del diritto potestativo, al contrario riconosciuto all’acquirente in libero mercato, di far riferimento, ai fini della determinazione dell’imponibile di fabbricati ad uso abitativo in materia di imposte di registro, ipotecarie e catastali, al valore “tabellare” dell’immobile viola (va) il principio di ragionevolezza, in quanto la mera differenziazione del contesto acquisitivo del bene non è sufficiente a giustificare la discriminazione di due fattispecie caratterizzate da una sostanziale omogeneità, in particolare, con riguardo all’esclusività del diritto potestativo concesso all’acquirente in libero mercato.

Orbene, ferma restando la sussistenza degli altri due presupposti prescritti dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 497, (la cessione nei confronti di persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali e la cessione a titolo oneroso avente ad oggetto immobili ad uso abitativo), non è revocabile in dubbio, nella fattispecie in esame, l’equiparabilità, sotto i profili del contenuto e della forma, tra le cessioni di immobili abitativi perfezionate con l’intervento del notaio ed i trasferimenti effettuati in via transattiva (in sede di conciliazione) davanti all’autorità giudiziaria.

1.2. In fattispecie per certi versi assimilabili questa Corte ha già equiparato il verbale giudiziale ad un atto pubblico notarile. A titolo esemplificativo, al fine di fruire delle agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa previste dal D.L. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 2, convertito con modificazioni in L. 5 aprile 1985, n. 118, le formalità ivi prescritte – vale a dire la dichiarazione del compratore di non possedere altro fabbricato destinato ad abitazione nel comune dove è situato l’immobile acquistato, di volerlo adibire a propria abitazione e di non aver già usufruito delle agevolazioni previste dalla disposizione -, che devono essere adempiute, a pena di decadenza, nell’atto di acquisto avente ad oggetto tale abitazione, nel caso di trasferimento di un’unità abitativa ad un coniuge disposto nel verbale di separazione consensuale, vanno assolte nel verbale di separazione stesso, che tiene luogo dell’atto pubblico di acquisto (Sez. 5, Sentenza n. 7437 del 14/05/2003).

Ancora, le agevolazioni di cui alla L. n. 74 del 1987, art. 19, operano con riferimento a tutti gli atti e convenzioni che i coniugi pongono in essere nell’intento di regolare, sotto il controllo del giudice, i loro rapporti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio, ivi compresi gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all’uno o all’altro coniuge (Sez. 5, Sentenza n. 2347 del 17/02/2001).

Parimenti, in tema di separazione personale tra coniugi, è stato ritenuto che l’obbligo di mantenimento dei figli minori (ovvero maggiorenni non autosufficienti) possa essere legittimamente adempiuto dai genitori mediante un accordo che, in sede di separazione personale o di divorzio, attribuisca direttamente la proprietà di beni immobili ai figli, senza che tale accordo (formalmente rientrante nelle previsioni, rispettivamente, degli artt. 155,158 e 711 c.c. e della L. n. 898 del 1970, artt. 4 e 6, e sostanzialmente costituente applicazione della regula iuris di cui all’art. 1322 c.c., attesa la indiscutibile meritevolezza di tutela degli interessi perseguiti) integri gli estremi della liberalità donativa, ma assolvendo esso, di converso, ad una funzione solutorio-compensativa dell’obbligo di mantenimento. Esso, comporta l’immediata e definitiva acquisizione al patrimonio dei figli della proprietà dei beni che i genitori abbiano loro attribuito (Sez. 2, Sentenza n. 3747 del 21/02/2006; conf. Sez. 2, Sentenza n. 21736 del 23/09/2013).

In quest’ottica, sono pienamente valide le clausole dell’accordo di separazione che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento. Invero, il suddetto accordo di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza (redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato), assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c., e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce (al pari del verbale di conciliazione), dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c. (Sez. 1, Sentenza n. 4306 del 15/05/1997).

In definitiva, una lettura anche costituzionalmente orientata della norma in esame non può che condurre a ritenerla applicabile altresì alla fattispecie oggetto di controversia, viepiù se si considera che il verbale di conciliazione presentava tutti gli elementi essenziali dell’atto di compravendita, il giudice è, al pari di un notaio, un pubblico ufficiale e il detto verbale assumeva il valore di vero e proprio atto pubblico.

2. In definitiva, il ricorso non merita accoglimento.

La mancanza di precedente specifici di questa Corte sulla questione esaminata giustifica la compensazione integrale delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, compensa per intero le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 6 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2020

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