Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24087 del 07/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 07/09/2021, (ud. 31/03/2021, dep. 07/09/2021), n.24087

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19313-2020 proposto da:

K.A., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato CAROTTA MICHELE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto n. cronol. 5687/20 del TRIBUNALE di VENEZIA,

depositato il 04/06/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 31/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MELONI

MARINA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

IL Tribunale di Venezia con decreto in data 4/6/2020, ha respinto l’impugnazione avverso il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona in ordine alle istanze avanzate da K.A. nato in Mali il 29/5/1990, volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, il diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di essere fuggito dal proprio paese perché per colpa aveva cagionato il danneggiamento di un terreno coltivato e non avendo soldi per risarcire il danno era scappato per non finire in prigione.

Il Tribunale di Venezia in particolare ha escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8 ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 per la concessione della protezione sussidiaria, non emergendo elementi idonei a dimostrare che il ricorrente potesse essere sottoposto nel paese di origine a pena capitale, tortura o a trattamenti inumani o degradanti. Nel contempo il collegio di merito negava il ricorrere di uno stato di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale nonché una situazione di elevata vulnerabilità individuale.

Avverso il decreto del Tribunale di Venezia il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia “violazione ex art. 360 co 1 n. 3) e 4) c.p.c in relazione all’art. 132 disp. att. c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c.- nullità della sentenza per motivazione apparente / in esistente e nullità del procedimento (violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – omesso esame circa un fatto decisivo, il tutto in relazione all’art. 116 c.p.c., comma 1, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3: per avere il Tribunale di Venezia violato i canoni legale di interpretazione degli elementi istriuttori, nonché per avere omesso l’esame di un fatto decisivo”.

Con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. nonché nullità della sentenza per motivazione apparente/inesistente e nullità del procedimento in relazione all’art. 115 c.p.c., al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, e art. 14 e al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; censura la decisione per avere omesso di applicare il D.Lgs. n. 151 del 2007, art. 14, lett. b) e c), in violazione dei criteri legali di valutazione degli elementi di prova con riferimento alla credibilità intrinseca del ricorrente;

Con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4, e art. 118 disp. att c.p.c. nonché nullità della sentenza per motivazione apparente/inesistente e nullità del procedimento – omesso esame di un fatto decisivo in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e al D.P.R. n. 39 del 1999, art. 11 e art. 29, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3-bis; censura la negazione della protezione umanitaria per non avere il giudice di merito preso in considerazione tutti i profili di vulnerabilità e le condizioni di vita del ricorrente, trascurando di considerare i fatti storici attestati dalla documentazione versata in atti e di svolgere il giudizio di comparazione.

Occorre premettere che la motivazione apparente ricorre quando la motivazione, pur essendo graficamente e, quindi, materialmente, esistente, come parte del documento in cui consiste la sentenza o altro provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. U. 22 settembre 2014, n. 19881).

Con orientamento ormai consolidato e ribadito anche di recente, quindi, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio,né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., 14 febbraio 2020, n. 3819).

Nella fattispecie invece il Tribunale ha motivato adeguatamente sul diniego della protezione richiesta ed ha escluso l’esistenza di una situazione di pericolo legata alla vicenda individuale dell’istante. Deve quindi essere escluso che la motivazione si presenti al di sotto del minimo costituzionale, essendo chiaro il costante riferimento alle prove ed in particolare alle condizioni del paese di origine ed al racconto reso dal dichiarante.

Il primo motivo è inammissibile perché generico) e non si confronta con la ratio della sentenza. Il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per concedere il diritto al rifugio e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,5,7 e 14.

Anzitutto il Tribunale ha considerato inverosimile e non credibile il racconto.

Il dovere del giudice di considerare veritiero il racconto del ricorrente anche se non suffragato da prove richiede pur sempre che le dichiarazioni rese dal richiedente asilo siano ” considerate coerenti e plausibili” (art. 3, comma 5, lett. c) e che il racconto del richiedente sia in generale “attendibile” (art. 3, comma 5, lett. e). La difficoltà di provare adeguatamente i fatti accaduti prevista espressamente dal legislatore nel citato art. 3, comma 5 non impone certo al giudice di ritenere attendibile un racconto che, secondo una prudente e ragionevole valutazione, sia incredibile anche perché i criteri legali di valutazione della credibilità di cui all’art. 5, comma 3 sono categorie ampie ed aperte che lasciano ampio margine di valutazione al giudice chiamato ad esaminare il caso concreto secondo i criteri generali, basti pensare ai concetti di coerenza, plausibilità (lett.c) e attendibilità (lett.e) che richiedono senz’altro un’attività valutativa discrezionale.

Nella fattispecie il giudice di merito ha motivatamente escluso, per le ragioni anzidette, la attendibilità del racconto, per cui non aveva alcun motivo per riconoscere al ricorrente lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. A) e B). Si rileva, in proposito, che la prima forma di tutela esige che si dia conto di una personalizzazione del pericolo di essere fatto oggetto di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica: ciò che nel caso in esame deve evidentemente escludersi.

Con riguardo alle fattispecie tipizzate dall’art. 14, lett. a) e lett. b), è necessario invece osservare che l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve pur sempre rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr.: Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass.20 marzo 2014, n. 6503): il che, nel caso in esame va negato proprio in ragione della mancanza di riscontri quanto a una vicenda personale che conferisca specificità e concretezza a un tale rischio.

L’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c), che si configura anche in mancanza di un diretto coinvolgimento individuale dello straniero nella situazione di pericolo, è stata, poi, motivatamente esclusa dal Tribunale il quale, basandosi su fonti di informazione internazionale, ha appurato che il paese di provenienza dell’odierno istante non è teatro di un “conflitto diffuso” e di una “violenza generalizzata”: Tale apprezzamento, che sfugge al sindacato di legittimità, porta ovviamente a disconoscere che nel presente giudizio di cassazione si possa far questione della “minaccia, grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armalo interno o internazionale”. Il Tribunale ha inoltre accertato che il ricorrente non ha allegato di essere fuggito dal suo Paese per l’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata.

In ordine al rigetto alla domanda di protezione umanitaria il motivo si rivela inammissibile, in quanto censura l’accertamento di merito compiuto dal giudice in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente, valutazione in sé evidentemente non rivalutabile in questa sede.

Le circostanze peraltro genericamente invocate relative ad una integrazione nel paese di accoglienza da parte del richiedente asilo, non costituiscono da sole un parametro che possa giustificare la concessione della protezione umanitaria. Infatti questa Corte ha più volte chiarito che in materia di protezione umanitaria, “il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza. (Cass. sez.1 n. 4455/2018 e S. Unite 29459/2019). Nella fattispecie la Corte di merito ha escluso di possibilità di effettuare tale valutazione stante la non credibilità del ricorrente.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Ricorrono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta-prima sezione civile della Corte di Cassazione, il 31 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2021

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